DIPINTI ANTICHI

15 MAGGIO 2018

DIPINTI ANTICHI

Asta, 0250
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15:30
Esposizione

FIRENZE
11 - 14 Maggio 2018
orario 10-13 / 14–19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   2000 € - 60000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 58
58

Agostino Ciampelli

(Firenze 1565- Roma 1630)

MADONNA CON IL BAMBINO E SAN GIOVANNINO

olio su rame, cm 22x16,8

 

 

Agostino Ciampelli rientra tra i pittori fiorentini la cui formazione giovanile si svolse nell'ambito della riforma antimanieristica di Santi di Tito che mirava a una semplificazione formale dei soggetti e a una maggior aderenza alla realtà nei suoi aspetti più teneri e quotidiani.

Nel 1589 Ciampelli lavorò all'interno della bottega del maestro per gli apparati decorativi in occasione delle nozze di Ferdinando I dei Medici e Cristina di Lorena eseguendo su un arco di trionfo provvisorio al canto dei Carnesecchi la scena con il Duca di Guisa che assale Calias. Dopo aver eseguito a Palazzo Corsi, intorno al 1593, un ciclo di affreschi con Storie di Caino e Abele e di Ester ed Assuero, ottenne l'apprezzamento del cardinale Alessandro de' Medici (futuro papa Leone XI), che divenne suo protettore; si trasferì quindi a Roma dove rimase fino alla morte nel 1630.

Il delizioso olio su rame qui presentato, raffigurante la Madonna con il Bambino e San Giovannino, rientra nella produzione tipica di Ciampelli le cui opere si distinguono per la pennellata corposa e densa e per la forte carica devozionale dovuta alla vicinanza agli stilemi della Controriforma. Dolce è il gesto di Maria che mostra a San Giovannino Gesù bambino addormentato alzando il velo del lenzuolo ricoperto di fiori. Si tratta di un delicato espediente dell'artista per prefigurare la tragedia della morte di Gesù.

 

Stima   € 4.000 / 6.000
40

Giandomenico Cignaroli

(Verona, 1724-1793)

CRISTO RISORTO APPARE A SAN FRANCESCO DI SALES E SAN GAETANO DI THIENE CON ANGELI E ANIME PURGANTI

olio su tela, cm 65x43,5

 

Bibliografia di riferimento

F. Benuzzi, Appunti per il catalogo di Giandomenico Cignaroli, in “Arte Documento”, 32, 2016, pp. 224-229;

F. Magnani (a cura di), Il Settecento a Verona: Tiepolo, Cignaroli, Rotari; la nobiltà della pittura, catalogo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 26 novembre 2011 - 9 aprile 2012), Cinisello Balsamo 2011.

 

Il catalogo pittorico di Giandomenico Cignaroli è stato arricchito grazie a recenti studi che ne hanno maggiormente messo a fuoco l' originale fisionomia artistica, e lo hanno distinto dal più noto fratello Giambettino, indiscusso protagonista del panorama artistico veronese settecentesco, riconosciuto dalla critica come suo unico maestro.

Si riconosce nella teletta qui offerta il bozzetto preparatorio per la pala eseguita da Giandomenico per la chiesa della Santissima Trinità e ora conservata presso il museo civico di Crema (fig. 1): all’interno di una maestosa ambientazione caratterizzata da un classicheggiante arco a tutto sesto, spesso utilizzata nelle opere di entrambi i Cignaroli, le figure sono disposte secondo un tradizionale schema piramidale alla cui sommità è collocato il Cristo. Rispetto alla redazione definitiva, il nostro bozzetto mostra alcune varianti nella presenza della croce che accompagna l’apparizione del Risorto e nella disposizione dei santi ma già è messa a punto l’insistito partito chiaroscurale su cui si fonda il linguaggio pittorico del Cignaroli.

Ricchi di fascino sono i panneggi increspati in fitte piegature costruite grazie al contrasto tra mosse pennellate intrise di bagliori di luce e zone dai toni più scure dove si annidano le ombre.

 

 

DIDASCALIA IMMAGINE DI RIFERIMENTO

 

fig. 1 Giandomenico Cignaroli, Cristo appare a San Francesco di Sales e San Gaetano di Thiene con angeli e anime purganti, Crema, Museo Civico

 

 

Stima   € 6.000 / 8.000
2

Pittore fiorentino, primo quarto del sec. XV

CRISTO CROCIFISSO

tempera su tavola sagomata, cm 64x39

 

La croce sagomata qui offerta rientra all’interno della tradizione delle croci dipinte che oltre al pregio artistico avevano un’importante funzione religiosa-liturgica.

