MAIOLICHE E PORCELLANE DAL XV AL XVIII SECOLO

18 APRILE 2018

MAIOLICHE E PORCELLANE DAL XV AL XVIII SECOLO

Asta, 0247
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 10.30
Esposizione

FIRENZE
13 - 17 Aprile 2018
orario 10-13 / 14–19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   300 € - 30000 €

Tutte le categorie

31 - 60  di 158
31

PIATTO, URBINO O DUCATO, 1540-1550

in maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde ramina, bruno di manganese, giallo antimonio nei toni del giallo e dell’arancio. Il piatto ha cavetto profondo, tesa obliqua con orlo arrotondato e poggia su basso piede ad anello, mentre il retro non mostra decorazioni. Sul fronte è raffigurata l’officina di Vulcano: sulla destra il dio è intento a battere un’arma sull’incudine, al centro Cupido, armato di arco, lo osserva da vicino, sulla sinistra Venere, seduta su una roccia, guarda verso l’esterno, mentre in alto al centro un amorino, circondato da nuvolette a chiocciola, sorvola la scena chiusa da due alberi sinuosi; sullo sfondo un paesaggio con una città collinare compresa tra un lago e alcune montagne aguzze con un largo ponte che la collega ad un’isola. La raffigurazione è tratta liberamente da diverse fonti: l’incisione di Marcantonio Raimondi Vulcano, Venere e Eros sembra aver ispirato la figura di Venere seduta davanti ad un albero con ampio paesaggio fluviale sullo sfondo, ma anche il maglio appoggiato sul tronco, mentre la figura di Vulcano è più prossima all’incisione di Marco Dente. Lo stile pittorico è vicino a quello della bottega di Guido Durantino, poi bottega Fontana, ancora legata alla produzione urbinate per la scelta cromatica e per il paesaggio retrostante, con una sorta di ponte che compare in molte opere considerate di Urbino. Inoltre un piatto con il medesimo soggetto, realizzato in modo molto simile, è conservato nel museo della Fondazione Banco di Sicilia, studiato e pubblicato da Elisa Sani; alt. cm 4,8, diam. cm 25,2, diam. piede cm 7,4

 

Bibliografia di confronto

E. Ivanova, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell’Ermitage, catalogo della mostra, Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza 2003, p. 93 n. 67, p. 100 n. 77;

R. Ausenda (a cura di), Le collezioni della fondazione Banco di Sicilia. Le maioliche, Milano 2010, pp. 136-139 n. 50

 

Stima   € 9.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
32

PIATTO, URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DI MERLINO, 1542 CIRCA
in maiolica dipinta in policromia con verde, giallo, giallo-arancio, blu di cobalto e bruno di manganese. Il piatto presenta un cavetto poco profondo, una larga tesa orizzontale con orlo arrotondato listato di giallo e poggia su un piede ad anello poco rilevato. Sul fronte la decorazione si sviluppa su tutta la superficie della coppa e mostra un gruppo di sette figure in abiti romani con elmi e lorica, dei quali uno indossa un cappello frigio e un altro tiene porta per un mano un bimbo ignudo, forse l’episodio di “Cupido portato a Didone”. Le figure hanno corpi massicci e muscolosi, con polpacci arrotondati ma delineati con delicatezza, e piedi allungati. Un confronto particolarmente calzante ci deriva invece dal piatto raffigurante la vicenda di Perillo, conservata all’Ashmolean Museum di Oxford (Inv. WA1947.191.263). Sovrapponibile morfologicamente e stilisticamente al nostro, mostra uguale impostazione decorativa nella sovrapposizione di più piani con zolle erbose di diversi colori interessate dalla presenza di ciottoli arrotondati e con ciuffi di erba appena accennati, ma anche lo stesso stile nel delineare le figure, come ad esempio i piedi allungati e arcuati con caviglie assottigliate e talvolta mostrati di fronte con le dita un poco aperte, la forma degli elmi e delle loriche e altro ancora. Timothy Wilson, che ha pubblicato l’opera, sottolinea la presenza di un emblema bipartito riferibile ad un servizio prodotto attorno agli anni quaranta per la famiglia Hörwart-Schellenberg, mercanti di Augsburg e Nuremberg con interessi commerciali in Italia: forse la credenza fu prodotta nel 1528 in occasione del matrimonio. Si tratta di una serie di piatti, circa una trentina, recanti questo emblema e conservati nei principali musei europei: tra questi il confronto con alcuni piatti conservati nell’Herzog Anton Ulrich Museum Braunschweig e pubblicati da Johanna Lesmann conferma l’attribuzione: si veda in particolare, oltre a quanto già detto dei personaggi, la stringente somiglianza con i paesaggi montuosi dello sfondo e con la città che si intravede sulla destra del piatto con “la morte di Virginia”, dietro l’emblema e un ampio tendaggio. Alt. cm 4,4, diam. cm 28, diam. cm 12,2

