DIPINTI DEL SECOLO XIX

23 NOVEMBRE 2016

DIPINTI DEL SECOLO XIX

Asta, 0188
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi,26
Ore 17.30
Esposizione

FIRENZE
18-21 Novembre 2016
orario 10 – 13 / 14 – 19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it



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Stima   1500 € - 60000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 62
122

Mario Cavaglieri

(Rovigo 1887 - Peyloubere, Francia 1969)

LA FAMIGLIA CAVALIERI

olio su tela, cm 210x261

firmato e datato "17" in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione Gualino, Torino

Collezione privata

 

Esposizioni

Le Tre Venezie a Torino, Torino, 1918

 

Bibliografia

E. Grassi, Le Tre Venezie a Torino, in "La Donna", XIV, 309, dicembre 1918, p. 29 (ill.)

G. Perocco, Cavaglieri, in Artisti del primo Novecento italiano, Torino 1965, p. 304 (ill.)

V. Vareilles, Mario Cavaglieri. Témoignages, peintures et dessins, catalogo della mostra (Saint Juéry, gennaio 1977) Albi 1977, p. I

V. Vareilles, in Mario Cavaglieri. Gli Anni Brillanti. Dipinti 1912-1922, catalogo della mostra (Verona, Galleria dello Scudo, 12 dicembre 1993 – 20 febbraio 1994) a cura di R. Monti e V. Vareilles, Verona 1993-1994, p. 160 (ill.)

V. Vareilles, in cat. New York 1994-1995, p. 156 (ill.)

V. Vareilles, Mario Cavaglieri (1887-1969). Catalogo ragionato dei dipinti. II, Catalogo delle opere, Torino 2006, n. 445 p. 113

 

 

Davanti a una grande vetrata affacciata su un ampio scenario naturale, sono riuniti intorno a un tavolo vari membri della famiglia della scultrice Anita Cavalieri, amica del pittore ma non connessa a lui da legami di parentela (al cognome della scultrice manca la "g").

A destra  del commendatore Cavalieri, di spalle in primo piano, siede la figlia Anita e frontalmente, a sinistra, Donna Clara; entrambe sembrano essere  in visita, tenendo in testa il cappello.

In piedi a entrambi i lati del tavolo, a incorniciare la scena, due ragazze, le nipoti, seguono con attenzione l'incontro.

A proposito di quest'opera, Cavaglieri era solito raccontare, aiutandosi con la mimica, un gustoso episodio intercorso tra Donna Clara e Donna Scaglieri, signora dal carattere molto forte (cfr V. Vareilles, Mario Cavaglieri (1887-1969). Catalogo ragionato dei dipinti. II, Catalogo delle opere, Torino 2006, n. 445 p. 113).

 

Figlio di Pacifico e Regina Bianchini, Mario Oddone Cavaglieri nacque a Rovigo, in una famiglia israelita originaria di Venezia, il 10 luglio 1887. Dal 1900 al 1917 risiedette a Padova, dove s'iniziò all'arte con il pittore Giovanni Vianello. Era suo compagno di studi, fino al 1908, Felice Casorati; ambedue gli allievi conservarono molta gratitudine al loro maestro, profondo conoscitore della tecnica della pittura ad olio e ad affresco.

Il C., non ancora ventenne, nel 1907 era presente alla mostra della Società amatori e cultori di belle arti a Roma. Nel 1909 figurava con tre opere alle mostre Bevilacqua La Masa a Ca' Pesaro, a Venezia, celebri esposizioni giovanili d'avanguardia che si contrapponevano vivacemente al carattere accademico delle prime biennali. Nella mostra collettiva del 1910, pure a Ca' Pesaro, espose in una sala quattordici opere (nella stessa mostra sono da segnalare le personali di Boccioni, Wolf Ferrari e Garbari, oltre a quelle del gruppo dei più noti giovani artisti allora operanti nel Veneto). Nel 1911 il pittore soggiornò a Parigi. Nella collettiva annuale del 1912 a Ca' Pesaro, a Venezia, ottenne una seconda mostra personale di diciannove opere e fu presente per la prima volta anche in una selezione di giovani artisti alla Biennale, dove figurerà poi ininterrottamente fino al 1924.

