DIPINTI ANTICHI

14 NOVEMBRE 2017

DIPINTI ANTICHI

Asta, 0224

FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26


ore 16.00
Esposizione
FIRENZE
10-13 Novembre 2017
orario 10-13 / 14–19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   3000 € - 70000 €

Tutte le categorie

31 - 59  di 59
31

λ

Cennino Cennini

(Colle di Val d'Elsa 1370 – Firenze 1427)

MADONNA CON IL BAMBINO TRA SANTE E ANGELI

tempera su tavola, cm 52x32, con la cornice cm 62x42

 

Provenienza

Collezione privata

 

Bibliografia 
W. Angelelli, A.G. De Marchi, Pittura dal Duecento al primo Cinquecento nelle fotografie di Girolamo Bombelli, a cura di S. Romano, Milano, 1991, p. 221, scheda n. 420Wolf-Dietrich Löhr, “Fantasie und Handwerk”, Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Malerei von Giotto bis Lorenzo Monaco, catalogo della mostra presso la Gemäldegalerie di Berlino, München, 2008, riprodotta a colori a p. 240

Bibliografia di riferimento
M. Boskovits, Cennino Cennini: pittore nonconformista 1973 in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 17, 1973, 1, pp. 201-222.M. Boskovits, Pittura Fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze, 1975

L’interessante tavola qui presentata raffigura la Vergine con il Bambino tra Sante martiri e angeli musicanti dinanzi a lei inginocchiati. Sullo sfondo un elegante drappo con motivi floreali, tenuto da due piccoli angeli, incornicia ed esalta la raffinatezza delle figure.L’opera è stata pubblicata da A.G. De Marchi in Pittura dal Duecento al primo Cinquecento nelle fotografie di Girolamo Bombelli con riferimento al Maestro di San Lucchese e a Cennino Cennini; a questo secondo artista è stata poi attribuita da Miklòs Boskovits nel 2007 come precisato nel catalogo della mostra alla Gemäldegalerie di Berlino (comunicazione scritta del 20 gennaio 2007). Pittore raro, Cennino Cennini è conosciuto principalmente per aver scritto il Libro dell'Arte, un importante trattato degli inizi del Quattrocento che riassume le esperienze tecniche maturate nei laboratori della pittura toscana del Trecento, in particolare pittura su tavola e ad affresco. Cennino nacque a Colle Val d’Elsa da padre pittore. Fu indirizzato a questa professione nella bottega fiorentina di Agnolo Gaddi. Le informazioni sulla sua vita sono poche; gli unici riferimenti cronologici puntuali provengono da due atti notarili del 1398 che attestano la sua presenza a Padova come pittore al servizio di Francesco da Carrara. Altre notizie si possono dedurre dal Libro dell'Arte; infatti nella sua "genealogia pittorica" fa riferimento al suo maestro Agnolo Gaddi, figlio di Taddeo, con cui rimase dodici anni e di cui tramanda questo ricordo: "colorì molto più vago e fresco che non fé Taddeo suo padre" (Libro dell'arte, LXVII). Cennini fu seguace della tarda tradizione giottesca, quale si tramandava a Firenze nelle botteghe degli Orcagna e dei Gaddi; se Giotto fu per lui il padre della nuova pittura, definì sé stesso "piccolo maestro esercitante nell'arte di dipintoria", forse con calcolata modestia.Nel 1973 Boskovits ha riunito attorno al nome di Cennino Cennini un gruppo omogeneo di opere articolate intorno agli affreschi con Storie di Santo Stefano dell'abbazia di San Lucchese, vicino a Poggibonsi (da qui forse la precedente identificazione con il Maestro di San Lucchese che fu invece un artista nella cerchia di Maso di Banco).Questi affreschi, tradizionalmente attribuiti a Taddeo Gaddi ma datati 1388, sono firmati con l'iscrizione "collensis patria" probabilmente riferibile ad un autore cittadino di Colle quale era appunto il Cennini. Intorno a questo ciclo Boskovits ha raccolto altre due opere legate a Colle Val d'Elsa: la Natività della Vergine proveniente da una chiesa di Colle (ora Pinacoteca di Siena), e un tabernacolo con la Madonna col Bambino, purtroppo assai alterato, ancora in una via della cittadina toscana; inoltre vi sono due scomparti di polittico (Staatliche Museen di Berlino) raffiguranti Sant’Agostino e San Gregorio e due Madonne col Bambino, una già Firenze collezione Baroni e l’altra del Monte dei Paschi di Siena (precedentemente nella collezione Hylard, Greenwich (Conn.) 1958 , e poi apparsa da Sotheby’s, New York nel gennaio del 1985, n. 44).La nostra tavola trova un plausibile confronto con le due ultime opere citate soprattutto per l’andamento del panneggio e la conformazione dei volti; anche lo sguardo azzurro della Vergine è familiare a quello del bel San Francesco di Poggibonsi.Analoga composizione infine ritorna nella tavola di collezione privata raffigurante la Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista, Pietro, Caterina e Lucia sempre riferita al Cennini. Questa tavola terminante in una cuspide mostra come avrebbe dovuto essere anche il nostro dipinto, che invece è stato decurtato della parte terminale probabilmente a metà dell’Ottocento per essere inserito all’interno dell’attuale cornice. 