Stima   € 7.000 / 10.000
35

PIATTO, URBINO O DUCATO, FORSE PESARO,1541

in maiolica decorata in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, giallo arancio, verde ramina e bruno di manganese. Sul retro al centro in blu di cobalto la scritta: diana con lesoi ni ninfe / 1541; alt. cm 3,5, diam. cm 28,2, diam. piede cm 10

 

Bibliografia di confronto

E. Ivanova, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell’Ermitage, Faenza 2003, p. 98 nn. 73-74;

J. Lessmann, Italianiche majolicka aus Goethes Besitz, Stuttgart 2015, p. 176-177 n. 61;

T. Wilson, Italian maiolica and Europe. Medieval, Renaissance, and later Italian pottery in the Ashmolean Museum, Oxford 2017, p. 169 n. 65

 

Il grande piatto ha profondo cavetto e larga tesa obliqua con orlo arrotondato, il retro poggia su un basso piede ad anello appena accennato, listato da tre cerchi concentrici dipinti in giallo. Sul fronte una ricca e complessa decorazione, per la quale non si è trovato finora riscontro nelle incisioni (probabilmente più di una), narra alcuni episodi della vita di Diana. A sinistra sulla tesa la dea Diana è seduta presso una fonte e dialoga con alcune Ninfe raffigurate sedute, di spalle o appena nascoste tra gli alberi, indicando con la mano la Ninfa posta ignuda davanti a lei. Al centro del cavetto un incontro amoroso dietro un albero, Diana che ammira il suo unico casto amore, il giovane Endimione, per amore del quale la dea chiese a Giove di farlo addormentare in un sonno perpetuo in modo da poter trascorrere ogni notte con lui a contemplarlo. Forse, e con maggiore probabilità, pensiamo che si tratti del sottile stratagemma utilizzato da Zeus che si tramutò in Diana per insidiare la Ninfa Callisto, poi trasformata in orsa dalla Dea nel momento in cui durante un riposo dalla caccia questa si scoprì, rivelando il suo stato. Sullo sfondo, poi, la figura di Diana a caccia con i cani e lo scorcio di un paesaggio con città turrite, ponti, un corso d’acqua e alte montagne al tramonto. In basso a destra infine, sulla tesa, una roccia con un gradino scolpito. Alcuni elementi nel piatto, quali il modo rapido di tracciare le figure, il gradino scolpito e soprattutto la figurina di Diana che caccia sullo sfondo, fanno pensare alla mano di Francesco Durantino, ma la data posta sul retro è precoce rispetto alla sua presenza nella bottega di Guido da Merlino. Anche l’erba dalle foglie grasse ai piedi dell’albero sinuoso posto al centro del piatto, decorato con un ramo rampicante di fiori, è un altro elemento molto pregnante. Tuttavia alcuni piatti con datazione molto prossima portano a riflettere su movimenti di maestranze all’interno del Ducato di Urbino: per esempio il piatto dell’Ermitage con il matrimonio di Psiche (Inv. n. F 852) datato 1541 mostra alcuni tratti fisiognomici delle figure femminili vicini alle nostre, come pure il piatto con Venere e Psiche della stessa collezione (Inv. n. F 2507). Un altro gruppo di opere con caratteristiche simili è variamente attribuito tra Pesaro e Urbino, come ad esempio il piatto con Giove e Semele, datato 1542, che Johanna Lesmann attribuisce alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Oppure si veda quanto suggerito da Timothy Wilson nel recente catalogo dell’Ashmolean Museum per il piatto con medesimo soggetto con Giove e Semele e caratteristiche stilistiche simili a quelle del museo tedesco, anch’esso databile attorno al 1542: lo studioso osserva che nonostante alcune caratteristiche che ci fanno pensare a Francesco Durantino, la data anche per questo piatto è precoce, ed il pittore allora era forse ancora a Monte Bagnolo, ipotizzando pertanto uno spostamento di maestranze e forse un contatto tra i pittori proprio in quegli anni. Uno studio più accurato della scritta sul retro e del modo di tracciare in particolare la data potrebbe portare interessanti sviluppi nello studio dell’opera.

