Sculture e oggetti d'arte

31 MAGGIO 2019

Sculture e oggetti d'arte

Asta, 0303
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15.00
Esposizione
FIRENZE
24 - 27 maggio 2019
orario 10-18 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   300 € - 30000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 251
120

Giovanni Zebellana

(Verona, 1457 – 1504)

Leonardo Attavanti, detto Leonardo da Verona

(documentato a Verona nella seconda metà del XV secolo)

MADONNA COL BAMBINO

legno intagliato e dipinto, cm 118x60x49

firmata e datata sul trono “Lonardus Veronensis me pinxit, 1492”

 

MADONNA WITH CHILD

carved and painted wood, height cm 118x60x49

signed and dated on the throne “Lonardus Veronensis me pinxit, 1492”

Opera sottoposta ad avvio del procedimento di dichiarazione di interesse da parte del Ministero dei Beni Culturali

 

Provenienza

già Vicenza, collezione conte Tommaso Franco

 

Bibliografia di confronto

C. Alberici, Madonna con Bambino, scultura lignea veronese del 1499 con “sorprese”, in “Rassegne di studi e notizie”, 11, 1983, pp. 9-33;

F. Trovati, La Madonna con il Bambino (1499) proveniente dalla parrocchiale di Gardone V. T., in “Brixia Sacra”, 4, 1996, pp. 11-21.

 

La firma posta sul fianco sinistro del trono e le stringenti analogie tipologiche e stilistiche permettono di porre in relazione il gruppo scultoreo qui offerto con la Madonna orante con in grembo il Bambino conservata presso il museo del Castello Sforzesco di Milano, come già segnalato nella scheda OA del Sistema informativo dei Beni Culturali della Regione Lombardia.

Il ritrovamento, durante i lavori di restauro a cui è stata sottoposta quest’ultima, di un piccolo rotolo di pergamena all’interno del tronetto su cui è seduta la Vergine, e la lettura di una scrittura autografa dell’intagliatore, resasi visibile nella parte interna del pannello che ne chiude il retro, hanno permesso di fissare con certezza datazione, committenza e paternità: l’esecuzione dell’opera oggi al Castello Sforzesco era stata commissionata all’intagliatore Giovanni Zebellana, residente a Verona, che, dopo averla terminata il 19 aprile 1499, l’aveva affidata al pittore Leonardo Attavanti, pure veronese, per completarla con la policromia.

L’iscrizione “Lonardus Veronensis me pinxit, 1492” dipinta sul nostro esemplare non lascia evidentemente dubbi circa l’identità dell’autore della sua decorazione pittorica e della doratura che doveva presentarsi assai raffinata come l’elegante decoro ancora visibile sulla veste della Madonna e quello meglio conservato del tronetto lasciano intuire.

Se l’iconografia della Madonna con le mani giunte in atto di adorare il figlio disteso nudo sul suo grembo a prefigurare la futura passione, alla quale rimanda anche il cardellino trattenuto tra le mani del bambino,  rientra nella grande fortuna di quest’immagine nella produzione scultorea lignea di area veneta del Quattrocento, la qualità e le caratteristiche dell’intaglio – l’andamento del profilo e delle pieghe del manto della Vergine, i tratti somatici del volto e la tipologia delle mani - sono le medesime che si possono osservare nell’esemplare del Castello Sforzesco e pertanto medesimamente ascrivibili allo Zebellana.

 

                                                   

                                                                          

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
236

Maestro di Pizzighettone

(Scultore transalpino attivo a Milano nel quarto decennio del Trecento)

FIGURA FEMMINILE DOLENTE

in marmo, alt. cm 24

 

A SORROWFUL FEMALE FIGURE

marble, height cm 24

 

Provenienza

Stefano Bardini, 1910 circa

 

Bibliografia

L. Cavazzini, Per il Maestro di Pizzighettone, in “Nuovi studi. Rivista di arte antica e moderna”, vol. XVII (2012), pp. 5-9

 