Nel 1911 espose a Roma, nel 1913 a Monaco, nel 1914 e nel 1915 alla Permanente di Milano e quindi a Parigi, ottenendo un notevole successo. Nel 1919 tenne una mostra insieme con Hans St-Lerche a casa Cagiati a Milano (Longhi, 1919) e nel 1920 un'altra personale alla galleria Pesaro di Milano, insieme con St-Lerche e Alberto Martini (presentazione nel catalogo di V. Pica). Dal 1921, anno in cui si sposò con Giulietta Catellini (che appare nei ritratti già dal 1912), al 1925 soggiornò a Piacenza e quindi si stabilì a Pavie-sur-Gers, presso Auch in Guascogna, in una bella villa al centro di una vasta tenuta di sua proprietà. In questa casa passò tutta la vita, alternando lunghi soggiorni a Parigi e in Italia.

Espose quindi quasi ininterrottamente al Salon d'Automne a Parigi e in alcune note gallerie della capitale francese. Nel 1948, nel 1950 e nel 1952 fu presente alla Biennale di Venezia. Nel 1953, per invito di C. L. Ragghianti, gli venne allestita una grande mostra alla "Strozzina" di Firenze (presentazione di Giuseppe Raimondi); e fu quindi invitato nel 1967 con quattordici opere alla mostra dell'arte moderna in Italia 1915-1935 a palazzo Strozzi a Firenze (Catal., pp. XXIII, 110-112).

Morì a Pavie-sur-Gers il 23 sett. 1969.

Una prima mostra postuma di opere del C. è stata tenuta con successo alla X Quadriennale d'arte di Roma del 1972-73 (R. Monti, in Catal., pp. 121-126); altre alla gall. Menghelli di Firenze nel 1973 (presentazione sempre di R. Monti) e nel 1974 (M. C. opere inedite, così il titolo del catalogo a stampa). Nel 1974 ebbe una mostra "Hommage à Mario Cavaglieri" nel Museo "Des Augustins" a Tolosa (catal. D. Milhau-V. Vareilles); nel 1976 alla galleria Senato di Milano e infine la vasta mostra personale nel 1978 all'Accademia dei Concordi di Rovigo, città natale dell'artista, che ebbe larga eco in Italia e in Francia.Il C. fu un pittore naturalmente portato già dal primo decennio del Novecento a superare il naturalismo verista allora in voga e a fare propria la lezione dell'impressionismo francese secondo un'interpretazione molto personale, che lo avvicina piuttosto a Bonnard e a Vuillard che agli impressionisti classici. La sua posizione d'avanguardia nelle mostre di Ca' Pesaro dal 1909 al 1913 costituisce la premessa al suo futuro sviluppo, tra Venezia e Padova, vicino a Ugo Valeri, Casorati, Gino Rossi, in un ambiente studentesco portato alla modernità dagli stessi studi e dalle indagini culturali che sapevano già allora spaziare in un largo campo europeo. L'artista predilesse per molti anni un soggetto quasi unico, l'interno delle sue stanze, quelle belle sale di palazzi di provincia, cariche di mille cose inutili e decorative: nature morte e perfino paesaggi sono visti da questo interno in un'aria ovattata, ferma, senza tempo.Già R. Longhi, nel suo articolo del 1919, notava questo singolare soggetto d'ispirazione dell'artista. Anche C. L. Ragghianti sottolinea la felicità inventiva e immediata nell'espressione pittorica del C., che riesce a conservare fino alle ultime tele una nota di giovanile "innocenza". Il periodo della sua maggiore importanza creativa può essere indicato dal 1909 al 1925, dagli inizi, cioè, all'anno in cui lasciò l'Italia per stabilirsi in Francia: sono da ricordare le numerose serie di piccole tele compiute tra il 1909 e il 1911, in cui di solito appare una figura femminile all'interno di una stanza nelle pose più varie e immediate della vita quotidiana, e quindi una serie di quadri di vasta misura, tutti in collezioni private (se non diversamente indicato). Tra essi si segnalano: La piccola russa, 1914; Signora sulla veranda, 1914; Romanticismo, 1915; La sala di campagna, 1915, (Firenze, Fondazione Longhi); I fidanzati riconciliati, 1915; La famiglia Cavalieri, 1917; Lo scialle di Cachemire, 1918; Lo scialle di Buchara, 1918 (Firenze, gall. Menghelli); Amalia Pellegrinetti, 1919 (Francia, coll. privata), Caminetto rosso, 1920; Figura in salotto, 1920 (Piacenza, Museo Ricci Oddi); Salotto del sole, 1923; Interno di salotto, 1923. Tra le molte opere compiute in Francia sono da annoverare: La toilette, 1926; Maria, 1927; Nudo con l'ombrellino, 1928; La casa nuova, 1928; Salotto, 1932 (Firenze, Gall. naz. d'arte moderna); Paesaggio del Gers, 1934; Omaggio a Hokusai, 1955.
(cfr. G. Perocco, Cavaglieri, Mario Oddone, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXII, 1979)