Alle grandi croci che campeggiavano nelle navate principali delle basiliche, sospese in asse con l’altar maggiore, si accostano esemplari coevi di minori dimensioni la cui funzione spaziava dalla devozione privata all’impiego nelle processioni; per questo motivo erano solitamente dipinte da entrambi i lati.

L’uso di crocifissi sagomati si protrae fino al secolo XV mettendo in evidenza la centralità del mistero della croce e l’esperienza spirituale ad essa connessa relativa alla meditazione sulla passione di Gesù.

Al primo quarto del Quattrocento possiamo far risalire il nostro esemplare collocandolo in ambito fiorentino. Le dimensioni contenute lo identificano come un oggetto destinato al culto privato.

Dal punto di vista stilistico la nostra croce sagomata mostra notevoli affinità con quella del Maestro del Codice Squarcialupi conservata presso l'Harvard Univerisity Art Museum, Fogg Art Museum, Cambridge (Ma).

Questa croce, precedentemente attribuita a Lorenzo Monaco (Fototeca Zeri, scheda n. 11245, busta 0129, fasc. 3), è una tempera su tavola con dimensioni simili alla nostra: cm 63,3x41,7.

Le analogie ritornano anche nella punzonatura dell’aureola, nel modo in cui è trattata la muscolatura del corpo tesa in uno spasimo di dolore, nel panneggio del perizoma con la decorazione a puntini dei bordi e nella resa allungata delle mani e dei piedi da cui sgorgano contorti rivoli di sangue; infine la testa reclinata sulla spalla e gli occhi chiusi nella sofferenza riportano all’iconografia tipica del “Christus patiens”.

 

Stima   € 6.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
24
Stima   € 6.000 / 8.000
37

λ

Thomas van der Wilt

(Delft, 1659-1733)

RITRATTO DI FAMIGLIA

olio su tela, cm 152,5x123

firmato e datato 1708 in basso a destra sul gradino

 

Provenienza

Colonia, Lempertz, 12 marzo 1938

Londra, Christie, 11 dicembre 1987

New York, Sotheby, 1 giugno 1990

 

Referenze fotografiche

Rijksbureau voor Kunsthistorische Documentatie (RKD), n. 95633

 

L’opera è corredata di perizia scritta di Eduard A. Safarick, datata 13 febbraio 1995.

 

L’autore di questo articolato Ritratto di famiglia è il pittore e incisore Thomas Van Der Wilt, attivo fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento a Delft, dove fu allievo di Jan Verkolje, noto ritrattista e pittore di genere.

Offre uno stringente confronto con la nostra, un’altra sua tela firmata raffigurante una Coppia al tavolo da gioco, conservata presso la Gemäldegalerie di Berlino, citata da Safarick nella perizia che accompagna l’opera.

Il ritratto di gruppo qui offerto veicola non solo le effigi dei componenti della famiglia, purtroppo anonima, e del loro elevato stato sociale ma, nella migliore tradizione della pittura olandese, un preciso messaggio etico e morale, legato all’educazione dei bambini, qui in posa insieme ai genitori nel giardino della loro dimora.

Allude alla crescita dei figli, il nido con quattro uccellini che tiene in mano la bimba sulla carrozzella trainata da una capretta, simbolo del vizio che deve essere domato, contrapposto alla presenza, dalla parte opposta, del virtuoso agnello.

In secondo piano spicca un grande vaso con un bassorilievo raffigurante una scena bacchica, un’immagine di dissolutezza contrastata da un emblema del saldo legame matrimoniale quale il putto in volo che regge la nappa del tendaggio rosso e un anello.

 

Stima   € 7.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
10

Onorio Marinari

(Firenze, 1627 - 1715)

SALOMÉ CON LA TESTA DEL BATTISTA

olio su tela, cm 131x99

 

Interessante inedito di Onorio Marinari, il dipinto qui offerto propone un’ulteriore variante di un tema altre volte affrontato dal pittore fiorentino.