In un articolo del 2012 la studiosa Laura Cavazzini ha avanzato l’ipotesi che in questa figura femminile dal volto addolorato possa riconoscersi una delle testimoni della Passione di Cristo, la Maddalena o forse anche la Madonna stessa. La figura, mancante delle mani, è scolpita ad alto rilievo e la superficie piatta del retro fa supporre che si stagliasse in origine contro un fondale e che fosse parte di un gruppo scultoreo, come una Pietà o un Compianto sul Cristo morto. Secondo quanto ipotizzato nello studio della Cavazzini, l’opera in esame potrebbe essere riferibile allo stesso misterioso autore di tre altorilievi custoditi nella chiesa di San Bassano a Pizzighettone, in provincia di Cremona, raffiguranti scene della vita di Cristo, più precisamente l’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi. Il ritmo gotico dei panneggi, il chiaroscuro vibrante e i tipi fisionomici stilizzati fanno ipotizzare che autore di queste sculture sia un maestro transalpino attivo in Italia all’inizio del Trecento. L’ignoto scultore lavorò al tempo di Azzone Visconti, committente dei rilievi, come si evince una targa murata nella cappella. Al cosiddetto “Maestro di Pizzighettone” potrebbe dunque essere attribuito anche il nostro rilievo in marmo, grazie ad elementi quali il vigore di intaglio e il velo che aderisce alla testa della figura, nota distintiva dello scultore. E vi è anche l'ipotesi che potesse far parte dello stesso complesso da cui provengono i marmi della chiesa di San Bassano.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
185

Bottega ferrarese di Antonio Rossellino

(Settignano 1427 - Firenze 1479)

MADONNA COL BAMBINO (DEL TIPO DETTO “DELL’ERMITAGE”)

entro un’edicola con fregio di putti e stemma nella base, 1470-90 circa

bassorilievo “stiacciato” in stucco dipinto e dorato, cm 69,8x41,6, entro cornice in legno intagliato e dorato cm 90,2x62,6

 

Antonio Rossellino's Ferrara workshop

(Settignano 1427 - Florence 1479)

MADONNA WITH CHILD (KNOWN AS "DELL'ERMITAGE" TYPE)

in an aedicule with a frieze of cherubs and a coat of arms on the base, 1470-90 circa

"stiacciato" bas-relief in painted and gilded stucco, cm 69,8x41,6, in a carved and gilded wooden frame, cm 90,2x62,6

 

Bibliografia di confronto

L. Planiscig, Bernardo und Antonio Rossellino, Wien 1942;

C.L. Ragghianti, Scultura a Budapest, in “Critica d’Arte”, XLI, 1976, 147, pp. 67-71;

C. La Bella, Gambarelli, Antonio, detto Antonio Rossellino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 52, Roma 1999, pp. 94-99;

A. Tambini, in Mater Amabilis. L’iconografia mariana nella scultura della diocesi di Forlì-Bertinoro fra Quattrocento e primo Novecento, a cura di M. Gori, Forlì 2002, pp. 78-87;

F. Negri Arnoldi, Antonio Rossellino e Desiderio da Settignano. Sulla paternità di alcune celebri Madonne fiorentine del Quattrocento, in “Confronto”, 2, 2003, pp. 58-64;

Domenico di Paris e la scultura a Ferrara nel Quattrocento, a cura di V. Sgarbi, Milano 2006;

F. Petrucci, Da Firenze marmi e terrecotte invetriate: Antonio Rossellino e Andrea della Robbia per Ferrara, in Crocevia estense. Contributi per la storia della Scultura a Ferrara nel XV secolo, a cura di L. Scardino e G. Gentilini, Ferrara 2007, pp. 151-188;

Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte a Ferrara nell’età di Borso d’Este, catalogo della mostra (Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna e Museo Civico d’Arte Antica, 23 settembre - 6 gennaio 2008), a cura di M. Natale, Ferrara 2007;