Stima 
 € 55.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
121
Baccio Maria Bacci
(Firenze 1888 - 1974)
IL BARBIERE
olio su carta applicata su tela, cm 99x89
siglato in basso a destra

Esposizioni
Baccio Maria Bacci 1888-1974, Stia, 3 agosto - 29 settembre 1996, n. 3

Bibliografia
Baccio Maria Bacci 1888-1974, catalogo della mostra (Stia, 3 agosto - 29 settembre 1996) a cura di M. Pratesi, Stia 1996, n. 3

Nato a Firenze l'8 gennaio 1888, discendente da una famiglia di artisti, trascorse gli anni dell'infanzia a Bellosguardo, sulle colline fiorentine, nella casa frequentata dai maggiori macchiaioli. Dopo la morte del padre, nel 1897, trascorse alcuni anni in Germania.Di nuovo a Firenze nel 1905, grazie all'interessamento di Luigi Bechi venne ammesso all'Accademia, ma, insofferente di ogni disciplina ed insoddisfatto degli insegnamenti ricevuti, ad un mese dalla licenza abbandonò gli studi ed incominciò a dipingere per conto proprio. I risultati di quelle prime prove, il cui riferimento è soprattutto a Cézanne, vennero presentati al pubblico nel 1910 in una mostra a palazzo Gondi.Nel 1911, sempre a Firenze, fu presente alla Mostra del cinquantennio e conseguì il premio della camera di commercio; l'anno successivo, andò a Parigi ospite di Renato Paresce e visse la stagione del cubismo e dei fermenti futuristi, grazie ai frequenti contatti con Apollinaire e Gino Severini.Ritornato per motivi di salute alla fine d'aprile 1913 a Fiesole - ma alternò lunghi soggiorni anche in Svizzera dove conobbe Kandinskij - si dedicò a sperimentare le possibilità di scomposizione formale e cromatica offerte dal futurismo.Nelle opere del periodo giovanile il Baccio Maria Bacci mostra di aver guardato attentamente a diverse esperienze internazionali - dal decorativismo secessionista al cubismo - e di aver operato infine una scelta in favore di un "costruttivismo… che accoglie ed elabora nelle sue marcate strutture un empito cromatico di relazione ‘espressionista’" (Ragghianti, 1967).Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale, il ritorno alla serenità fiesolana coincise con un nuovo fervore creativo: le grandi tele dalle plastiche figure a grandezza naturale - donne quiete e prosperose in interni consueti, sodi contadini intenti al lavoro nel paesaggio bucolico - vennero presentate alla Mostra internazionale d'avanguardia a Ginevra nel 1921 e, l'anno successivo, alla Fiorentina primaverile, dove una sala personale accolse quindici opere.Se per i dipinti precedenti il riferimento era a modelli artistici europei, ora è la tradizione rinascimentale italiana, e toscana in particolare, che fa da supporto alla composizione di impianto classicheggiante; tradizione della quale il Bacci propose, nel corso degli anni Venti, una rilettura critica originale ed autonoma, ma in parallelo con i dettami che il gruppo milanese del Novecento andava proprio allora sostenendo.Così l'artista venne invitato a partecipare sia alle due mostre organizzate al palazzo della Permanente di Milano nel febbraio 1926 e poi nel marzo 1929, sia a quelle allestite all'estero: all'Esposizione d'arte italiana in Olanda (Stedelijk Museum di Amsterdam) nell'ottobre 1927; all'Exposition du Novecento italiano (Société des beaux arts di