Stima   € 60.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
33

λ
Andrea Scacciati

(Firenze, 1642-1710)

VASO DI FIORI ALL’APERTO, SU UNA PIETRA; SULLO SFONDO, PIANTE SELVATICHE E UN TAPPETO, CON URNA E VASI METALLICI SU UN PIEDISTALLO

olio su tela, cm 125x180,5

firmato e datato: "A. Scacciatj 1679" in basso a destra su una pietra (le C incrociate)

 

Provenienza

New York, Sotheby’s, 19 Gennaio 1984, n. 62.

 

Bibliografia

L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, p. 297, fig. 84.1.

M. Cinotti, Catalogo della pittura italiana dal 300 al 700, Milano 1985, p. 307.

G. e U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore 1998, p. 498, fig. 626.

S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del 600 e 700: biografie e opere, Firenze 2009, I, p. 252.

S. Bellesi, Andrea Scacciati pittore di fiori, frutta e animali a Firenze in età tardobarocca, Firenze 2012, p. 110, n. 20.

 

 

Pubblicata per la prima volta da Luigi Salerno nel 1984, questa sofisticata composizione di Andrea Scacciati è stata ripetutamente celebrata come uno dei capolavori dell’artista fiorentino.

La storia del nostro dipinto è stata doviziosamente ricostruita da Sandro Bellesi attraverso stringenti confronti con un gruppo di opere analoghe per imponenza di formato e per impianto compositivo. Si menzionano in particolare la coppia di tele, di cui una firmata e datata 1678, che, esposte nel 1964 alla storica mostra sulla natura morta italiana tenuta a Napoli, a Zurigo e a Rotterdam, segnarono in qualche misura la riscoperta di Andrea Scacciati, fino a quel momento confuso con altri fioranti, e la sua consacrazione tra i protagonisti della natura morta barocca (La natura morta italiana. Catalogo della mostra, Milano 1964, pp. 79-80, nn. 166-167, tavv. 76 a-b).

Al pari del nostro dipinto, le tele citate raffigurano una variazione sul tema, assai familiare all’estetica barocca, del paragone tra natura e artificio accostando un bouquet di fiori variopinti raccolti in un vaso sbalzato a una pianta selvatica, fiorita spontaneamente sul terreno sassoso.

Impreziosiscono la nostra composizione i vasi in metallo e il tappeto dalla frangia dorata posti a sinistra, motivi che confermano la relazione intrattenuta da sempre da Scacciati con la scuola romana, sottolineata per la prima volta da Mina Gregori nel 1964 a proposito della sua produzione di fiori.

Insolita l’ambientazione notturna, che non riscontriamo nelle altre sue composizioni all’aperto fin qui note: una scelta atta a far risaltare la brillante cromia dei suoi fiori recisi, anemoni e tulipani in tutte le gradazioni del rosa, le pieghe sontuose del panno con la bordura dorata e i bagliori metallici.