 

Stima   € 30.000 / 40.000
36

PIATTO, URBINO O DUCATO, 1540-1550

in maiolica decorata in blu di cobalto, verde ramina, bruno di manganese, giallo antimonio nei toni del giallo e dell’arancio. Sul retro iscrizione al centro del piede iscrizione in corsivo Joditio de parise. Alt. cm 4,4, diam. cm 26,8, diam. piede cm 10,4

 

Il piatto ha profondo cavetto, tesa obliqua con orlo arrotondato, e poggia su basso piede ad anello, mentre il retro è ornato da righe gialle che sottolineano i contorni e al centro reca la scritta esplicativa della scena riprodotta sul fronte. Il piatto mostra una raffigurazione molto fedele all’incisione di riferimento, una delle più amate nelle botteghe ceramiche rinascimentali. La scena è compresa in una quinta arborea e rocciosa, mentre sullo sfondo si vede un paesaggio con una citta collinare compresa tra un lago e alcune montagne; nel cielo si staglia una figura di amorino che porta un ramo di mirto, mentre al centro del cavetto Paride, seduto su una roccia, pone il pomo della discordia nella mano di Venere accompagnata da Eros, mentre Giunone alza il dito in segno di diniego; alle loro spalle Minerva si riveste delle sue armi e Mercurio assiste alla scena; sul fronte una zolla erbosa e uno specchio d’acqua, secondo i canoni della bottega Fontana. La raffigurazione è parzialmente tratta dall’incisione di Marcantonio Raimondi, derivata da una composizione di Raffaello per le stanze della Segnatura in Vaticano, che venne trasmessa da un disegno oggi disperso, cui si ricollegano altri fogli, copie o studi di parti della scena. Le caratteristiche dello stile pittorico delle figure, lo specchio d'acqua all'esergo del cavetto, le rocce ed altri elementi trovano riscontro nell'ambito della bottega urbinate Fontana, ma alcune caratteristiche del paesaggio lasciano più aperta l'attribuzione.

 

Stima   € 15.000 / 25.000
37

CRESPINA, FAENZA, TERZO QUARTO SECOLO XVI

in maiolica con impasto giallo camoscio chiaro, dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, blu di cobalto e bruno di manganese. La coppa con umbone centrale rilevato, tesa baccellata e orlo sagomato, poggia su alto piede appena estroflesso, è decorata sulla tesa con settori a spicchi alternati, disposti simmetricamente attorno all’umbone centrale, che mostra la figura della Maddalena su un fondo giallo. Entro le riserve sono dipinti tralci fogliati, foglie stilizzate e delfini su fondo arancio e blu. Sul retro un decoro a petali concentrici delineato in modo corrivo nei toni del giallo e del blu. Siamo di fronte ad una crespina “a quartieri”, tipica della produzione faentina, che ebbe grande successo intorno alla metà del Cinquecento. Tra i numerosi esemplari di confronto segnaliamo la coppa con la Maddalena del Victoria and Albert Museum (Inv. N. 1720-1855), simile per impostazione, mentre per la sola figura della Maddalena, ma con caratteristiche stilistiche e scelta morfologica differente, si veda la crespina del Museo d’arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano, alla cui scheda rimandiamo anche per la lettura iconografica della figura; alt. cm 5, diam. cm 24, diam. piede cm 10,8

 

Bibliografia di confronto

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra 1977, pp. 83-84 n. 265, tav. 42 n. 265;

C. Ravanelli Guidotti in R. Ausenda (a cura di), Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, Tomo II, Milano 2001, p. 136 n. 134