S. Androsov, Museo Statale Ermitage. La scultura italiana dal XIV al XVI secolo, Milano 2008;

G. Gentilini, Dal rilievo alla pittura. La Madonna delle Candelabre di Antonio Rossellino, Firenze 2008;

M. Toffanello, Le arti a Ferrara nel Quattrocento. Gli artisti e la corte, Ferrara 2010;

B. Langhanke, Die Madonnenreliefs im Werk von Antonio Rossellino, tesi di dottorato, München 2013;

E. Belli, Madonne Bardini. I rilievi mariani del secondo Quattrocento fiorentino, Firenze 2017

 

Una ricercata esuberanza decorativa impreziosisce questa gentile composizione che raffigura la Vergine seduta in faldistorio, connotata da una nobile grazia adolescenziale, mentre assorta sorregge il brioso Gesù Bambino seduto in scorcio sulle sue ginocchia, intento a trastullarsi con la sottile fascia avvolta intorno al corpo, peraltro senza nasconderne la tenera nudità che palesa la natura umana del “Verbo fatto carne”. Maria è agghindata con vezzosa, regale eleganza: lascia infatti scivolare sulla nuca il velo, scoprendo i capelli ondulati trattenuti sulla fronte da un nastro, e indossa un ampio manto, serrato sul petto da un maspillo a mandorla sul quale si staglia un serafino, impreziosito lungo lo scollo da una larga bordura finemente ricamata a racemi e orlata da un motivo a perline che profila anche il taglio squadrato sulle spalle e i polsini della veste ornati con un simile gallone.

Al sofisticato sfarzo dell’abbigliamento di Maria rispondono il festone appeso sul fondo, esile ma assai ricco e vario nei suoi elementi di gusto orafo (metallici fogliami a campanula, bacche e piccoli frutti, sferette simili ai grani del rosario e una campanella spiraliforme), così come la struttura composita della cornice a edicola, decorata con un fantasioso campionario di modanature intagliate (a fusarola e foglie d’acanto intorno all’immagine, a foglie lanceolate sulla base, a nastro intrecciato, baccellature e fusarola geometrica nella cimasa ad arco ribassato), che presenta nel gradino un singolare fregio narrativo scandito al centro da uno scudo a mandorla. Il vivace fregio ‘all’antica’ di ascendenza donatelliana, che - come meglio vedremo - costituisce la più originale e significativa peculiarità di questo rilievo, raffigura due gruppi di quattro puttini ciascuno affaccendati presumibilmente in attività venatorie, come suggeriscono i numerosi cani da caccia e la preda appesa a un bastone portata da una coppia di ‘spiritelli’, mentre due di essi recano fiaccole e sembrano condurre in trionfo un compagno che ostenta un vessillo, in piedi su di un curioso carrellino trainato da un cavallo: scene, dunque, di un significato piuttosto criptico, ma certo non privo di implicazioni simboliche connesse all’immagine mariana.

L’inedito rilievo appartiene a una fortunata tipologia ben nota alla critica, ormai da tempo concordemente ricondotta a un modello di Antonio Rossellino - forse un marmo autografo perduto o di ardua identificazione (Ragghianti 1976; Negri Arnoldi 2003, p. 62; Tambini 2002; Langhanke 2013, pp. 412-439; Belli 2017, pp. 82-85, con bibliografia precedente) -, della quale si conoscono numerose redazioni in stucco e poche altre in terracotta (ma anche in cartapesta o in cuoio), di norma foggiate “a calco” e ritoccate “a stecca”, che presentano alcune varianti nel formato (talora leggermente più piccolo e centinato), nell’abbigliamento di Maria (coperta da un velo più castigato) e del Bambino (impreziosito da una collanina con un rametto di corallo e da braccialetti perlinati), nella forma e nell’andamento del festone (assente in alcuni esemplare, mentre in altri reca una ghirlanda che racchiude uno stemma o l’immagine di San Giorgio) e nel bracciolo del faldistorio (talvolta arricchito da un cherubino). Ma le maggiori differenze risaltano nella foggia e nell’ornato delle sfarzose cornici, di norma solidali all’immagine (seppure alcuni esemplari ne sono privi), sovente in forma di tabernacolo decorato con motivi diversi (paraste a candelabra con capitelli a volute, fregi di base con vasi e racemi, cornucopie, delfini, iscrizioni mariane, cimase con grifi nel timpano e vistose arpie come acroteri, etc.).