 

 

 

 

 

 

Stima   € 25.000 / 35.000
36

Orazio Riminaldi

(Pisa, 1593 - 1630)

ALLEGORIA DELLA CONVERSIONE ALLA VITA MONASTICA

olio su tela, cm 90x115,5

 

Provenienza

Collezione privata

 

Di non immediata comprensione iconografica, questo dipinto potrebbe rappresentare la rara iconografia della conversione alla vita monastica da parte di un giovane.

Al centro del dipinto, un giovane ben vestito, inginocchiato, porta la mano destra al petto nel chiaro gesto di risposta ad una chiamata da parte dell’anziano monaco in piedi sulla sinistra. In prima battuta avevo pensato di identificare la figura del monaco con san Benedetto da Norcia per via dell’aspetto e dell’abito monastico; tuttavia, l’assenza di qualsiasi forma di aureola o di richiamo alla santità mi ha fatto desistere da questo riconoscimento. Davanti al giovane è raffigurata l’allegoria dell’anima beata come si deduce dalla presenza della fiammella che arde sul capo del bambino nudo che indica al giovane il monaco.

In primo piano sulla destra è raffigurato Cupido piangente con ai piedi gli strumenti spezzati della sua arte, l’arco e la faretra. Sul fondo a destra, alle spalle di Cupido vi sono tre figure; facilmente riconoscibile è quella in ultimo piano: si tratta di un satiro che probabilmente ha amoreggiato con la giovane donna posta sull’estrema destra, mentre l’altra giovane - che dà le spalle al monaco - con in mano uno specchio è una chiara allegoria della vanità.

Dunque, da questa rapida descrizione è possibile interpretare iconologicamente il dipinto come la rinuncia da parte di un giovane signore ai piaceri ed ai vizi della vita secolare per abbracciare (si veda il gesto delle braccia aperte e protese del monaco nei suoi confronti) la vita monastica, spirituale, spronato dall’Anima beata.

In mancanza di ulteriori dettagli è per me difficile al momento avanzare ipotesi sull’identificazione del giovane e sull’eventuale origine storica o letteraria della scena di conversione qui raffigurata.

Per quanto riguarda l’autore di questo bel dipinto, ritengo che esso vada individuato nel maestro pisano Orazio Riminaldi in un momento cronologicamente precoce della sua produzione, intorno al 1615-1618. Se decisamente ‘riminaldesche’ sono le figure dell’anziano monaco, del satiro e della Vanitas, caratterizzate da fisionomie di piglio naturalistico e da posture ancore tardomanieriste, meno convincenti appaiono i confronti con le figure di Cupido e con quella del giovane ‘converso’ che tradiscono minore qualità (probabilmente a causa di una conservazione non perfetta della pellicola pittorica).

I dipinti accostabili stilisticamente a questa Allegoria sono il Martirio di santa Caterina d’Alessandria (Assisi, Museo diocesano) e la Vestizione di santa Bona (Pisa, chiesa di S. Martino) soprattutto nella resa cromatica e degli incarnati con il particolare effetto levigato tipico di Riminaldi, e per i delicati contrasti chiaroscurali, i panneggi ridondanti e orlati di luce, il punto di vista ribassato che proietta le figure contro il cielo e soprattutto il rapporto dinamico tra luce ed ombra.

 

Pierluigi Carofano

 

Stima   € 15.000 / 25.000
37

Attribuiti a Pier Francesco Garola

(Torino, 1638 - Roma, 1716)

PROSPETTIVA ARCHITETTONICA CON IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO             

PROSPETTIVA ARCHITETTONICA CON LA PARTENZA DEL FIGLIOL PRODIGO            

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 116,5x146,5                         

(2) 

 

Provenienza

Collezione privata

 

Bibliografia di riferimento

G. Sestieri, Il capriccio architettonico in Italia nel XVII e XVIII secolo, Foligno, 2015, II, pp. 62-81.

 

La complessità delle prospettive architettoniche qui presentate, animate da vivaci figurine, e la loro impostazione scenografica palesemente legata al mondo degli allestimenti teatrali suggeriscono di ricondurre la coppia di tele alla produzione di Pier Francesco Garola, autore di vedute interne delle principali basiliche romane ma anche di prospettive di invenzione, alcune delle quali accostabili alle nostre sotto il profilo stilistico e compositivo.

