Arte Moderna e Contemporanea

12 GIUGNO 2017

Arte Moderna e Contemporanea

Asta, 0208Part 2
MILANO
Centro Svizzero
via Palestro, 2
Lotti 200-378
ore 15.30
Esposizione
MILANO
8 Giugno 10-18
9 Giugno 10-19
10 Giugno 10-19
11 Giugno 10-19
milano@pandolfini.it 

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Dal 8 Giugno al 13 Giugno 2017 | Centro Svizzero
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Glauco Cavaciuti
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Stima   500 € - 90000 €

Tutte le categorie

61 - 90  di 178
270

GIUSEPPE UNCINI

(Fabriano 1929 - Trevi 2008)

Struttura spazio n. 17

canna di alluminio fresato, cm 140,5x48x48

eseguito nel 1966

L'opera è accompagnata da autentica dell'Archivio Giuseppe Uncini su fotografia, n. archivio 66-013

 

 

Il percorso artistico di Giuseppe Uncini è caretterizzato in maniera esemplare dalla ricerca attenta e costante sull'uso dei materiali, in particolare del ferro, e sui loro principi costruttivi, mettendo alla base del proprio lavoro il principio creativo.

 

Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Urbino , nel 1953, su esortazione del conterraneo Edgardo Mannucci, si trasferisce a Roma, ospite del suo studio, dove entra in contatto con alcune figure dell’arte italiana e internazionale residente nella Capitale (Capogrossi, Afro, Mirko, Gentilini, Cagli e poi Franchina e Colla che insieme a Emilio Villa frequentavano assiduamente gli studi di Burri e di Mannucci).

 

Nel 1955 partecipa alla VII Quadriennale di Roma a Palazzo dell’Esposizione e, due anni dopo, espone per la prima volta in Germania, a Francoforte sul Meno, alla collettiva Abstrakte italianische Kunst. Nel 1956-57 inizia il ciclo di opere chiamato Terre, tavole realizzate con tufi, sabbia, cenere e pigmenti colorati. Ma la svolta nell’evoluzione artistica di Uncini si ha con la creazione, tra il 1957 e il 1958, dei primi Cementarmati, opere realizzate con ferro, cemento e rete metallica che lasciano intravedere la struttura portante del loro farsi, in contrasto con le superfici compatte e ruvide del cemento che spesso espongono la venatura della cassaforma.

 

Si susseguono diverse mostre che vedono riunita la così detta Giovane scuola romana: Uncini, Festa, Lo Savio, Angeli e Schifano. La prima importante personale è del 1961 alla Galleria l’Attico di Roma.

Un'arte mai omologata, quella di Uncini, quasi percorsa da una idiosincrasia col resto delle voci italiane, ma anche del tutto indipendente dalle influenze internazionali, instillata da una prima esperienza nel movimento Informale che ha stimolato l'euforia per innesti di sabbie, terre, cenere e cemento.

 

Nel 1963 si ufficializza la fondazione del Gruppo Uno con Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Santoro che terranno una serie di esposizioni e pubblicheranno un manifesto che ne spiega la poetica. Il Gruppo Uno, scioltosi nel 1967, contrapponeva alla ricerca dell’Informale, l’idea di un’arte legata alla teoria della percezione, suggerendo la diversa funzione dell’Artista nella società. Argan fu uno dei più convinti sostenitori di questo Gruppo.

 

La ricerca di Uncini prosegue dal 1962 al 1965 con i Ferrocementi, dove il cemento estremamente levigato, fino a perdere ogni riferimento di tipo materico, ha nel tondino di ferro il vero protagonista che se determina le dimensioni del cemento, si fa linea di continuità tra il limite esterno e parti interne.

 

Segue nel 1965 il gruppo di lavori Strutturespazio, che saranno poi presenti alla XXXIII Biennale di Venezia del 1966 e proprio in questo filone di ricerca si inserisce l'opera che oggi presentiamo. Il senso architettonico gradualmente prende il sopravvento dando una sterzata quasi ambientale alla concezione dell'opera. La predilezione per materiali non nobili lo ha spinto ad una sperimentazione accanita verso procedure ingegneristiche di assemblaggi sempre più complesse che sembravano quasi scippate a sistemi industriali.

 

Di fatto, Uncini ha adoperato materiali, come il cemento e i tondini di ferro, a quel tempo impiegati unicamente nell’edilizia, e visti come improbabili nell’ambito artistico. Un pioniere, quindi, che ha aperto la via all’uso di nuovi materiali nella pratica scultorea. Questa innovazione ebbe un’influenza diretta sul movimento americano della Minimal Art e sull’italiana Arte Povera. L’estetica del cemento e del ferro divenne il marchio distintivo del suo lavoro. Attraverso l’uso di questi materiali, Uncini ha anche rivoluzionato molti aspetti tecnici della scultura, assorbendo complesse procedure ingegneristiche, visibili nelle superfici non trattate delle sue opere, che portano i segni delle produzioni industriali.

 

L'importanza di Giuseppe Uncini è stata proprio quella di forgiare nuova dignità espressiva a materiali improbabili, dando loro una posizione di prestigio nella lunga tradizione plastica italiana.

 

“Io lavoro con il cemento e il ferro. Questi materiali li uso con proprietà, nel senso che non li camuffo, che non me ne servo per trarre degli effetti particolari, al contrario li adopero come si adoperano nei cantieri, per costruire le case, i ponti e le strade, per costruire tutte le cose di cui l’uomo ha bisogno. Alla base di tutto questo c’è la necessità di costruire, di organizzarsi, c’è quel principio creativo che è all’origine di ogni progresso umano, questo è quanto nei miei oggetti voglio esprimere”.