Celebre la raffinata versione a mezza figura che nel museo di Budapest si accompagna a una Giuditta, tema affine anch’esso più volte proposto dal Marinari in diverse soluzioni compositive.

Il nostro dipinto trova però immediato confronto con le due redazioni, tra loro variate in numerosi dettagli ma fondamentalmente consonanti nella presentazione della scena, conservate nella Strossmayerova Galerije di Zagabria e in collezione privata (già in vendita a Copenhagen nel 1965) pubblicate da Silvia Benassai (Onorio Marinari pittore nella Firenze degli ultimi Medici, Firenze 2011, nn. 61 e 62, rispettivamente; il primo dipinto pubblicato anche da Bellesi come in collezione privata).

Come nella tela qui offerta, Salomè è raffigurata a tre quarti di figura nell’atto di presentare su un piatto velato di lini candidi la testa recisa del Battista, mentre volge la persona e lo sguardo in direzione opposta. Tra loro consonanti, i dipinti citati differiscono da questa nuova versione appunto per la collocazione della testa in primo piano a destra, oltre che per una serie di motivi secondari riguardanti le vesti e i gioielli della protagonista, i tratti del Battista, nimbato solo nella versione di Zagabria, e i motivi del merletto che orla il panno bianco.

Fedele al canone fiorentino inaugurato della celebre Giuditta di Cristofano Allori, Marinari veste la sua protagonista degli abiti più belli e dei gioielli più raffinati, compiacendosi del contrasto tra il manto rosso e dorato e il blu intenso dell’abito, ma ancor più di quello tra bellezza e crudeltà impersonati da Salomè.

Una datazione tra ottavo e nono decennio del Seicento, proposta per le due redazioni qui citate, può senza dubbio convenire anche al nostro dipinto, la cui attribuzione a Marinari è stata confermata da Silvia Benassai, che vivamente ringraziamo, a seguito di visione diretta.

 

Stima   € 7.000 / 10.000
14

Ferraù Fenzoni

(Faenza 1562-1645)

SACRA  FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO E SANTA CATERINA DA SIENA,

olio su rame, cm 24,5x19   

 

Il dipinto è corredato da parere scritto di Alessandra Giannotti di cui riportiamo i passaggi salienti:

 

"Una magnifica cornice a cartouche con teste di cherubini di gusto quasi neoquattrocentesco inquadra una scena descritta con toni di sciolta naiveté. Due teneri bambini stretti in un morbido abbraccio si accoccolano su una cesta da cucito da cui debordano panni immacolati. Alle loro spalle la giovane madre veglia protettiva sui giochi degli infanti, mentre di fronte a lei una monaca domenicana le offre devotamente il proprio cuore. (...) Se non fosse per gli esili nimbi che denunciano in questi personaggi i protagonisti di un evento sacro (...) si potrebbe quasi pensare ad un brano domestico di vita cortese. (...) È il primissimo piano che (...) qualifica il tutto: una croce di canna con cartiglio, come prefigurazione del sacrificio di Cristo, e il giglio ed il libro, che segnalano in uno dei bambini San Giovannino, e nella figura di monaca Santa Caterina da Siena. Sciolti gli ultimi dubbi non sarà difficile riconoscere l'immagine di una Sacra famiglia.

Dismessi i raffinati stilismi sistini di cui pure riaggiorna qualche traccia nelle rubizze teste angeliche della cornice, esemplate sulle piene morfologie arpinati, andrà imputato agli struggenti umori nordici che caricano il paesaggio, l'indizio per una pista romana di questo prezioso rametto. tuttavia s'impone, rispetto alla 'fiammata espressionista' che aveva animato i cicli promossi da Sisto V, l'osservazione da parte del nostro autore, di un aggiornamento su nuove esigenze formali improntate ad un certo classicismo dal pacato contenuto narrativo. È possibile dunque osservare, pur nei toni di una glaciale eleganza, appena trattenuta, e di un sottile grafismo alla nordica, la tendenza a superare le più comuni astrazioni manieristiche. Proprio questa disposizione che volge verso un quadro di maggio naturalismo suggerisce di cercare il nostro artefice nella nutrita schiera di quei maestri che, approdati a Roma nel vivo dei cantieri sistini, volsero il loro felice decorativismo al servizio della nuova chiesa riformata.