Tra queste possiamo citare due opere pubblicate da Giancarlo Sestieri nei volumi sul capriccio architettonico edito nel 2015 (II, p. 80, figg. 26 a-b): il pendant attribuito a Pier Francesco Garola (e un tempo ad Alberto Carlieri; ubicazione ignota, già Padova Galleria Antiquaria G. Morosini), raffigura le storie di David sullo sfondo di due archi a serliana che possono essere accostati a quello presente nel nostro dipinto col ritorno del figliol prodigo.

Architetto e pittore di prospettiva formatosi tra Venezia, Bologna e Firenze, Pier Francesco Garola perfeziona il suo stile durante un soggiorno in Emilia dove poté osservare attentamente lo stile e la tecnica di pittori quadraturisti come Girolamo Curti, Giovanni Antonio Mannini e Angelo Michele Colonna. Nel 1668 si trasferisce a Roma dove acquista notorietà come pittore di vedute tanto da ricevere l'incarico di maestro di prospettiva all'Accademia di San Luca.  

 

                                                     

Stima   € 16.000 / 22.000
Aggiudicazione  Registrazione
39

Giovan Battista Ruoppolo

(Napoli, 1629 – 1693)

FRUTTA AUTUNNALE ALL’APERTO

olio su tela, cm 128x131

 

Esposizioni

"Arte e vino", Verona, Palazzo della Gran Guardia, 11 aprile - 16 agosto 2015

 

Bibliografia

Arte e vino, catalogo della mostra a cura di A. Scarpa e N. Spinosa, Milano, 2015, p. 304, n. 107, illustrato a p. 190

 

Restituita a Giovan Battista Ruoppolo da Mina Gregori in una comunicazione privata alla proprietà, la splendida natura morta di frutta qui presentata costituisce forse il vertice della produzione del pittore napoletano. Confrontabile con numerose tele da tempo note, e in particolare con la natura morta firmata per esteso a Napoli in raccolta privata, più volte pubblicata ed esposta (R. Middione, Giovan Battista Ruoppolo, in La natura morta in Italia. Milano 1989, II, pp. 916-17, fig. 1106, con ulteriore bibliografia) il nostro dipinto unisce la cura nella riproduzione naturalistica dei diversi tipi di frutta (si veda la varietà, oggi scomparsa, delle pere estive e autunnali) a una sontuosa presentazione a cascata della pergola d’uva bianca e dei meloni, che ancorano la composizione sul terreno.

Situato all’intersezione tra il naturalismo della prima natura morta napoletana e la virata in direzione del Barocco impressa al genere dall’arrivo a Napoli di Abraham Brueghel nel 1675, il dipinto si segnala altresì per la materia spessa e corposa che individua, graduandone lo spessore, la specificità delle superfici e restituisce così le caratteristiche tattili delle diverse varietà di frutta disposte a cascata sul terreno.

 

Stima   € 60.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
40

λ

Scuola di Jacopo Bassano, sec. XVII

IL SACRIFICIO DI NOE'

SCENA PASTORALE O LA PARABOLA DEL SEMINATORE                              

due dipinti ad olio su tela, cm 158x224

(2)                                                                       

                                                                          

Provenienza

Collezione privata

 

I due dipinti qui presentati sono repliche di discreta qualità da modelli del pittore Jacopo Bassano (1515 ca - 1592).

Il dipinto originale raffigurante il Sacrificio di Noè fu eseguito nel 1574 ed è oggi conservato nei Palazzi Statali di Postdam in Germania. Si conoscono varie repliche del dipinto, due di queste catalogate nella Fototeca della Fondazione Zeri; la prima (scheda n. 42905) passata in asta da Christie's a Londra il 26 marzo del 1971 come Jacopo Bassano e precedentemente appartenuta a varie collezioni private inglesi dal 1682.