Tra le innumerevoli testimonianze conosciute (si veda l’accurato censimento della Tambini 2002, pp. 86-87, con oltre settanta esemplari), molte delle quali confluite in importanti musei italiani (Cremona, Museo Civico Ala Ponzone; Firenze, Museo del Bargello; Forlì, Musei di San Domenico; Olivone, Museo di San Martino; Padova, Museo Civico; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria; Roma, Museo di Palazzo Venezia; Torino, Museo Civico; Varese, Museo di Villa Cagnola; Venezia, Museo Correr; etc.) e stranieri (Amsterdam, Rijksmuseum; Berlino, Bode-Museum; Budapest, Museo di Belle Arti; Grenoble, Musée des Beaux-Arts; Londra, Victoria and Albert Museum; Lione, Musée des Beaux-Arts; New York, Metropolitan Museum; Parigi, Musée du Louvre; San Pietroburgo, Ermitage; etc.), transitate attraverso prestigiose collezioni (Firenze, Elia Volpi, 1910; New York, Raoul Tolentino, 1926; Monaco, collezione Tucher, 1929; Castello di Monselice, collezione Cini) o ancor oggi venerate in luoghi di culto (Forlì, Santa Maria in Acquedotto; Lugo di Romagna, Santuario della Beata Vergine del Molino; Lucca, tabernacolo in via Paoli; Montescudo, Rimini, parrocchiale; Vignola, parrocchiale), l’opera in esame ben si distingue per il raro inserto del fregio con putti. Lo ritroviamo, con scene diverse, soltanto in altri sette rilievi, quasi identici anche negli ornati della cornice e della cimasa (Tambini 2002), tre dei quali presenti nel territorio forlivese, ossia quelli conservati nel Santuario della Madonna del Molino a Lugo e nella pieve di Santa Maria in Acquedotto a Forlì e nel locale Museo di San Domenico, cui si aggiungono gli stucchi del Museo Correr a Venezia (con un fregio simile), del Museo di Palazzo Venezia a Roma, della raccolta Joachin Ferroni venduta a Roma nel 1909 e della collezione Raul Tolentino alienata a New York nel 1926.

Si tratta, come accennato, di una tipologia concordemente riferita ad Antonio Rossellino, raffinato protagonista della scultura fiorentina del secondo Quattrocento e prolifico interprete della sua diffusione ben oltre i confini della Toscana (Planiscig 1942; La Bella 1999), come attestano i monumenti e gli altari marmorei esportati o realizzati a Forlì (1458), Ferrara (1475), Venezia (1470-75 ca.), Napoli (1471-74). La composizione mariana di questi rilievi in stucco traduce infatti con poche varianti un modello di maggiori dimensioni (cm 67 x 51, privo di cornice) concepito dal maestro intorno al 1470, noto attraverso varie redazioni in marmo apparentemente identiche (San Pietroburgo, Ermitage; Birmingham, Barber Institute of Fine Arts; già Londra, Heim Gallery, 1972; già Venezia, collezione Dal Zotto; etc.) delle quali la versione autografa viene perlopiù identificata con quella del museo dell’Ermitage, che da il nome alla tipologia, ma non senza incertezze sulla sua autenticità (Androsov 2008, pp. 26-28, n. 8). Di questa stessa composizione marmorea si conoscono, inoltre, alcune fedeli repliche in stucco del medesimo formato, perlopiù attestate a Firenze (Museo dell’Ospedale degli Innocenti; collezione Gianfranco Luzzetti; già Palazzo Serristori; già galleria Stefano Bardini, ora a Parigi, Musée Jacquemart André: Tambini 2002, p. 87; Belli 2017, pp. 82-85), arricchite da una preziosa policromia, sovente con uno sfondo a roseto, riferibile a pittori locali del tempo (Pseudo Pierfrancesco Fiorentino; Maestro di San Miniato, etc.), e pertanto certamente da ricondurre alla bottega fiorentina dello scultore, anche in ragione della loro ubicazione.