Stima   € 8.000 / 12.000
38

ALBARELLO, FAENZA, SECONDA METÀ SECOLO XVI

in maiolica decorata in bicromia con blu di cobalto e giallo antimonio, corpo cilindrico con ampia imboccatura dall’orlo estroflesso, breve collo cilindrico su spalla arrotondata, corpo appena panciuto che si conclude in una netta rastrematura verso il piede basso, con orlo arrotondato e base piana. La decorazione occupa l’intera superficie del vaso e mostra un motivo complesso che parte dal fronte, dove compare un braccio che sorregge una ghirlanda sormontata da tre stelle entro un medaglione ovale con cornice a cartouche; tutto intorno un ornato a tralci fogliati e cornucopie che si fondono, fino a congiungersi con due Chimere affrontate sul retro del vaso. La scritta farmaceutica in caratteri capitali EMLM DEBETTINO corre lungo il piede, mentre l’orlo superiore e quello inferiore mostrano un motivo continuo a crocette. La forma semplice non è usuale nelle farmacie prodotte a Faenza nella seconda metà del secolo XVI, mentre il decoro rapido e contemporaneamente ricco e attento nelle proporzioni dei personaggi ricorda alcuni tra i prodotti migliori delle manifatture della città romagnola. Alcuni dettagli delle arpie con elmo che affiancano un busto di candelabro e lo stile pittorico rimandano all’albarello attribuito alla Bottega Mezzarisa, oggi conservato al Museo del Bargello, ma anche allo stile più rapido di certe arpie del Calamelli, soprattutto per la rapidità e la pienezza nello stendere il colore. E anche il confronto tecnico-stilistico con il grande albarello cilindrico presentato da Carmen Ravanelli Guidotti nella recente mostra sui Bianchi in Italia avvicina quest’opera alle principali botteghe faentine; alt. cm 19,5, diam. bocca cm 10,5, diam. piede cm 10,5

 

Provenienza

Sotheby Parke Bernet Italia, Firenze, Palazzo Capponi, 21 maggio 1979 (lotto 90)

 

Bibliografia di confronto

C. Ravanelli Guidotti, Emilia Romagna, p. 132 n. 5, in V. De Pompeis (a cura di), La maiolica italiana di stile compendiario: i bianchi, Torino 2010

 

Stima   € 2.000 / 3.000
Aggiudicazione  Registrazione
39

TONDINO, FAENZA, 1535 CIRCA

in maiolica decorata con blu di cobalto, giallo antimonio nei toni del giallo e giallo arancio, bianco di stagno; alt. cm 3, diam. cm 27,2, diam. piede cm 9

 

Bibliografia di confronto

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza, Faenza 1988, pp. 306-327;

T. Wilson, E.P. Sani, Le maioliche rinascimentali nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Vol. 1, Perugia 2006, pp. 72-73 n. 23

 

Il piatto ha profondo cavetto umbonato al centro, piede ad anello rilevato e ampia tesa a bordo arrotondato profilato di blu. Al centro del cavetto è delineato un medaglione con una composizione “a trofei”, con una lorica in primo piano, elmi e scudi, mentre una fitta decorazione circonda l’umbone con piccoli frutti di melograno associati a pigne, raccolti in cestini, con elementi puntinati a rilievo a circondare l’umbone riempiendo interamente il cavetto fino alla tesa, che reca un motivo a festone con foglie e frutta legate da nastri. Il fondo berettino è scuro, ricoperto interamente da decori sottili con piccole foglie e tocchi di luce in bianco di stagno. Sul verso, nel cavo del piede sono tracciate tre “B” paraffate. L’opera rientra nella produzione delle cosiddette “vaghezze e gentilezze di Faenza” su smalto azzurro detto “berettino”, categoria che rappresenta uno dei prodotti di maggior successo tecnologico e commerciale della città romagnola, declinato in più varianti. La qualità decorativa del piatto, lo stato di conservazione e la presenza delle lettere sul piede portano ad inserire l’opera tra le migliori di questa fortunata serie, e in particolare lo sfondo giallo arancio su cui si stagliano i trofei ne fanno un’opera che denuncia particolare attenzione nell’esecuzione. Sono molte le versioni di confronto, tra le quali va ricordato il piatto datato 1534 nelle raccolte del Museo di Faenza, insieme a quelli del Victoria and Albert Museum di Londra, del Danish Museum di Copenhagen, della raccolta della Cassa di Risparmio di Perugia

