CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

28 SETTEMBRE 2017
Asta, 0219
9

Filippo Carlini

Stima
€ 120.000 / 180.000

Filippo Carlini

(attivo intorno alla metà del secolo XVIII)

STUDIO DEL MOSAICO AL VATICANO, ROMA, 1777-1778, LA MADDALENA

mosaico su cassina di metallo, cm 74x59,5

 

Paolo Spagna

(1736-1788)

CORNICE, 1780 CIRCA

bronzo dorato, cm 111,5x76x10

 

Un dono di Pio VI agli Arciduchi di Milano

Alla corte dei papi, lungo l'intero Settecento, era d’uso donare a sovrani e grandi personaggi in visita a Roma sia degli arazzi, approntati nella Manifattura di San Michele1, sia quadri in mosaico eseguiti da vari artigiani attivi nel famoso Studio del Mosaico al Vaticano2. Non andrebbe comunque dimenticato che occasionalmente ci si poteva rivolgere anche ad altri mosaicisti che lavoravano per proprio conto in botteghe private. Queste opere raggiungono un grado di perfezione tecnica raramente uguagliato nella storia del mosaico, potendo fin dai tempi di Benedetto XIII contare su accorgimenti scientifici che consentivano un’infinita gradazione di colori. I mosaici erano spesso racchiusi in sontuose cornici in metallo dorato (bronzo, rame e ottone) eccelsamente lavorate, soprattutto ai tempi di Pio VI (1775-1799 vedi fig. 1) quando per la corte erano all’opera orafi come Luigi Valadier, celeberrimo ma che raramente si occupò di questo tipo di oggetti, e soprattutto Paolo Spagna (1736-1788).

Paolo Spagna, romano, capostipite di una dinastia di argentieri e fonditori, ancora attiva e prospera per tutto l’Ottocento, ottenne la patente nel 1772 quando abitava e teneva bottega in Via del Pellegrino. Fu fornitore della corte papale a partire dal 1775 e fino alla morte3. Già si conoscono alcune sue cornici di questo tipo fra le quali si trova, come subito vedremo, quella che fa parte dell’opera qui esaminata4. Essa (composta di bronzo, rame, ottone, oro, argento e ferro) è formata da un battente rettangolare a più registri, traforato, con elementi fitomorfi, coronato da due Fame poste ai lati dello stemma di Pio VI: misura cm 111,5x76 (88x76 senza la cimasa).

Ma vediamo ora i fatti precisi ritrovati nell’Archivio Segreto Vaticano.

 

Il mosaico

Nel febbraio del 1777 il Direttore dello Studio del Mosaico al Vaticano, Giovanni Battista Ponfreni, aveva dato ordine a Filippo Carlini di trascrivere in mosaico una figura della Maddalena derivante da un originale di Guido Reni (doc. 1). A tale scopo si era fatta eseguire una copia dipinta che doveva servire da modello al Carlini, oggi non rintracciata (doc. 4). Il pannello qui in esame deriva infatti da una composizione di Guido Reni allora conservata nella Galleria Colonna: anche di questo originale si sono perse le tracce, ma è noto in più di una derivazione (vedi fig. 2)5.

Nel dicembre del 1777 (doc. 1) Ponfreni attestava che il lavoro era a buon punto e veniva concesso un terzo del pagamento totale al Carlini. Altrettanto veniva sborsato nel marzo 1778 (doc. 2), quando Ponfreni asserisce che il pannello era eseguito per due terzi. Alla fine di quello stesso anno il mosaico risulta compiuto: il suo costo totale ascendeva a scudi trecento quaranta. Il 5 dicembre 1778 il pannello musiva entrava nella Floreria del Vaticano in attesa che si presentasse l’occasione per farne dono (doc. 3).

Giovanni Battista Ponfreni, allievo di Marco Benefial, era nato intorno al 1715 a Roma dove morì nel 1795. Filippo Carlini risulta attivo intorno alla metà del secolo nella Studio del Mosaico al Vaticano e questa è la sua unica opera nota6.

 

La cornice

Il 15 aprile 1780 (doc. 5) Paolo Spagna presenta il conto per due cornici identiche di metallo dorato per altrettanti quadri in mosaico destinati agli Arciduchi di Milano: uno raffigurava la Madonna Addolorata; l’altro, lievemente più piccolo, rappresentava la Maddalena. Il conto qui trascritto descrive minutamente ogni singolo elemento della nostra cornice, così come oggi la si vede, compresa la cimasa con le due Fame di cui Spagna asserisce di aver fatto il “modello in cera”. Questa affermazione ha una certa importanza, in quanto non sempre i fonditori erano in grado di approntare i modelli di ciò che eseguivano. Il documento specifica che il costo totale delle cornici era di scudi 713:72 senza tener conto dell’oro impiegato, ricevuto dai Sacri Palazzi.

Il mosaico con la Madonna Addolorata è stato già da noi identificato nei depositi del Kunsthistorisches Museum di Vienna (vedi fig. 3): purtroppo in occasione della mia pubblicazione, del 2004, esso risultava privo di gran parte della cornice; mi si disse allora che non era rintracciabile, ma ricomparve poco dopo e venne soddisfacentemente restaurata. Essa risulta identica alla cornice della Maddalena, benché lievemente più grande, come del resto specificava il conto dello Spagna già menzionato (doc. 5)7.

È noto che la bottega di Luigi Valadier e di suo figlio Giuseppe venne ceduta ai primi dell’Ottocento agli Spagna. Il fondo dei disegni, che includeva molti fogli di Luigi Valadier in persona e di diversi artefici fra Sette e Ottocento legati sia ai Valadier sia agli Spagna, venne disperso, per vie che restano ancora misteriose. Buona parte di esso si trova nella Pinacoteca Civica di Faenza; molti altri fogli, attraverso l’Artemis Group di Londra, nell’ultimo ventennio, sono passati in non poche collezioni europee e americane. (Andrà qui ricordato che l’Artemis Group ha cessato le sue attività in tempi recenti).