La critica ha invece manifestato maggiore cautela in merito alla più cospicua produzione degli stucchi di formato ridotto impreziositi da esuberanti incorniciature - ovvero quella cui spetta l’opera che qui si presenta -, perlopiù eludendo l’interrogativo se anche questa fosse da ricondurre alla stessa bottega fiorentina del Rossellino, o piuttosto a una sua filiazione tra l’Emilia-Romagna e il Veneto, come suggerisce la prevalente diffusione nell’Italia settentrionale: un quesito analogo a quello suscitato dal proliferare di un altro ben noto modello del Rossellino, la cosiddetta Madonna ‘delle candelabre’ (Gentilini  2008). Infatti, oltre agli esemplari citati a Padova, Venezia, Cremona, Varese, Rimini etc., ben tre dei quali nel forlivese, ve ne sono altri della medesima tipologia pure a Reggio Emilia (Banca del Monte; collezione Balletti; Casa Calcagni), Imola (Pinacoteca Comunale), Brisighella (San Ruffillo).
Plausibile, dunque, pensare all’operosa bottega impiantata dal Rossellino a Ferrara, dove il maestro fiorentino eseguì nel 1460-61 la Tomba di Francesco Sacrati in San Domenico e nel 1475-76 l’imponente Monumento funebre del vescovo Lorenzo Roverella in San Giorgio fuori le mura, portato a termine con il contributo del lombardo Ambrogio Barocci (Petrucci 2007; A. Bellandi, in Domenico di Paris 2006, pp. 146-157, nn. II.17-18). Suggerisce, inoltre, l’origine ferrarese di queste versioni ridotte e sofisticate della Madonna ‘dell’Ermitage’ la maggiore ricchezza e fantasia decorativa, enfatizzata dal carattere composito ed estroso delle cornici, estraneo al gusto fiorentino, che ben si accosta alla vena eccentrica dei pittori della cosiddetta “officina ferrarese” - così come i puttini del fregio possono evocare i bizzarri giochi infantili disegnati da Marco Zoppo -, ma anche alla produzione locale dello scultore padovano Domenico di Paris, autore sul finire degli anni Sessanta della rutilante Sala degli Stucchi di Palazzo Schifanoia (Domenico di Paris 2006; Cosmè Tura 2007), o al magistero dei preziosi cofanetti in pastiglia riconducibili a quel medesimo sofisticato contesto culturale (Toffanello 2010). Ma, come già osservato (Tambini 2002, p. 84), ne è soprattutto un’efficace conferma, oltre alla presenza sullo sfondo di numerosi esemplari di un medaglione raffigurante San Giorgio, patrono della città estense e intestatario della cattedrale, la provenienza dell’esemplare “miracoloso” venerato nel Santuario della Madonna del Molino a Lugo, similissimo al nostro, che, secondo cronache attendibili, era stato abbandonato in pezzi dopo una rovinosa caduta da un mercante faentino il quale l’aveva acquistato proprio a Ferrara, il 17 maggio 1496.

Giancarlo Gentilini

Stima   € 15.000 / 25.000
217

Maestranze siciliane, fine secolo XVII

RARO MODELLO DI FACCIATA DI CHIESA

in vetri policromi e con decorazioni in bronzo dorato, cm 63x61x25

 

Sicilian school, late 17th century

A RARE CHURCH FACADE MODEL

in polychrome glass and with gilded bronze decorations, cm 63x61x25

 

Appoggiato su di una base in legno sagomato, si erge questo bello e scenografico modelletto di Chiesa barocca, eseguito in vetro da abili artigiani, attenti ad ogni possibile dettaglio, dagli alberi di agrumi posizionati sul piazzale, alle colonnine a strisce verticali con relativi basi e capitelli, alla balaustra composta da leggiadri montanti azzurri, fino alla miriade di decorazioni a rocailles, festoni di fiori e foglie e specchi sparsi per l’intera costruzione. Una vera opera d’arte, abbellita da fregi e sculture in bronzo finemente cesellato e dorato.