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
41

COPPIA DI ORCIOLI DA FARMACIA, FAENZA(?), 1550 CIRCA

in maiolica dipinta in monocromia blu con alcune parti in bruno marrone e giallo ocra, su fondo smaltato azzurro detto berettino, con tocchi di bianco stagno. La decorazione interessa l'intera superficie del vaso con motivo a larghe foglie tripartite dal contorno irregolare e boccioli stilizzati. Sotto l’ansa si estende un largo cartiglio arricciato ed accartocciato ai lati che reca le diciture D De Capari e D. De Mastici, delineati in lettere gotiche. La ripetitività della decorazione a fogliame in monocromia turchina, come ornamento per vasi apotecari, è da tempo motivo di riflessione da parte degli studiosi per la determinazione certa della provenienza di questa tipologia apotecaria. Il repertorio decorativo fitomorfo a foglia bipartita in monocromia cobalto su fondo azzurrato, usato in prevalenza per corredi apotecari, è stato per molto tempo attribuito a più centri di produzione italiana tra la fine del XVI e gli inizi del XVIII secolo. Riteniamo invece possibile un’eventuale attribuzione in ambito veneto, sostenuta dal confronto con i grandi piatti a fondo berettino con decoro fogliato, come ad esempio quello del Museo di Norimberga, nel quale il decoro mostra foglie bipartite in blu e azzurro e piccoli fruttini tondeggianti, che, seppur in uno stile più raffinato, ricordano molto l’ornato dei nostri vasi. Un piatto di minori dimensioni dello stesso museo, con solo decoro fogliato, sembra fornire inoltre un confronto stringente: lo stile più corrivo e soprattutto il bordo decorato con lo stesso motivo che compare sul collo e sul piede dei nostri vasi apotecari è spesso presente in opere venete, che hanno costituito un esempio per tutte le manifatture coeve. Però anche il confronto con opere faentine con decoro “a fogliami” del secolo XVI ci pare convincente, e forse più degli altri: infatti sia la forma allungata dell’orciolo, il cannello rivolto verso l’alto decorato con foglia frastagliata alla base, e la forma del piede alta su base molto aggettante dal profilo arrotondato, sia il ductus pittorico del decoro e del cartiglio, per quanto ispirato a esemplari veneti, trova valido riscontro in opere faentine, con le quali ci pare affine anche la qualità dello smalto berettino e del decoro “scuro”. Alt. cm 25, diam. bocca cm 7,8, diam. piede cm 9,8

Stima   € 6.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
42
Stima   € 1.500 / 2.500
Aggiudicazione  Registrazione
44

VASO AD ANFORA, URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, 1580-1600

in maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, blu di cobalto e bruno di manganese. Iscritto sul collo in bruno di manganese entro cartiglio ovale VRB/INI/.F. in lettere capitali sulle due facce; cm 54x34x27.

 

Bibliografia di confronto

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra 1977 (ripubblicato con le aggiunte di J.V.G. Mallet), pp. 294-295 nn. 882-883, tav. 142

 

Il vaso ha forma ad anfora con larga imboccatura dal bordo estroflesso, collo sottile che scende in un corpo ovaliforme poggiante su alto piede arricchito da anello a rilievo, con anse serpentiformi poggianti in basso su mascheroni dipinti di azzurro. Il decoro si sviluppa sull’intera superficie del vaso senza soluzione di continuità con un ornato a raffaellesche alternate ad animali e figure fantastiche, centrato sulle due facce da uno stemma nobiliare con un leone rampante su fondo blu unito a tre stelle e falce di luna (d’azzurro, al leone rampante d’oro, accompagnato nel cantone destro del capo da un crescente rovesciato d’argento, e da tre stelle a sei punte d’oro), inquadrato in una cornice architettonica sormontata da testa di putto alato e affiancata da due figure femminili; il piede presenta invece un motivo a baccellatura.

Le caratteristiche stilistiche e morfologiche del vaso portano ad attribuirlo alla bottega urbinate dei Patanazzi, come confermato anche dalla doppia iscrizione presente sul collo VRBINI F., negli anni tra il 1585 e il 1600 circa. A tal proposito si possono ravvisare affinità stilistiche ad esempio con la brocca con coperchio del Victoria and Albert Museum di Londra (inv. 4693-1858), che reca l’importante stemma del duca Guglielmo di Bavaria

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
45

COPPA, URBINO O DUCATO, 1540-1550

in maiolica decorata in blu di cobalto, verde ramina, bruno di manganese, giallo antimonio nei toni del giallo e dell’arancio. Sul retro cartiglio con le lettere “.S. .S.” tracciate in caratteri capitali. Alt. cm 6,4, diam. cm 26,8, diam. piede cm 12.

