DA MERCANTE A Collezionista: CINQUANT'ANNI DI RICERCA PER UNA PRESTIGIOSA RACCOLTA

11 OTTOBRE 2017
Asta, 0220
23

Heinrich Meyring, italianizzato in Enrico Merengo

Stima
€ 7.000 / 10.000

Heinrich Meyring, italianizzato in Enrico Merengo

(Rheine, 1638/1639 circa - Venezia, 1723)

SAN GIUSEPPE CON GESÙ BAMBINO IN BRACCIO

terracotta, cm 35x20x14

 

Il tormentato, mobilissimo panneggio di questo San Giuseppe e il Bambino è espressione tipica del pieno Barocco veneziano, di marca lecourtiana, e suggerisce di riferire la terracotta a colui che venne subito indicato dai contemporanei come il ‘migliore allievo’ del maestro fiammingo (Giusto Le Court era nato ad Ypres), ovvero il tedesco Heinrich Meyring, noto in Italia come Enrico Merengo. Impostosi nella Serenissima come il maggiore scultore attivo in città a partire dai primi anni Novanta del Seicento (per un profilo della carriera di Merengo cfr. Matej Klemenčič, Enrico Merengo (Heinrich Meyring), in La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di Andrea Bacchi, Milano 2000, pp. 760-762; Alessandro De Lillo, Meyring (Merengo), Heinrich (Enrico), in Dizionario Biografico degli Italiani, col 74, Roma 2010, pp.  52-54), l’artista aveva esordito come collaboratore di Le Court, e le prime informazioni che abbiamo circa la sua attività in Italia ce lo mostrano attivo come modellatore di terrecotte. In una lettera del 9 marzo 1680 Quintiliano Rezzonico ragguagliava a Roma Livio Odescalchi scrivendo che aveva “ultimamente veduti modelli in creta fatti dal medesimo [Enrico] di sua invenzione bellissimi e fra gli altri un Polifemo in atto di tiar di sasso che non si poteva far di più” (Marco Pizzo, Livio Odescalchi e i Rezzonico: documenti su arte e collezionismo alla fine del XVII secolo, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 26, 2002, p. 129, doc. 20). Quel carteggio, avviato poco prima dell’improvvisa morte di Le Court, sfociò poi nella commissione di un Busto di Diana iniziato dal fiammingo ma terminato appunto da Merengo, da poco rintracciato nel Palacio Real de La Granja de San Ildefonso (Maichol Clemente, Giusto Le Court, Enrico Merengo e la Diana della collezione di Livio Odescalchi, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 38, 2014, pp. 39-49). Merengo mantenne a lungo un rapporto di dipendenza dal maestro, recuperandone soluzioni inventive anche a distanza di anni, soprattutto per quanto riguarda i ricchi e pittorici panneggi (si veda il busto con la Vergine Maria recentemente riferito all’allievo, ed in stretto rapporto con quello di Le Court in San Domenico a Chioggia e con l’altra versione dell’Armstrong Browning Library di Waxo in Texas, cfr. Maichol Clemente, A New Attribution of a Bust of the Holy Virgin to Enrico Merengo, in “The Rijks Museum Bulletin”, LXIV, 2016, pp. 247-251). Fino a pochi anni fa erano appena quattro le terrecotte attribuite a Merengo (quelle con figure di Evangelisti, non troppo lontane dal presente San Giuseppe, già nella collezione Adalbert von Lanna), a cui si sono aggiunti altri pezzi individuati nel fondo Morlaiter di Ca’ Rezzonico (Monica De Vincenti, Bozzetti e modelli del "Bernini Adriatico" Giusto Le Court e del suo "miglior allievo" Enrico Merengo, in “Arte Veneta”, LXII, 2005, pp. 66-68). Importante è anche il confronto con il San Girolamo (Venezia, Palazzo Ducale), preparatorio per la statua in marmo in San Nicolò al Lido di Venezia (De Vincenti, art. cit., p. 63). Dirimenti rimangono comunque i rapporti con la produzione in marmo di Merengo, basti pensare al bordo svolazzante del panneggio della Fede oggi nella parrocchiale di Nimis, 1694 (Paola Rossi, Enrico Merengo: l’attività veneziana, in “Arte Veneta”, LXIII, 2006, p. 27).