In Sicilia questa particolare attenzione alla riproduzione di costruzioni religiose sfocia nella realizzazione di vere e proprie microarchitetture che nei testi vengono citate con il nome di “palii d’architettura”. Questi non sono altro che la ripresa e lo sviluppo di modelli scenografici mutuati dall’arte effimera che, propria del carattere barocco, viene impiegata dalla Chiesa e, ancor più, dagli ordini religiosi, per promuovere ed evangelizzare il loro credo. È probabile che i paliotti architettonici fossero inizialmente pensati alla stregua di una scenografia teatrale, all’interno della quale poter rappresentare scene religiose di vario tipo; questo almeno fino ad un determinato momento in cui l’aspetto architettonico ebbe la meglio sulla storia in esso narrata.  Fondamentale, in tal senso, era il ruolo delle confraternite che gareggiavano nella produzione di altari mobili e, più in generale, di apparati effimeri vari, in modo da mostrare la propria ricchezza e la propria forza politica e sociale. Il modello poteva essere realizzato in vari materiali più o meno pregiati, la cui scelta era influenzata, oltre che dalle possibilità economiche del committente, anche dall’uso che se ne sarebbe fatto. Il nostro, essendo eseguito in un materiale così fragile come il vetro, è probabile che sia stato fatto per abbellire una cappella privata, dove si è potuto conservare in modo eccellente per arrivare ai nostri giorni

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
243
Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
251

FALDISTORIO LONGOBARDO, SECOLO VI-VII

in ferro ageminato e con pomoli in argento, cm 58x50,5x40

 

A RARE AND OUTSTANDING FOLDING CHAIR, LONGOBARD PERIOD, 6TH-7TH CENTURY

 

Si tratta di un raro esemplare di sedia pieghevole da campo di origine longobarda, riservata agli alti ufficiali dell’esercito, interamente abbellita da una raffinata decorazione in agemina d’oro e con terminali in argento. Il telaio è formato da due strutture rettangolari che si incrociano al centro e tenute insieme da due perni in modo da consentirne l'apertura a X, posizione che viene fissata grazie al sedile, composto da strisce di cuoio legate agli occhielli connessi alle traverse superiori. Una costruzione tecnica complessa all’epoca ma allo stesso tempo semplice e funzionale. Il cuoio della seduta non è coevo.

Derivato dal latino medievale faldistorium, a sua volta modellato sul germanico faldastôl, il termine individua un seggio, realizzato in legno o in metallo, la cui caratteristica principale è di essere mobile e pieghevole.

Alcuni esemplari si trovano presso importanti Musei italiani ed europei, come le sei sedie pieghevoli rinvenute nella necropoli longobarda di Nocera Umbra, delle quali cinque si conservano a Roma (Mus. dell'Alto Medioevo). Si tratta di seggi in ferro, arricchiti da una decorazione ad agemina d'argento sobriamente lineare. Risalente, per questi esemplari, agli inizi del VI secolo e a un'area di produzione bizantina, il tipo del seggio appare testimoniato già in uso, tra i secolo V e VI, in ambito visigoto - grazie alle sedie pieghevoli provenienti dalla necropoli reale di Ballana in Nubia (Cairo, Egyptian Mus.) - e merovingio, come provano l'esemplare conservato ad Annecy (Mus. Château), rinvenuto in Alta Savoia, e quello di Saint-Germain-en-Laye (Mus. des Antiquités Nat.), trovato a Brény. L'origine militare di questo faldistorio, modellato sulla sella castrensis romana, è indicata dalla sua presenza nella grande icona marmorea del santo guerriero Demetrio murata sulla facciata della basilica di S. Marco a Venezia, che, pur essendo un'opera bizantina del tardo XII secolo, si rifà a prototipi iconografici tardoantichi. Altri modelli simili al nostro sono conservati nel Tesoro di Spilamberto, in provincia di Modena e nel Musei Civici di Pavia.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
126
Scuola toscana, seconda metà secolo XV
IMAGO PIETATIS 
pietra forte, cm 53x97,5x12