Giuseppe Unicini

Stima 
 € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
274


GIANNI COLOMBO

(Milano 1937 - Melzo 1993)

Spazio elastico

molle, elastici, chiodi, spago e smalto su tavola, cm 124x127

eseguito nel 1975/1976

L’opera è accompagnata da certificato dell’Archivio Gianni Colombo con il n. 1264

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Gianni Colombo, Galleria Monica De Cardenas, Zuoz, Saint Moritz, 6 dicembre 2014 - 22 Luglio 2015,

ivi ripr., s.i.p.

 

Gianni Colombo è considerato uno degli artisti italiani più influenti della sua generazione, il suo lavoro si inserisce al centro di un sempre più diffuso e crescente interesse internazionale. L’artista si colloca infatti, tra i maestri del cinetismo internazionale, ma l’importanza dei suoi traguardi creativi va ben oltre. A conferma della profonda attualità delle sue opere sono gli aspetti performativi, partecipativi e relazionali: la pratica di Colombo mira infatti ad un superamento dell’opera d’arte concepita come mero oggetto da contemplare a favore di una dimensione di tattilità, corporeità e partecipazione da parte del fruitore.

 

Formatosi all’Accademia di Brera, dove frequenta i corsi di pittura di Achille Funi e Pompeo Borra. Condivise il suo primo atelier in via Montegrappa a Milano con Davide Boriani e Gabriele Devecchi, trasferendosi infine in un atelier vicino a quello di suo fratello Joe. Egli sperimentò con diversi materiali e linguaggi, fondando nel 1959 il Gruppo T con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, e Gabriele Devecchi, e diventando un protagonista di fama internazionale dell’arte

cinetica o programmata.

 

Colombo era insieme meccanico di oggetti manipolabili e cinetici e architetto dadaista: un artista che la cui ricerca si evolve di volta in volta. La sua volontà di superare la concezione tradizionale di opera d’arte, di trasformare gli spettatori in tecnici, portano Gianni Colombo a sperimentare nuove strutture percettive attraverso giochi di luce e insoliti equilibri. L’obiettivo era quello di modificare le sensazioni dello spettatore, stupendolo attraverso la creazione di luoghi sinestetici, campi d’interazione tra i vari organi sensoriali. Voleva turbare la passività percettiva dei luoghi, dalla galleria al museo, dalla casa al palazzo, mostrando l’inerzia del loro utilizzo.

 

Come ben evidenzia Marco Scottini in Gianni Colombo. Il dispositivo dello spazio, “l’opera di Colombo non ci presenta - come ha affermato Jean Louis Schefer - “un catalogo di forme né, come l’hanno fatto una pittura ed un’arte classiche nelle quali, effettivamente, abbiamo imparato a guardare, un allineamento del visibile” (J. L. Schefer, C’est un corps in Gianni Colombo, catalogo in occasione della mostra al PAC di Milano, 1984), tanto meno una collezione di oggetti. Si tratta piuttosto della produzione di dispositivi: strutturazioni, intermutabili, campi, situazioni, transiti, itinerari, ambienti o come altrimenti si è voluto chiamarli.”

 

Lo Spazio elastico è stato sperimentato da Colombo in più forme: dall’iniziale reticolo di cubi di fili elastici animati da motori e dall’azione della luce di Wood (1964), all’allestimento di uno Spazio elastico “ambientale” presso la galleria l’Attico di Roma nel 1967-1968, operazione che verrà in seguito sviluppata in altre occasioni e varianti. In parallelo agli ambienti percorribili, egli sviluppa, alla fine degli anni Sessanta una serie di Spazi elastici costituiti da leggere strutture in metallo in forma di cubi, appese a soffitto con semplici fili di nylon e animate da motori. Il ruolo attivo del fruitore è tuttavia ulteriormente ribadito in un’altra serie di Spazi sviluppati a partire dal 1974 dei quali fa parte la nostra opera datata 1975-1976: Colombo riparte dal tradizionale piano del quadro, trasformandolo però in una tavola sulla quale il soggetto può intervenire spostando manualmente i fili elastici. I disegni che si possono ottenere coinvolgono chi guarda in una relazione che ha l’apparente leggerezza di un gioco e proprio “gioco” e “leggerezza” sono, d’altronde, due parole chiave in tutta la poetica di Gianni Colombo. “Gianni Colombo e io, eravamo tra i pochi a inseguire una semplicità, una precisione che fosse anche leggerezza”, afferma François Morellet, ricordandolo.

 

Tra i protagonisti dell’arte cinetica internazionale e tra i maggiori esponenti della tendenza ambientale, Colombo coniuga la ricerca spaziale di Fontana con una matrice surrealista originaria che, nella mutabilità e nel movimento, introduce sorpresa e straniamento. Al centro del suo lavoro c’è lo spettatore: tanto la sua partecipazione diretta quanto il suo coinvolgimento psichico. Dunque, non solo lo spettatore inteso come statuto teorico, secondo l’accezione di Duchamp, bensì lo spettatore concreto, nella sua realtà fisica e sensoriale. I monocromi bianchi e pulsanti di Colombo, oppure quelli ruotanti, così come gli ambienti luminosi e quelli architettonici, decostruiscono continuamente le attitudini percettive e comportamentali del soggetto che è chiamato a interagire con essi.

“Ho pensato di lavorare più sulle condizioni dello stato di equilibrio, di sensazione e di rapporto con lo spazio dello spettatore: invece di dare forma a uno spettacolo visivo, complesso e di carattere scenografico […]. cercavo la possibilità di inglobare questo tipo di sensazioni a livello di un’opera da fruire come un fattore emozionale e un fatto espressivo.”

Gianni Colombo, dattiloscritto, 1964/1965

Stima 
 € 90.000 / 140.000
Aggiudicazione  Registrazione
61 - 90  di 178