 

Bibliografia di confronto

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra 1977 (ripubblicato con le aggiunte di J.V.G. Mallet), p. 274 n. 823, pl. 130;

F. Grimaldi, D. Bernini, Le caramiche da farmacia della Santa casa di Loreto, Roma 1979, tav. XVI;

C. Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna 1985, pp. 157-163 nn. 118-121;

C. Leprince, in AA.VV., French Faïence. The Sidney R. Knafel Collection, Suffolk 2016, p. 103 n. 39

 

La coppa ha profondo cavetto e tesa appena rialzata con orlo arrotondato, poggia su alta base dal profilo rotondo con bordo appena estroflesso, entro il quale tra due cerchi paralleli compare un cartiglio con scritte in carattere capitale le lettere “.S. .S.”. Il fronte mostra un episodio molto celebre, ma poco raffigurato in maiolica: l’episodio di Susanna e i vecchioni, tema iconografico ispirato direttamente al cap. 13 del Libro di Daniele. La scena è compresa in una quinta architettonica costituita dal grande palazzo nel cui giardino Susanna era solita fare il bagno, la vasca protetta su più lati anche da una siepe; tuttavia la giovane venne molestata da due giudici anziani, al momento ospiti del marito, che al suo rifiuto l'accusarono di adulterio davanti a due servi accorsi: solamente l'intervento del profeta Daniele la fece scagionare. L’intervento di Daniele, che poi interroga personalmente i due calunniatori e ne fa emergere l'inganno, costituisce anche l'inizio del suo percorso pubblico di profeta. La reputazione di Susanna fu restituita all'onore, e la fama di Daniele crebbe fra il popolo.

La capacità prospettica dell’autore è notevole, i personaggi sono proporzionati e dipinti con grande cura, vasto l’uso delle lumeggiature di bianco di stagno sulle figure, ma anche sugli altri elementi. L’attribuzione resta incerta, e se da un lato si notano molti elementi di somiglianza con la produzione di pittori urbinati o pesaresi attivi a Venezia, dall’altro certe caratteristiche pittoriche restano ancora vicine ad opere urbinati, quali il servizio per la famiglia Carafa di Napoli, di cui alcuni esemplari sono conservati al Museo Civico di Bologna, realizzato ad opera della bottega Fontana attorno al 1560-1570. Il confronto con un‘opera con scena biblica di Lione, già attribuita a Nevers, e databile attorno al 1620, proveniente dalla collezione Damiron e recentemente pubblicata da Camile Leprince, trova una buona corrispondenza soprattutto nella resa delle architetture, sebbene lo stile pittorico dei personaggi risulti più corrivo di quello dell’opera in studio; tale piatto rimane comunque discusso, per Timothy Wilson si potrebbe ipotizzare un’origine italiana urbinate attorno al 1550. Più vicino stilisticamente al nostro piatto sembra invece quello del Victoria and Albert Museum (Inv. C.485-1921) datato agli anni ’40 del cinquecento.

Per la figura di Susanna possiamo fare riferimento a un’incisione della Bibbia di Francoforte del 1537 illustrata da Beham, in particolare alla tavola che raffigura "Betsabea al bagno", dalla quale è stata tratta una versione in maiolica molto vicina alla nostra dipinta in una delle idrie della farmacia della Sacra Casa di Loreto.

Stima   € 20.000 / 30.000
46

TONDINO, FAENZA, 1530 CIRCA

in maiolica decorata in blu di cobalto, giallo antimonio nei toni del giallo e giallo arancio, bianco di stagno. Il piatto presenta cavetto fondo, piede ad anello non rilevato e un’ampia tesa a bordo arrotondato profilato di blu. Al centro del cavetto campeggia un medaglione con emblema araldico, probabilmente legato alla famiglia Della Rovere. Intorno, fino all’orlo sottolineato da una ghirlanda fogliata con piccoli frutti, secondo i modi del decoro a vaghezze e gentilezze, si estende un gioco di rabesche alternate a nastri annodati (decorazione “a groppi”); il fondo berettino è poi interamente riempito da sottili motivi in bianco di stagno. Sul verso, nel cavo del piede e sulla restante superficie, sono tracciati cerchi tagliati in diagonale, alternati ad altrettanti spirali e rombi lobati, anch’essi tagliati in diagonale. Notevole la qualità decorativa dell’opera, che rende pienamente visibile lo stemma facendolo spiccare su di un fondo giallo, anch’esso decorato da sottili spirali e puntinature in blu, e poggiandolo quasi fosse una figura su una collinetta ricoperta da erba. Per un elenco di opere affini si veda quanto scritto da Carmen Ravanelli Guidotti nel catalogo del Petit Palais a proposito di un piatto con decoro simile, ma centrato da motivo a trofei; alt. cm 2,8, diam. cm 22, diam. piede cm. 6,5

 

Bibliografia di confronto

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza, Faenza 1998, pp. 306-327;

F. Barbe, C. Ravanelli Guidotti, Forme e “diverse pitture” della maiolica italiana. La collezione delle maioliche del Petit Palais, Parigi 2006, pp. 137-138