Tuscan school, second half 15th century
IMAGO PIETATIS
pietra forte, cm 53x97,5x12 

La figura del Cristo con le braccia incrociate, estrapolato da qualsiasi contesto narrativo, è posto al centro di una lunetta decorata a conchiglia, come se si ergesse dal sepolcro. Le palpebre sono abbassate e la bocca socchiusa in una espressione di serena accettazione della morte. 
L’opera può essere avvicinata alla produzione di Isaia da Pisa, scultore principe a Roma prima dell’avvento dei maestri moderni toscani come Mino da Fiesole e i Rossellino, o adriatici come Giovanni Dalmata.
I confronti più stringenti si stabiliscono con la lunetta del tabernacolo del corpo di Sant’Andrea nell’antica basilica di San Pietro a Roma, ora conservata nelle Grotte Vaticane. Analoga è la conformazione del volto con gli zigomi prominenti, gli occhi allungati e la capigliatura che si dispone simmetricamente ai lati in ciocche che ordinatamente si attorcigliano in grossi boccoli. 
Fornisce poi ulteriore idea dell’originaria funzione del bassorilievo qui presentato, la lunetta con il Cristo in pietà e angeli che corona il tabernacolo originariamente collocato sull’altare maggiore della chiesa della Trinità di Viterbo e oggi nel Museo civico della stessa città.
La datazione di entrambi gli esempi citati, i primi anni del settimo decennio del XV secolo, è utile per collocare anche la nostra Imago Pietatis.
Stima   € 12.000 / 15.000
130
IMPORTANTE SCUDO DA PARATA, METÀ SECOLO XVI
in ferro sbalzato e cesellato con tracce di doratura, diam. cm 60,5

A 16TH CENTURY PARADE SHIELD 

Provenienza
Venezia, collezione Antonio Salvadori;
Brescia, collezione privata

Bibliografia
Guida generale delle mostre retrospettive in Castel Sant'Angelo, Brescia 1911, p. 208, n. 11810

Profondamente sbalzato e finemente cesellato nonché, in origine, scintillante di bagliori dorati, lo scudo qui presentato mostra al centro la testa di Medusa e nel giro la Strage degli innocenti. 
Le drammatiche figure di tale racconto evangelico che si susseguono, senza soluzione di continuità e su diversi piani, tra due fregi arabescati sono la combinazione di due “best seller” figurativi cinquecenteschi, il bulino di Marcantonio Raimondi, tratto da un’invenzione di Raffaello (Bartsch XIV, 18 – 20), e la Strage degli innocenti con Erode e i suoi ufficiali in piedi su un palco di Baccio Bandinelli, incisa da Nicola Beatrizet (Bartsch XIV, 24 -21).
Il gruppo della donna che fugge con in braccio il figlioletto il cui piedino è trattenuto dal soldato intento a innalzare la sua lunghissima spada per trafiggerlo, posto sotto la testa di Medusa, traduce, per esempio, piuttosto fedelmente le figure sulla sinistra dell’incisione del Raimondi, mentre quello precedente, con il disperato tentativo della madre di proteggere il suo bambino mordendo il braccio del carnefice, è ispirato all’invenzione bandinelliana così come il feroce gesto del soldato che sta scagliando un piccolo innocente posto dalla parte opposta.
Frequente era il ricorso da parte di orafi e armaioli cinquecenteschi a celebri composizioni, sapientemente trasformate in motivo decorativo caratterizzato, nel nostro caso, da una furiosa animazione.
Per quanto riguarda la testa di Medusa, a partire dalla metà del Cinquecento si incontra una notevole diffusione di scudi da parata con il rilievo centrale raffigurante la testa gorgonea, scelto in quanto motivo apotropaico.  
Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
107

Scuola fiorentina, inizi secolo XVI

CROCIFISSO

legno intagliato e dipinto, tela di lino ingessata e dipinta, alt. cm 42,5

 