Ciò è quanto occorse al faentino, naturalizzato romano, Ferraù Fenzoni che come rubrica puntualmente Giovanni Baglione fu chiamato a dipingere importanti cicli decorativi nella Biblioteca Vaticana e nella Scala Santa, ma anche in Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e in Santa Maria in Trastevere.

Fu proprio la rete di conoscenze messa a punto nella capitale che gli valse la frequentazione con la famiglia Cesi, certamente conosciuta durante l'opera prestata nella Chiesa Nuova.

Da questa occasione sarebbe nata la salda comunione artistica e spirituale con il vescovo Angelo Cesi che lo volle per quasi un decennio a Todi quale interprete figurativo della nuova missione pastorale della Chiesa riformata. (…) L'artista fu nella città tuderte dal 1593 al 1599, dove licenziò i suoi principali cicli decorativi, quali quelli per il Palazzo Vescovile e la Cattedrale (…). È proprio da opere di questo periodo quali Cristo, la Vergine ed i Santi con le anime del purgatorio (Todi, Pinacoteca Comunale) (…) che giungono alcuni dei confronti più puntuali col nostro rametto. Del tutto simile appare per esempio la tendenza, comune ance alla nostra Vergine, a costruire volti perfettamente ovali, in cui l'artista scava dalla pienezza delle gote profonde orbite oculari dalle ombreggiature quasi bluastre, cui s'affiancano patetiche espressioni d'affetti capaci persino di sciogliere la sodezza delle forme, come avviene per esempio all'esile Santa Caterina. (…)  Sono queste le scelte stilistiche che avrebbero improntato anche la sua più tarda attività faentina, seguita alla partenza da Todi. Ciò almeno è quanto attestano le decorazioni del Duomo cittadino e le tele dello stesso complesso dedicate alla Vita di San Carlo Borromeo. Qui l'artista avrebbe definitivamente smagliato la serrata trama grafica degli anni giovanili cedendo ad una più tenera orchestrazione fatta di chiaroscuri. Sebbene lo stile deponga dunque per un Fenzoni maturo, la ricercata eleganza dell'insieme ed il caratteristico impianto teatrale dagli ampi cortinaggi (…) dichiarano un artista ancora disposto a rileggere forti suggestioni romane.

Il prezioso rametto, che disporremo dunque sullo scadere del soggiorno umbro del Fenzoni, ed a stretto ridosso del suo rientro romagnolo, aggiunge oggi una preziosa testimonianza alla produzione di piccolo formato del pittore faentino noto prevalentemente per la sua attività di grande decoratore".     

                         

Stima   € 8.000 / 12.000
11

Scuola napoletana, sec. XVII

SAN SEBASTIANO CURATO DA SANT'IRENE

olio su tela, cm 131.5x181

 

 

L’inedita tela qui presentata è riconducibile con ogni evidenza alla produzione napoletana tra terzo e quarto decennio del Seicento, e più precisamente all’intersezione tra il caravaggismo espresso dai seguaci di Battistello Caracciolo, i modelli proposti da Artemisia e dai suoi stretti seguaci e le nuove istanze di temperato naturalismo sostenute dai più giovani Francesco Guarino e Massimo Stanzione.

Alcuni motivi, in particolare il tipo della fanciulla assorta nella cura del giovane martire, ricordano altresì esiti di Hendrik van Somer in opere napoletane quali il Sansone e Dalila o la Guarigione di Tobia, confermando l’appartenenza del nostro dipinto all’ambito del caravaggismo meridionale

Tra le possibili proposte attributive, quella di Nicola Spinosa (espressa da fotografia) a favore del cosiddetto Maestro di Fontanarosa, individuato per la prima volta da Ferdinando Bologna a partire dall’Ultima Cena conservata nella parrocchiale di San Nicola a Fontanarosa, nell’avellinese. Controversa tuttavia la ricostruzione del corpus dell’anonimo maestro e, di conseguenza, la sua identificazione. Bologna proponeva infatti di accostare il suo name-piece al catalogo di Gerolamo De Magistro, autore di una Santa Lucia, firmata, in Santa Maria della Sanità a Napoli.