Un altro esemplare (scheda 40472), attribuito al figlio terzogenito di Jacopo, Leandro Bassano (1557-1622), proveniva dal Landesmuseum di Oldenburg in Germania ed è poi apparso sempre da Christie's a Londra il 4 giugno 1965. Un'ulteriore opera è catalogata nella Fototeca della Fondazione Giorgio Cini (scheda 401764) e rappresenta un frammento della parte destra dell'originale oggi conservato alla Walker Art Gallert di Liverpool; le repliche successive, eseguite dalla bottega di Jacopo, derivano probabilmente da quest'ultima versione. Il nostro dipinto presenta alcune varianti rispetto alla composizione originale.

La Scena pastorale, datata 1560 circa, è conservata nella collezione Thyssen Bornemisza di Madrid ed è pubblicata in P. Zampetti, Jacopo Bassano, 1957, p. 208; il dipinto rimase nella collezione Thyssen di Villa Favorita a Lugano fino al 1992. Come per la prima opera anche questa presenta alcune varianti rispetto all'originale, soprattutto nel paesaggio e negli utensili poggiati a terra.

Stima   € 20.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
45

Scuola tedesca della cerchia del Giambologna, primi anni del sec. XVII

CRISTO CROCIFISSO E CARTIGLIO

bronzo dorato, sec. XVI, corpus cm 31x30, aureola, cm 5, cartiglio cm 5,7x7,5

 

Il bronzo è corredato da parere scritto di Giancarlo Gentilini

 

Bibliografia di riferimento

Giambologna, an exhibition of sculpture by the master and his followers from the collection of Michaell Hall, catalogo della mostra a cura di C. Avery, New York 1998.

Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento, a cura di G. Pratesi, Torino 2003.

Pietro Tacca. Carrara, la Toscana, le grandi corti europee, catalogo della mostra (Carrara) a cura di F. Faletti, Firenze 2007.

 

Il tema del Cristo “vivo” di questo bronzo finemente cesellato richiama la tipologia inaugurata da Giambologna nel piccolo Crocifisso eseguito nel 1578 per l’altare maggiore della Santissima Annunziata di Firenze, un’opera più volte replicata nella bottega e nella cerchia dello scultore. Ritornano assai simili la conformazione e finitura della testa e la postura in contrapposto del corpo.

L’accentuazione drammatica che qui si coglie nel doloroso lamento che pervade il volto, nelle braccia percorse da vistose vene e ancora nel perizoma dalle pieghe increspate, ha indotto il prof. Giancarlo Gentilini a ritenerlo eseguito da un artista nordico.

Nel parere scritto, che accompagna il Crocifisso qui presentato, lo studioso indica, fra i giovani forestieri che entrarono in contatto con la bottega fiorentina del Giambologna, il bavarese Hans Reichle (Shongau, 1565/70 - Bressanone, 1642), scultore assai dotato nell’arte del bronzo e nella plastica fittile, come il più plausibile autore.

Il Reichle è attestato presso l’officina giambolognesca dal 1588 al 1595, periodo durante il quale collaborò alla realizzazione del monumento equestre a Cosimo I e agli apparati per le nozze di Ferdinando I.

Nel 1601, tornato in Toscana dopo una parentesi a Bressanone dove modellò per il cardinale Andreas von Habsburg 44 statue in terracotta tinte a imitazione del bronzo, eseguì uno dei rilievi che andarono a decorare le porte del Duomo di Pisa: nell’Adorazione dei Pastori della cattedrale pisana ritorna la forte espressività del nostro Cristo e un analogo gusto decorativo nei capelli e nelle barbe minuziosamente lavorati e nell’attenta resa delle vesti. Altresì in alcuni bronzetti autonomi restituiti alla mano del Reichle, quali l’Allegoria della Primavera di Dresda (Staatliche Kunstsammlungen), datata anch’essa intorno al 1601, si possono notare i medesimi stilemi, tanto da collocare anche la scultura offerta nei primi anni del XVII secolo.

 

 

 

Stima   € 6.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
46

λ

Ubaldo Gandolfi

(San Matteo della Decima, 1728 – Ravenna, 1781)

SAN GIUSEPPE CHE LEGGE

olio su tela, cm 87x69

 

Opera corredata da parere scritto di Donatella Biagi Maino, Bologna, 18 febbraio 2013

 

Bibliografia di riferimento

D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi, Torino 1990.