Nizza) nel marzo 1929; e alla Moderne Italiener (Kunsthalle di Basilea) nel febbraio 1930.Nel frattempo il Bacci aveva preso parte al dibattito artistico collaborando ad alcune riviste. Aveva inoltre partecipato alla fondazione della Corporazione delle arti di Firenze, ed infine costituito un "Gruppo novecentesco toscano", presentatosi in una mostra collettiva alla galleria Milano di Milano nel dicembre 1928. Sono di quegli anni i dipinti più significativi.Verso la fine del decennio l'artista, che ormai aveva raggiunto larga notorietà ed aveva partecipato a diverse edizioni della Biennale veneziana, venne chiamato ad eseguire gli affreschi con le Storie di S. Francesco nel convento della Verna, a cui fecero seguito altre realizzazioni di soggetto sacro.Nonostante queste prestigiose ed impegnative commissioni, il Bacci riuscì ad applicarsi costantemente alla pittura di cavalletto che nel '48, al ritorno dalla partecipazione alla seconda guerra mondiale, presentò al pubblico in una rassegna alla galleria Gianferrari di Milano.Sono di quel periodo dipinti come Le belle mugnaie di Varlungo (1940), Il vagabondo (1943), Interno (1948), Il libro delle farfalle (1949), in cui il novecentismo delle prove precedenti ritorna specialmente nella forma di "realismo magico", stante l'atmosfera rarefatta e sospesa che investe le composizioni.Trasferitosi nel 1955 a Roma il Bacci proseguì accanto alla sempre felice produzione pittorica la pubblicazione di testi ed edizioni critiche riguardanti i macchiaioli. cui da tempo si dedicava. Muore a Firenze l'8 ottobre del 1974.
(cfr S. Zatti, Bacci, Baccio Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIV, Roma 1988)
Stima 
 € 18.000 / 25.000
120

Lorenzo Viani

(Viareggio 1882 - Lido di Ostia 1936)

VECCHI PESCATORI

olio su cartone, cm 68x98

firmato in basso a sinistra

 

L'opera è corredata da autentica su fotografia di Enrico Dei del 28 novembre 2008.

 

Esposizioni

Esposizione Personale delle opere del Pittore Lorenzo Viani, Palazzo delle Aste, Milano, 30 ottobre - 7 novembre 1915, n. 22

La collezione Bargellini e altre testimonianze, Ente Cassa di Risparmio, Firenze, 25 settembre - 3 novembre 2009 / Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, Viareggio, 12 novembre - 13 dicembre 2009, n. 15

 

Bibliografia

Esposizione Personale delle opere del Pittore Lorenzo Viani, catalogo della mostra (Palazzo delle Aste, Milano, 30 ottobre - 7 novembre 1915) pref. di L. Bistolfi, Milano 1915, p. 14 n. 22

Lorenzo Viani. La collezione Bargellini e altre testimonianze, catalogo della mostra (Ente Cassa di Risparmio, Firenze, 25 settembre - 3 novembre 2009 / Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, Viareggio, 12 novembre - 13 dicembre 2009) a cura di F. Palminteri, S. Ragionieri, Milano 2009, pp. 70-71, n. 15

 

Insieme a lo Sposalizio, Vecchi Pescatori rappresenta uno dei recuperi importanti della mostra Lorenzo Viani. La collezione Bargellini e altre testimonianze del 2009, non essendo, al pari di esso, più stato esposto in pubblico dopo la personale del 1915 al Palazzo delle Aste di Milano. Tra i primi ad identificarlo con una delle opere presentate alla rassegna, Enrico Dei (Novembre 2008) lo inquadra nella produzione di quel giro di anni.