Florentine school, early 16th century

CRUCIFIX

carved and painted wood, plastered and painted linen, height cm 42,5

 

Bibliografia di confronto

F. Traversi in «Fece di scoltura di legname e colorì». Scultura del Quattrocento in legno dipinto a Firenze, a cura di A. Bellandi, Firenze 2016, p. 248

 

L’opera appartiene alla rinomata produzione quattro e cinquecentesca di crocifissi devozionali dei “legnaioli” fiorentini che contò tra i suoi protagonisti le botteghe famigliari dei Da Maiano e dei Del Tasso. Stretta fu probabilmente la collaborazione tra le due officine tanto che a Leonardo Del Tasso fu affidata la bottega dei Da Maiano dopo la morte di Benedetto nel 1497: alcune soluzioni di modellato, ravvisabili anche nell’esemplare qui offerto, furono infatti condivise negli intagli a tutto tondo realizzati da entrambe.

I confronti più stringenti possono essere stabiliti con il Crocifisso conservato presso la chiesa di San Lorenzo di Fossato (Prato), ricondotto alla mano di Leonardo Del Tasso (cfr. F. Traversi in «Fece di scoltura di legname e colorì». Scultura del Quattrocento in legno dipinto a Firenze, a cura di A. Bellandi, Firenze 2016, p. 248), il cui modello è stato riconosciuto nell’opera di Benedetto Da Maiano nel duomo di Firenze.

La nostra scultura lignea ne ripropone, in un formato ridotto, l’inclinazione della testa, i capelli divisi in ciocche serpentiformi, le dita delle mani contratte verso l’interno, l’arricciarsi del perizoma realizzato di una stoffa imbevuta di gesso e colla e dipinto di azzurro, e la descrizione anatomica.

Medesima è infine l’attenta e perlopiù intatta policromia.

                                                 

                                                                          

Stima   € 8.000 / 12.000
202

Da Pietro Bernini, secolo XIX

SATIRO A CAVALLO DI UNA PANTERA

gruppo in pietra artificiale, cm 130x62x67

 

After Pietro Bernini, 19th century

SATYR WITH PANTHER

artificial stone, cm 130x62x67

 

Provenienza

Firenze, collezione privata

 

Bibliografia di confronto

A. Bacchi, A. Coliva, Bernini (cat. mostra Roma, Galleria Borghese, 1 novembre 2017 – 4 febbraio 2018), Milano 2017, pp. 32-33

 

Nel 1999 Irving Lavin rendeva nota una replica dell’importante gruppo marmoreo con Satiro a cavallo di una pantera, acquistato per i Musei Statati di Berlino nel 1884 da Wilhem Bode attraverso il mercante fiorentino Stefano Bardini, ancora oggi nel giardino di Villa Corsi Salviati a Sesto Fiorentino, ricollegandola a un documento del 1595 in cui era menzionato Pietro Bernini (I. Lavin, Bernini giovane, in Bernini dai Borghese ai Barberini, a cura di O. Bonfait e A. Coliva, Roma 2004, pp. 144-146). Successivamente un importante ritrovamento archivistico ha confermato non solo la paternità dello scultore toscano, genitore del più celebre Lorenzo, ma altresì la committenza da parte di Jacopo e Bardo Corsi che saldarono il lavoro allo scultore tra il 1595 e il 1598.

Data la stringente analogia compositiva del gruppo scultoreo qui offerto con quello giunto a Berlino alla fine dell’Ottocento è possibile ipotizzare che la sua esecuzione, in un impasto in pietra artificiale assai utilizzato nel XIX secolo per la sua duttilità nella lavorazione, risalga proprio al momento della vendita da parte della famiglia Corsi Salviati del suo importante arredo di fine Cinquecento. Esso avrebbe infatti fornito un modello per la realizzazione della replica sistemata nel giardino della villa di Sesto Fiorentino.

 

Stima   € 5.000 / 7.000
Aggiudicazione  Registrazione
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