Gaetano e Ubaldo Gandolfi. Opere scelte, catalogo della mostra a cura di D. Biagi Maino (Cento 2002), Torino 2002.

 

Ubaldo Gandolfi può rientrare a buon diritto tra i protagonisti della pittura italiana del secondo Settecento grazie alla sua ineccepibile maniera fondata sulla sicurezza del disegno di matrice bolognese, la gradevolezza della tavolozza debitrice della cultura veneta e l’ispirazione poetica delle sue composizioni.

Ne è prova l’insolita raffigurazione di San Giuseppe di questa tela, dove il padre putativo di Gesù è assorto nella lettura secondo una rara iconografia da letterato cara al Gandolfi, che la replica infatti anche nella figura di Gioacchino della pala con l’Educazione di Maria commissionatagli nel 1779 (cfr. Gaetano e Ubaldo Gandolfi. Opere scelte, catalogo della mostra a cura di D. Biagi Maino, Torino 2002).

Una datazione sul finire degli anni Settanta del Settecento è quella proposta per il dipinto qui offerto nel parere scritto di Donatella Biagi Maino (18 febbraio 2013) che cita l’altra versione di Gandolfi del San Giuseppe leggente oggi conservata presso le Collezioni Comunali di Bologna, in controparte e con qualche variante, secondo la studiosa di poco successiva.

Si segnala infine sulla tela qui presentata il suggestivo effetto del trascolorare del cielo sullo sfondo che fa da contrappunto alla solenne colonna sulla destra, facendo risaltare la figura del santo.

Al retro, sul telaio, è presente l’etichetta della Mostra del Settecento Bolognese tenutasi presso il Palazzo D’Accursio di Bologna nel 1935 e curata da Roberto Longhi e Guido Zucchini.     

 

 

 

 

Stima   € 25.000 / 35.000
Aggiudicazione  Registrazione
49

Scuola bolognese, sec. XVIII

ARMIDA TENTA DI UCCIDERE RINALDO

RINALDO NEL GIARDINO DI ARMIDA

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 66x93,5

(2)

 

La coppia di dipinti qui offerta ripete due fortunate composizioni della prolifica bottega di Marcantonio Franceschini (1648-1729) e di Luigi Quaini (1643-1717). Entrambi allievi di Carlo Cignani, collaborarono in commissioni pubbliche e private, per affreschi e dipinti da stanza in cui Quaini eseguì di preferenza gli sfondi architettonici e paesistici e più occasionalmente le figure, specialità invece del Franceschini; quest’ultimo fu altresì responsabile delle “invenzioni” e dei relativi disegni preparatori.

Il primo dipinto ripete con alcune varianti la tela assai nota ora all’Accademia Albertina di Torino, proveniente da palazzo Balbi a Genova, dove è documentata da un inventario del 1740, e probabilmente identificabile con una delle due “favole del Tasso” commissionate al Franceschini da Niccolò Tassorello di Genova nel 1707; l’altra “favola” citata dai documenti e anch’essa all’Albertina ritrae invece l’arrivo di Erminia tra i pastori, noto a sua volta in varie repliche, alcune documentate.

Più raro il soggetto del secondo dipinto, conosciuto fino a poco tempo fa in un’unica versione ora a Bologna nella collezione di Marco Galliani dove si accompagna a un episodio diverso della Gerusalemme Liberata, la partenza di Rinaldo. Come è stato autorevolmente supposto (D. Miller, Marcantonio Franceschini, Torino 2001, pp. 116-17, cat. 21 a-b; tav. XXXIX) questa coppia può identificarsi con due dei quattro dipinti di Luigi Quaini ricordati da Giampietro Zanotti in casa di Pietro Casolari a Bologna: “l’Armida nel giardino incantato con Rinaldo che lascivamente le posa in grembo; e la stessa Armida svenuta nel vedersi da Rinaldo abbandonata” (G. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, I, Bologna 1739, p. 204), probabilmente gli stessi di cui il Libro dei Conti di Franceschini registra la commissione nel 1706, con il primo dipinto da eseguirsi appunto dal Quaini. A questa prima versione se ne è aggiunta recentemente un’altra, anch’essa di Luigi Quaini, in collezione privata a Treviso, forse identificabile con il dipinto commissionato nell’ottobre del 1708 dal signor Federico Antonio Sardini, Lucchese (Il Libro dei Conti di Marcantonio Franceschini. A cura di Dwight C. Miller e di Fabio Chiodini, Bologna 2014, tav. XCI; p.175, entrata 438).