A riscontro di tale cronologia è un modulo compositivo, che il pittore adotta dagli inizi del secondo decennio, interamente sviluppato sulla disposizione in primo piano del modelli ripresi frontalmente e a mezzo busto. Una messa a fuoco incentrata sull'asse orizzontale, la cui sequenza ritmica evidenzia l’inequivocabile caratterizzazione popolare dei personaggi, proponendoli non nello schema fisiognomico tradizionale, bensì secondo l’intendimento fattoriano di affermare quanto di esplicito e recondito vi è nella loro personalità. Quindi più che di ritratti fini a se stessi si potrebbe parlare di espressioni significanti dell'anima, che parla anche attraverso ciascuno di quei volti. Pur vero è che la loro varietà nella forte incisività dei tratti e nella manifesta vitalità, li rende icone di una pittura sollecitata sì dalla realtà ma, nel contempo, elaborata e rigenerata da Viani in una ideale quanto veritiera galleria di tii e caratteri.

Rispetto a Gli anarchici, Gli zingari sposi, I compagni, (Cardellini, 1978, nn. 75, 80, 86) e ancora di più, ai Cavatori (Seravezza, 2000. n. 132), la peculiarità dei Vecchi Pescatori consiste nella maggiore plasticità della materia ottenuta per campiture larghe e virulente che conferiscono all'immagine un effetto di tridimensionalità, annullando quanto di narrativo e di retorico potrebbe esprimere nel suo lessico locale.

 

(in Lorenzo Viani. La collezione Bargellini e altre testimonianze, catalogo della mostra (Ente Cassa di Risparmio, Firenze, 25 settembre - 3 novembre 2009 / Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, Viareggio, 12 novembre - 13 dicembre 2009) a cura di F. Palminteri, S. Ragionieri, Milano 2009, pp. 70-71, n. 15)

 

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
119

Erma Bossi

(Pola 1882 o 1885 - Milano 1952 o 1960)

DANZATRICI

olio su tela cerata, cm 50x74

firmato in basso a sinistra

 

I riflettori si sono accesi sulla personalità di questa pittrice da quando nelle raccolte dello Schlossmuseum della cittadina tedesca di Murnau, giunse un dipinto di Gabriele Münter intitolato "Kandinsky e Erma Bossi a tavola". Dell'opera, che riproduce un angolo della casa in cui l'autrice soggiornava dal luglio del 1909 insieme al suo compagno e maestro Vassily Kandinsky a Murnau, esistono più versioni e diversi schizzi preparatori. Osservando l'intensità della conversazione che pare intercorrere tra i due protagonisti del dipinto la direttrice del museo, Sandra Uhrig, ha voluto approfondire la conoscenza dell'artista raffigurata di fronte al celebre maestro dell'astrattismo, tentando di fare chiarezza tra le poche e confuse notizie biografiche e gli altrettanto pochi lavori a disposizione.

Si è intrapresa così una ricerca sulle tracce di Erma Bossi che ha portato alla realizzazione di una mostra, inauguratasi nel  luglio 2013 allo Schlossmuseum di Murnau  e alla pubblicazione di un catalogo che si avvale dei contributi di Carla Pellegrini Rocca, gallerista milanese il cui archivio conserva diverse testimonianze sull'artista, e di Sergio Vatta per la ricostruzione degli anni triestini della Bossi.

Erma Bossi, il cui nome originario era Erminia Bosich, nasceva infatti a Pola nel 1875 da famiglia triestina. A Trieste, dal 1888 al 1893, frequenta con profitto il Civico Liceo Femminile. Già a questi anni va probabilmente ascritta la sua inclinazione artistica che avrà modo di svilupparsi poi nell'ambito del Circolo Artistico triestino..