Generalmente accettata è oggi l’ipotesi di chi riconosce invece la mano del Maestro nelle figure seicentesche degli Apostoli aggiunti alla Vergine Assunta dipinta da Teodoro d’ Errico in San Gregorio Armeno: un pittore che i documenti accertano chiamarsi Giuseppe Guido, o “di Guido”, su cui è intervenuto Vincenzo Abbate, ritenendolo un seguace di Alonso Rodriguez e, più recentemente, Giuseppe Porzio in occasione della mostra Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (Napoli, Museo di Capodimonte, 2009) a cui furono esposte varie opere a lui attribuite.

 

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
6

Bottega di Orazio Samacchini, sec. XVI

SAN GIOVANNINO PORTATO IN CIELO DAGLI ANGELI, SANTA CATERINA E SANTO MONACO

Olio su tela, cm 84x68

 

Provenienza

Firenze, Pandolfini, 10 dicembre 1987;

collezione privata

 

Bibliografia di riferimento

U. Bazzotti, Laureti e Samacchini: due tele nel Palazzo Ducale di Mantova, in “Paragone” 39.1988, pp. 75-80;

J. Winkelmann, Orazio Samacchini in Pittura bolognese del 500, 2, Bologna 1986, pp. 631-682

 

Il dipinto è corredato di parere scritto di Mina Gregori che lo ritiene autografo del Samacchini.

 

La dinamica composizione riprende con qualche variante quella dipinta in una piccola pala conservata nei depositi del Palazzo Ducale di Mantova (olio su tela, cm 115x95, inv. 12218). Riconosciuta e pubblicata come opera di Orazio Samacchini in un articolo della rivista Paragone nel 1988, la tela di Mantova veniva riferita agli ultimi anni di attività del pittore per via della disposizione piramidale delle figure arricchita di inedite suggestioni spaziali, ravvisabili anche negli affreschi eseguiti nella chiesa di sant’Abbondio a Cremona tra il 1575 e il 1577.

Le dimensioni contenute hanno fatto supporre una destinazione privata per quest’opera e assai probabilmente anche quella qui offerta, di formato ancora più ridotto, fu destinata al culto privato: il San Silverio papa in primo piano sulla tela mantovana, identificabile grazie a una scritta che corre sul risvolto del manto papale, è stato, proprio per la differente destinazione, trasformato in un santo monaco.

I solidi e nitidi volumi, i tratti fisionomici, i panneggi geometricamente rilevati e l’eloquenza gestuale dei personaggi, nonché la chiara intelaiatura spaziale, permettono senz’altro di avvicinare anche il nostro dipinto al fare pittorico del Samacchini, ma certe soluzioni più sintetiche nella resa delle figure, soprattutto ravvisabili negli angeli che reggono i simboli delle virtù, nel san Giovannino e nel Dio padre tra le nuvole, conducono più prudentemente a considerarlo valida opera della sua bottega.

 

Stima   € 8.000 / 12.000
52

λ

Christian Berentz

(Amburgo 1658-Roma 1722)

PESCHE E UVA SU UN PIANO DI PIETRA CON FIORI DI GELSOMINO

olio su tela, cm 42,7x52,3

siglato e datato a destra tra le foglie “C. B. 1717”

 

Provenienza

Londra, Sotheby’s, 1993; collezione privata

 

Bibliografia

G. Bocchi – U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630-1750, Viadana 2005, p. 287 e 289, fig. CB 5.

 

Raffinatissimo esempio della produzione romana di Christian Berentz, il dipinto propone una composizione già sperimentata con alcune varianti dall’artista amburghese in un dipinto di minori dimensioni che differisce dal nostro per i fiori in primo piano – in quel caso uno solo – e per lievi varianti nelle fratture della lastra di pietra, oltre che per l’assenza di sigla e data.

Quest’ultima consente di riferire il dipinto a un’epoca molto avanzata dell’artista, e lo rende quasi coevo di una composizione di identiche dimensioni ma arricchita da un cesto di prugne datata del 1716 (Bocchi, citato, p. 289, fig. CB 4) e addirittura coincidente per data con il cosiddetto “Spuntino elegante”, forse il più celebre tra il gruppo di nature morte di Berentz a Roma nella Galleria Corsini.

E’ questo, peraltro, il modello iconografico e compositivo ripreso dal suo unico allievo identificabile con certezza, Maximilian Pfeiler, attivo a Roma almeno fino al 1721 e, diversamente dal maestro, a capo di una numerosa bottega che diffuse con esiti alterni i modelli raffinati e curatissimi del pittore di Amburgo.

 

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 58