Anche l’invenzione di questo soggetto spetta però al Franceschini, come può dedursi da una sua lettera ad Alessandro Marchesini “Disegnai tempo fa un pensiero che per anche non ho dipinto et è Rinaldo et Armida nel giardino è un altro soggetto da Armida che vuole uccidere Rinaldo dormiente con amori e femine in vago paese”. Il disegno non è stato rintracciato.

Mentre il nostro Rinaldo nel giardino di Armida ripete le versioni già note anche sotto il profilo stilistico e con minime varianti nel paesaggio a sinistra, l’Armida tenta di uccidere Rinaldo diverge dall’esemplare torinese per la presenza, alle spalle del cavaliere addormentato, di un amorino che fa segno di tacere. Questo particolare è presente invece nel disegno preparatorio per l’intera composizione alla Fondazione Cini di Venezia (inv. 1477; Il Libro dei Conti… cit., p. 338, tav. XLVI) e nel dipinto ora al Museo Civico di Modena, a cui la nostra versione si accosta anche per altri particolari, quali il panneggio di Armida e le armi in primo piano (cfr. D. Miller, Marcantonio Franceschini and the Liechtenstein, Cambridge 1991, tav. III, per il dipinto, allora in collezione privata modenese).

 

 

 

 

Stima   € 20.000 / 30.000
52
Stima   € 5.000 / 7.000
Aggiudicazione  Registrazione
54

λ

Artista veneziano, fine sec. XVIII

VEDUTA DEL CORTILE DI PALAZZO DUCALE

olio su tela, cm 87x134

 

La bella veduta qui offerta raffigura il cortile del palazzo dei Dogi mostrando, nella luce pomeridiana, i risalti della facciata orientale del palazzo, ricostruita da Antonio Rizzo dopo l’incendio del 1483 e rifinita dopo il 1498 dalle decorazioni marmoree di Pietro Lombardo. In fondo, la scala detta “dei Giganti”, capolavoro del Rizzo, caratterizzata dalle figure monumentali di Nettuno e Mercurio scolpite dal Sansovino nel 1566 quali simbolo della potenza della Serenissima. Al centro, il maestoso arco Foscari conclude l’omonimo porticato sul lato settentrionale, da cui emergono le cupole della basilica marciana. Prediletto dagli allievi di Giovanni Migliara, e in particolare da Federico Moja negli anni del quinto decennio dell’Ottocento, questo soggetto compare invece più raramente tra i vedutisti del Settecento, nonostante le splendide interpretazioni del Canaletto, di Michele Marieschi e di Antonio Joli.

A queste si aggiungono l’incisione dello stesso Marieschi, fondamentalmente corrispondente alle sue vedute dipinte, preceduta da quelle di Domenico Lovisa (1717) e di Luca Carlevarijs, del1703 (cfr. Dario Succi, La Serenissima nello specchio di rame, Venezia 2013, I, pp. 44, 78, 128, 130).

È appunto dalla stampa di Carlevarijs, preparata da un disegno al British Museum, che il nostro dipinto riprende il taglio dell’ombra che, unico caso tra le diverse versioni note, avanza ben oltre il centro della veduta. Del tutto originali sono invece i gruppi di figurine ancora affaccendate nel crepuscolo della sera, in qualche modo reminiscenti degli esempi di Bernardo Canal (1664-1744) autore, non a caso, di una veduta di questo stesso soggetto.

 

 

 

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
56

Cornelis de Wael

(Anversa, 1591 – Roma, 1667)

VEDUTA DI PORTO CON GALEA E VELIERI OLANDESI

olio su tela, cm 102x147

 

Bibliografia di riferimento

Van Dyck a Genova. Grande pittura e collezionismo, catalogo della mostra (Genova 1997) a cura di S. J. Barnes, P. Boccardo, C. Di Fabio, L. Taglaferro, Milano 1997, pp. 342-349; A. Orlando, Pittura fiammingo-genovese: nature morte, ritratti e paesaggi del Seicento e primo Settecento: ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2012, pp. 103-105.