 

Stima   € 8.000 / 12.000
49

PIATTO, URBINO O DUCATO, 1540-1550

in maiolica decorata in blu di cobalto, verde ramina, bruno di manganese, giallo antimonio nei toni del giallo e dell’arancio. Sul retro iscrizione al centro del piede iscrizione in corsivo Vluncano e Venera. Alt. cm 4,5, diam. cm 26,5, diam. piede cm 9,6

 

Il piatto ha profondo cavetto, tesa obliqua con orlo arrotondato, e poggia su basso piede ad anello, mentre il retro è ornato da righe gialle che sottolineano i contorni e al centro reca la scritta esplicativa della scena riprodotta sul fronte. Il piatto raffigura sulla sinistra Vulcano seduto intento a battere sull’incudine un arma, Cupido armato di arco che lo osserva da vicino, mentre sul lato opposto Venere in piedi circondata da amorini guarda verso un amorino che sembra reclamare la sua freccia. La scena è compresa tra la fornace di Vulcano, in cui s’intravede il fuoco acceso, e una roccia che fa da quinta; sullo sfondo un paesaggio con una citta collinare compresa tra un lago e alcune montagne, mentre il cielo mostra alcune nuvolette a chiocciola. La scena pare liberamente tratta da una o più incisioni: l’acquaforte Vulcano, Venere e Eros di Marcantonio Raimondi potrebbe aver ispirato l'uso della fornace alle spalle di Vulcano, ma l’incisione più prossima è quella di Marco Dente, anche se Vulcano nel nostro piatto è raffigurato con il martello abbassato. Tale soggetto fu spesso rappresentato nelle maioliche istoriate, come dimostra la diffusione in tutte le botteghe italiane: ricordiamo qui ad esempio la versione faentina di Baldassare Manara dall’incisione di Marco Dente, ma anche un’altra versione proposta in questa stessa asta. Lo stile pittorico invece è molto prossimo a quello della bottega di Guido Durantino, poi bottega Fontana

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
50

ORCIOLO, MONTELUPO, 1620 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, nel tono dell’azzurro e del giallo, giallo-arancio, verde rame e bruno di manganese; corpo ceramico di colore beige e smalto color bianco crema abbastanza lucente, che si estende all’interno del contenitore e sotto la base; alt. cm 45, diam. bocca cm 13,5, diam. piede cm 14

 

L’orciolo farmaceutico ha corpo ovale con piede a disco e collo cilindrico breve terminante in un orlo appena estroflesso, mentre dalla spalla scendono due anse a forma di drago che terminano con un mascherone nel punto di giunzione con il corpo. Il collo è decorato da una linea gialla con filetti in nero di manganese, le anse sono dipinte in monocromia verde con tocchi più scuri a definire le squame dei mostri lumeggiate in giallo, mentre gli occhi e la bocca sono dipinti di giallo così come i mascheroni. Un largo motivo decorativo “a grottesche” si estende su tutta la superficie del vaso, ad eccezione di una vasta porzione sul fronte occupata da uno stemma a cartouches con le armi Medici-Asburgo sormontato da una corona, che ritorna sul retro in forma più semplificata e senza la cornice, al di sotto del quale spicca il cartiglio quadrangolare circondate da complesse cornici con l’iscrizione ACIETOSO S. Il vaso conserva il coperchio originale, leggermente a cupola e sormontato da una presa a bottone. Sul fronte e sul retro sono presenti fori per la fuoriuscita del liquido.

L’orciolo appartiene probabilmente ad uno dei contesti farmaceutici medicei, e trova puntuale riscontro con due orcioli simili esitati in questa stessa casa d’asta (Firenze, 9 novembre 2016, lotto 19). Lo stemma raffigurato è quello bipartito Medici-Austria, da riferire all’unione di Francesco I con Giovanna d’Austria (1565-1578) o più probabilmente a quella di Cosimo II con Maria Maddalena d’Austria (1608-1621). Uno studio accurato sul vasellame farmaceutico con emblema Medici, a cura di Marino Marini e Giovanni Piccardi, ha portato ad una fondamentale classificazione del vasellame farmaceutico prodotto dalle botteghe toscane per i Granduchi. Il riferimento cronologico e produttivo deriva invece da un orciolo della Spezieria di Santa Maria Novella che reca la scritta Montelupo, in associazione con esemplari simili datati 1620.

