DIPINTI ANTICHI

14 NOVEMBRE 2017
Asta, 0224
12

Vincenzo Malò

Stima
€ 40.000 / 60.000

Vincenzo Malò

(Cambray, circa 1605 – Roma?, 1660 circa)

CAMILLO E IL MAESTRO DI SCUOLA DI FALERII

olio su tela, cm 250x300

 

La scena raffigurata, tratta da Tito Livio e narrata anche da Valerio Massimo, fa riferimento al momento in cui il condottiero Marco Furio Camillo, indignato dal tradimento del maestro di Faleri nei confronti della propria città, lo punisce denudandolo e fornendo ai bambini falisci, presi dal maestro come ostaggi, delle verghe con cui percuoterlo.

La condotta esemplare di Furio Camillo portò alla resa della città nemica di Falerii, assediata dai Romani.

Raro per il soggetto e imponente per dimensioni, il dipinto qui offerto va identificato con ogni probabilità con il modello, fino a questo momento ignoto, da cui, fra il 1764 e il 1766, Domenico Corvi trasse una copia di minore formato come cartone d’arazzo per la celebre Arazzeria Pontificia.

La storia di questa commissione, destinata ad ornare la sala del Trono nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio con una serie di arazzi che illustrassero gli episodi più significativi della storia di Roma ed esaltassero le antiche virtù repubblicane, è stata ricostruita grazie ai documenti analizzati da Carlo Pietrangeli (1962) e più recentemente riassunta da Patrizia Masini nel catalogo generale della Pinacoteca Capitolina (2006) dove appunto si conservano i cinque cartoni ad olio su tela di Domenico Corvi, come pure gli arazzi nella loro collocazione originaria.

A seguito dell’approvazione da parte di Clemente XIII del progetto presentato dai Conservatori, nel gennaio del 1764 Domenico Corvi (Viterbo 1721 – Roma 1803) ebbe l’incarico di dipingere quattro scene figurate come modello per gli arazzieri pontifici, copiando i dipinti che gli sarebbero stati indicati dal marchese Camillo Francesco Massimi, Fabbriciere del Campidoglio e, in un solo caso, fornendo un’invenzione originale.

Oltre all’episodio di Marco Furio Camillo, celebre exemplum di integrità morale, furono illustrati quelli relativi a Romolo e Remo e alla Vestale Tuccia, oltre all’immagine della cosiddetta Dea Roma, quest’ultima un’invenzione originale di Domenico Corvi sulla base del celebre gruppo statuario capitolino.

Fino ad anni recenti solo il modello per il Ritrovamento di Romolo e Remo era stato identificato: fu infatti copiato dal celebre dipinto di Rubens già allora nelle raccolte capitoline, dalla collezione Pio di Savoia. Recente è invece l’identificazione dell’originale della Vestale Tuccia con un dipinto ora nelle raccolte del Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra, dalla collezione Sellon d’Allaman, dove era anch’esso attribuito a Rubens mentre oggi è stato ricondotto all’ambito di Domenico Fiasella. Come è noto, molti dipinti di quella importante collezione ginevrina venivano dalla raccolta del marchese Raggi, nobile genovese trapiantato a Roma, e non a caso una nota di Domenico Corvi del 1766 specifica che la Vestale Tuccia era stata copiata da un dipinto in casa Raggi.

Niente di conclusivo è stato detto finora circa l’identificazione del modello copiato da Domenico Corvi per l’episodio di Camillo, che una guida del primo Novecento dichiara tratto da Nicolas Poussin. Ne è forse motivo la famosa composizione del pittore francese, nota in due esemplari simili tra loro ma privi di qualunque relazione con l’arazzo capitolino (Parigi, Louvre e Norton Simon Museum, Pasadena). È interessante osservare però come nella collezione Massimi fossero presenti numerosi dipinti di Poussin raccolti un secolo prima da Camillo II e inventariati nel 1677, insieme a un album di suoi disegni, ora a Windsor nelle raccolte reali inglesi. Uno dei fogli (Windsor 11914; A. Blunt, in “Master Drawings” 1976, pp. 14 e 26, n. 40, ill.) illustra appunto la storia di Camillo, soggetto particolarmente caro a Camillo Massimi.

Non si può quindi escludere, pur nel silenzio delle fonti e degli inventari, che il modello proposto dal marchese a Domenico Corvi venisse proprio dalla sua raccolta e che, per questo motivo venisse erroneamente associato a Nicolas Poussin. Riteniamo che, in ogni caso, vada identificato col dipinto qui offerto.

Correttamente collocato nell’ambito rubensiano, e più precisamente riferito a Theodor van Thulden in una comunicazione scritta alla proprietà ormai superata, il dipinto deve essere invece restituito al catalogo di Vincent (o Vincenzo) Malò, pittore oltremontano attivo a Genova a partire dal 1634, come suggerito da Anna Orlando, che vivamente ringraziamo. Allievo di Rubens ad Anversa, dove è documentato fra il 1623 e il 1634, Malò si trasferì a Genova presso i fratelli Lucas e Cornelis de Wael, punto di riferimento della comunità fiamminga.

Le fonti genovesi riferiscono di numerosi dipinti, per lo più di soggetto religioso usciti dalla sua bottega, a testimonianza del suo successo presso la committenza pubblica e privata.

Maestro di Antonio Vassallo, Malò costituì in qualche modo il punto di snodo tra i grandi maestri fiamminghi, peraltro attivi a Genova e presenti con i loro capolavori nelle raccolte aristocratiche della Superba, e il loro seguito in città, di cui Vassallo fu appunto il principale esponente.

L’importante dipinto qui offerto si situa indubbiamente nella fase più avanzata del pittore fiammingo, in prossimità del Trionfo di Venere già nel castello Centurione, poi Pallavicini a Mornasco, ora nelle raccolte di Intesa- San Paolo a Torino esposto, non a caso, nella storica rassegna genovese dedicata ad Anton van Dyck (Van Dyck a Genova. Grande pittura e collezionismo. Genova, 1997, n. 81).

Numerosi i motivi di confronto, in particolare per quel che riguarda le figure dei fanciulli di Faleri nel nostro dipinto e i personaggi mitologici nella tela citata, in particolare la figura di Onfale.

 

Ringraziamo Anna Orlando per aver suggerito l’attribuzione sulla base di una fotografia in alta definizione.