 

 

Figlio e allievo di Jan de Wael, Cornelis de Wael si trasferisce stabilmente a Genova nel 1619, quando il fratello Lucas prende in affitto una casa che diventerà un punto di riferimento per tutti gli artisti fiamminghi transitanti nel capoluogo ligure, compreso il celebre Anton Van Dyck.

Numerosi sono i quadri di Cornelis descritti negli inventari genovesi del XVII e XVIII secolo come Battaglia navale, Diversità di vascelli o Marina, a testimonianza della fortuna di questo genere pittorico presso la committenza genovese. Il dipinto qui offerto è un bell’esempio della bravura del pittore fiammingo di inserire in un’ampia veduta l’animazione di un porto, descrivendo dettagliatamente le figure impegnate in svariate attività.

La maniera assai meticolosa con cui sono state realizzate le imbarcazioni, protagoniste della porzione destra della scena, permette di ipotizzare l’intervento di uno specialista del genere, Andreas van Ertvelt, documentato dal 1627 a Genova, di cui Cornelis spesso si avvalse per soddisfare le numerose commissioni della sua casa-bottega, organizzata come una vera e propria impresa.

Si ringrazia Anna Orlando per aver precisato l’attribuzione a Cornelis de Wael con la collaborazione di Andreas van Ertvelt.

L’opera sarà pubblicata dalla studiosa in Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra a cura di Anna Orlando (Genova, Palazzo della Meridiana, 9 febbraio – 10 giugno 2018), Sagep, Genova 2018 (in c.d.s.).

 

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
59
Maria Giovanna Battista Clementi, detta la Clementina 
(Torino, 1692 –1761) 
RITRATTO DI CARLO EMANUELE III (1701-1773), III RE DI SARDEGNA 
olio su tela, cm 203x141

Opera dichiarata di interesse culturale particolarmente importante ai sensi del D.Lgs. 22/01/2004

Provenienza
Marco Datrino, Torre Canavese; Collezione Bruni Tedeschi, Torino;  Sotheby's, Milano,10 luglio 2007, lotto 256 

Il ritratto di Carlo Emanuele III in piedi, con le insegne regali e il collare dell’Annunziata, è caratterizzato da una nitida esecuzione e da un tono aulico che lo qualifica come opera della pittrice Maria Giovanna Battista Clementi, detta la Clementina, importante pittrice italiana specializzata in ritratti e attiva soprattutto alla corte sabauda dove lavorò fino al 1755. È presentato entro una ricca cornice intagliata e dorata.Il nostro dipinto è in particolare molto vicino al ritratto di Carlo Emanuele III conservato alla Galleria Sabauda di Torino, simile anche per dimensioni (cm 211x144) e proveniente dalla raccolta del pittore Buccinelli, che lo vendette nel 1865.Già attribuito al pittore Van Loo, il dipinto della Sabauda venne ricondotto alla pittrice dal Vesme (A. Baudi di Vesme, L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Schede, Torino, 1963-82, vol. I, pp. 328-329) sulla base di un documento del 1738, che consentiva anche l’identificazione del personaggio, appunto Carlo Emanuele III, quartogenito di Vittorio Amedeo II e di Anna Maria di Borbone Orléans, che nacque a Torino nel 1701 e divenne Re di Sardegna in seguito all’abdicazione del padre, il 3 settembre 1730.Rispetto al quadro della Galleria Sabauda, il ritratto qui offerto rappresenta una replica con alcune varianti: il drappeggio verde che cade diversamente, il paesaggio in cui figurano sentieri di montagna e una certa semplificazione dell’abito e del sostegno che regge l’elmo e la corona. La gamma cromatica usata ha toni vividi e brillanti, soprattutto nel panneggio azzurro intorno alla vita e nel manto rosso bordato di ermellino, a dimostrazione di una efficace resa dell’iconografia sabauda.
Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
31 - 59  di 59