 

Bibliografia di confronto

F. Berti, Storia della ceramica di Montelupo, Vol. III, Montelupo Fiorentino 1999, pp. 157-158 tavv. 228-237;

M. Marini, G. Piccardi, Vasellame farmaceutico con emblema Medici e altre possibili dotazioni per la corte, in “XLI Convegno 2008: Unguenta solis. Ceramica da farmacia tra Medioevo ed Età ...”, Albisola 2008, pp. 29-52

 

Stima   € 5.000 / 7.000
Aggiudicazione  Registrazione
51

COPPA, PESARO, PITTORE DI ZENOBIA, 1552-1560

in maiolica dipinta in policromia con verde ramina, blu di cobalto, giallo, giallo-arancio, rosso ferro, bruno di manganese. Sul retro reca l’iscrizione in blu di cobalto “Lucrezia romana / sestessa ucise” e segno allungato a serpentina. Sempre sul retro tracce di un cartellino illeggibile, etichetta cartacea a stampa P. Genova Venezia /No. 20, etichetta poco leggibile con scritta a penna [...] Pellipario [...], etichetta a stampa MOSTRA MERCATO / DELLA CERAMICA / D’ANTIQUARIATO / FAENZA; alt. cm 5, diam. cm 28, diam. piede cm 11,2

 

Provenienza

Collezione Genova, Venezia;

Collezione privata, Firenze

 

La coppa emisferica dal profilo basso poggia su un alto piede a calice con orlo estroflesso a sezione quadrangolare tagliata a stecca. La decorazione riveste completamente la superficie della coppa descrivendo l’episodio del suicidio di Lucrezia, la cui virtù era nota a tutti i romani e vanto del marito Collatino, che per vendicarsi guidò una sommossa per cacciare Tarquinio il superbo e quindi instaurare la repubblica nel 509 a.C.

Il piatto trova pieno riscontro nella produzione del cosiddetto “pittore di Zenobia”, così denominato da Johanna Lessmann che ne ha riconosciuto per prima una coerenza stilistica particolare in una serie di piatti del Braunschweig (J. Lessmann, Herzog Anton Ulrich-Museum Braunschweig, Italienische Majolika, Katalog der Sammlung. Brunswick 1979, p. 35 n. 467), messi in relazione con un piatto con Zenobia assoggettata dall’imperatore Aureliano del Victoria and Albert Museum di Londra che reca la scritta “fato in pesaro 1552”. I piatti mostrano elementi stilistici ben caratterizzanti, vicini ai modi dei maiolicari urbinati, ma con caratteristiche proprie: le composizioni affollate, i personaggi dipinti con velocità che a volte mostrano insolite scale proporzionali (ad esempio “teste macroscopiche” o al contrario minute), la presenza di architetture monumentali ben dipinte, la scelta prevalente della rappresentazione di soggetti classici, l’uso di colori dalle tinte accese. E Riccardo Gresta (. R. Gresta, La maiolica istoriata a Pesaro, nuovi apporti sul pittore del Pianeta Venere, in “CeramicAntica” II, gennaio 1992, pp. 74-76) ha sottolineato come il pittore inserisca spunti architettonici chiaramente derivati dalle architetture urbinati, rivelando in questo modo una sua formazione nella città marchigiana. Sempre secondo Gresta attorno a questa personalità si raccoglie una bottega, come dimostrano pezzi ancora assegnati a Urbino, ma vicini come stile, anche se il nucleo di riferimento e di confronto resta quello proposto dalla Lessmann, che individua al Braunschweig un gruppo di circa venticinque opere, accanto alle quali si possono aggiungere piatti importanti come quello del Castello Sforzesco di Milano, oppure il piatto con la storia di Attilio Regolo del museo di San Pietroburgo. Proprio in quest’opera il personaggio che trattiene in catene Attilio Regolo, e che si ripete in ben cinque piatti studiati dalla Lessmann, mostra una somiglianza puntuale con la figura con elmo piumato della nostra coppa, così come quella con i capelli fulvi sulla destra della coppa trova riscontro in un personaggio analogo nel piatto del museo russo. Un piatto istoriato conservato alla Cité de la Céramique a Sèvres (Inv. MNC23102), con il mito di Deucalione e Pyrra e attribuito al nostro pittore, mostra sul retro la stessa grafia nella scritta e lo stesso segno grafico alla fine della descrizione

Stima   € 30.000 / 40.000
52
Stima   € 1.500 / 2.500
Aggiudicazione  Registrazione
31 - 60  di 158