Fra i fogli del fondo Valadier-Spagna esistono vari progetti per cornici e cimase destinati ai mosaici papali del genere qui studiato. Il disegno relativo alla cornice qui in esame non è presente in quel gruppo ma Fame simili a quelle qui adoperate si vedono in un disegno conservato a Londra (vedi fig. 4) sebbene accompagnate da un putto e destinate ad una cornice ovale.

Le due cornici qui esaminate vennero replicate dallo stesso Paolo Spagna quattro anni dopo, nel 1784, in un esemplare donato da Pio VI a Gustavo III: serviva ad un mosaico, eseguito in questo caso da Giovanni Battista Ponfreni, tratto da una composizione del Guercino raffigurante Diana: anch’esso è stato identificato e si conserva oggi nel Nationalmuseum di Stoccolma8 (vedi fig. 5).

 

Gli Arciduchi di Milano

Il documento 5 menziona specificamente (il 15 aprile 1780) come fossero state approntate due comici di metallo dorato per dei quadri di mosaico “da regalarsi uno a Sua Altezza l’Arciduca di Milano e l‘altro alla Arciduchessa Sua Moglie rappresentanti uno la Madonna Addolorata e l’altro una Maddalena”. Oltre la descrizione precisa dell’ornato delle cornici e delle figure che le accompagnavano si davano le loro dimensioni: la cornice della Maddalena misurava palmi quattro di altezza e palmi tre e once cinque di larghezza, che corrispondono circa a cm 90 per cm 76,9, misure pressoché identiche a quelle della nostra cornice (ovviamente senza le Fame). Quello con la Madonna Addolorata misurava palmi quattro e once tre per palmi tre e once sei, che corrispondono a quelle del quadro ancora oggi a Vienna (cm 95x80 senza la Fame).

L’Arciduca di Milano a cui ci si riferisce era allora Ferdinando d’Asburgo Lorena (1754-1806), figlio dell’Imperatrice Maria Teresa. Aveva sposato nel 1771 Maria Beatrice d’Este (1750-1829) ultima discendente diretta dei Duchi di Modena. Ferdinando divenne allora Governatore di Milano, carica che mantenne fino al 1796. Nel 1780 gli Arciduchi si erano recati a Roma dove avevano ricevuto i doni di Pio VI di cui parliamo.

Anni dopo, nel 1795, una delle donne più colte dell’epoca, la marchesa romana Margherita Boccapaduli, menziona i doni pontifici in una visita alla residenza degli Arciduchi, il Palazzo Reale di Milano: “in una camera dell’Arciduchessa, ove fanno dell’accademia, vi sono i quadri di arazzo e di mosaico regalati dal Papa”9. In seguito i due mosaici vennero certamente spediti a Vienna dove Maria Beatrice d’Este acquistò, nel 1806, il cosiddetto Palazzo di Modena (Modenapalais). In questa residenza si trasferì molti anni dopo, nel 1859, in esilio, il nipote, Francesco V di Modena, all’indomani della sua deposizione dal ducato emiliano"10. Francesoo V morì senza figli nel 1876 dopo aver destinato ai diritti di successione di linea l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale, assassinato nel 1914 a Sarajevo.

I due mosaici di Pio VI furono dunque a lungo nel Palazzo di Modena, a Vienna, fino al 1915, prima di passare al Kunsthistoriches Museum. Nel 1924 per un accordo fatto fra il governo austriaco e i legali dei discendenti dell’ultimo imperatore, Karl I, deceduto nel 1922, il mosaico con la Maddalena, qui illustrato, venne ridato agli Asburgo. Recava allora il numero di inventario E 783911: marchio in rosso che ancora si trova sul retro della cornice bronzea. Un marchio simile (E 8627) si trova sulla cornice della Madonna Addolorata, sua compagna, tuttora nel Kunsthistorisches Museum.

 

 

NOTE

Ringrazio qui la Dottoressa Claudia Kryza-Gersch per il suo gentile aiuto durante le ricerche nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.

 

 

1 A. De Suobel, Le arazzerie romane dal XVII al XIX secolo, Roma, 1989

2 L. Hautecoeur, “I mosaicisti sampietrini del ‘700" in L’arte, XIII, 1910, pp. 450 ss.; A. Gonzalez-Palacios, Mosaici e pietre dure, Milano, 1981, I, pp. 4-35.

3 C.G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia. Roma, vol. ll, Roma, 1959, pp. 426-427. Il figlio di Paolo, Giuseppe Spagna (1765-1839), continuò l’opera del padre, deceduto prematuramente, e ottenne la patente nel 1791: i contatti con la corte papale non si interruppero e gli furono in seguito affidate cornici di questo genere.

4 Su tutto questo argomento si veda: A. Gonzalez-Palacios, Arredi e ornamenti alla corte di Roma, Milano, 2004, pp. 226-241

5 Quel dipinto compare in un inventari Colonna del 1783 ed era stato inciso da Domenico Cunego nel 1776. Oggi la composizione è soprattutto nota attraverso una riduzione autografa su rame conservata a Versailles: S. Pepper, Guido Reni, Oxford, 1984, cat. 126, p. 262, fig.152. Recentemente è apparsa in un’asta Finarte (Roma, 31 maggio 2006, lot. 269) una copia fedele del dipinto di Reni, qui illustrata: misura cm. 66x58.

6 M.G. Branchetti, Mosaici minuti romani del 700 e dell’800, Città del Vaticano, 1986, p. 174