Al 1902 risale il ritratto che Carlo Wostry le dedica, definendola "distinta collega", mentre di due anni dopo è la recensione che su "Il Piccolo" segnala i suoi pastelli "modellati con energia quasi violenta" con "un impeto di colore così acceso di luci arrischiate da impressionare l'osservatore". Nell'arte della Bossi pare dunque delinearsi sin da subito un'indole tendenzialmente espressionista che di lì a poco avrà modo di confrontarsi con i maggiori protagonisti europei di tale corrente.

Nello stesso 1904 pare infatti che l'artista giungesse a Monaco di Baviera. Qui non si sa con certezza se abbia potuto frequentare un'Accademia del Circolo Artistico femminile o, anche forse solo occasionalmente, i corsi di pittura tenuti da Anton Azbe e Heinrich Knirr. Sicuramente ben presto entra in contatto con Gabriele Münter, Vassily Kandinsky e gli altri pittori che nel 1909 fondarono la Neue Künstlervereinigung München. Il registro comunale degli ospiti estivi di Murnau attesta che Erma si era intrattenuta nell'estate del 1908 nella località di villeggiatura sullo Staffelsee assieme a Kandinsky, Münter, Jawlensky e Werefkin, soggiornando alla pensione Echter. Lo stesso Jawlensky la ricorda nei suoi diari.

Con gli artisti della Nuova Associazione di Monaco Erma Bossi espone alle prime tre mostre, dal 1910 al 1912, quando già sembrerebbe attratta da Parigi. Alcune tele come "Caffè Blanche" e "Moulin Rouge", citate nei cataloghi delle mostre monacensi, presentano soggetti chiaramente ispirati alla capitale francese. Proprio a Parigi, dove si trasferirebbe intorno al 1911, le tracce dell'artista si affievoliscono con notizie sulla sua partecipazione a diversi Salon che tuttavia non è stato possibile comprovare. Un altro enigma di questo periodo riguarda un ipotetico matrimonio della pittrice con il tenore italiano Carlo Barrera (1865-1938). La firma Erma Barrera Bossi compare infatti in alcuni dipinti databili dal 1910-11 fino al 1920 circa.

Alla fine della prima guerra mondiale, negli anni Venti, si stabilisce a Milano. Il suo stile pittorico si allinea al clima di "ritorno all'ordine" e le sue opere appaiono nelle esposizioni del Gruppo Novecento. Nel 1930 espone una "Natura morta" alla XVII Biennale di Venezia. Muore a Cesano Boscone nel 1952.

 

(cfr F. Mari, La pittrice triestina amica di Kandinsky , in "Il piccolo", Trieste, 27 agosto 2013)

 

 

Stima 
 € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
105

Cristiano Banti

(Santa Croce sull'Arno 1824 - Montemurlo 1904)

LA CONGIURA: IL RITROVAMENTO DEL CORPO DI LORENZINO DE MEDICI

olio su tela, cm 215x177,5

 

Provenienza

Eredi Banti, Firenze

Collezione Attilio Vallecchi, Firenze

Collezione E. Gagliardini, Milano

Collezione Mario Borgiotti, Milano

Galleria Bottega d'Arte, Milano

Galleria Sant'Ambrogio, Milano

Collezione Giovanni Matteucci, Viareggio

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

L'opera di Cristiano Banti pittore (1824 - 1904), Palazzo Pretorio, Prato, 1965, p. 19, n. 10

Momenti della Pittura Toscana dal Neoclassicismo ai Postmacchiaioli, Galleria Parronchi, Firenze, 1997, p. 15, n. 11, tav. 15

I Macchiaioli. Origine e affermazione della macchia 1856 - 1870, Museo del Corso, Palazzo Cipolla, Roma, 2000, p. 49, n. 1

 

Bibliografia

M. Borgiotti, Genio dei Macchiaioli, Milano 1964, II, pp. 392 – 395, tavv. 199 - 200

Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell’800, 3, Torino 1970, p. 22

I Macchiaioli, catalogo della mostra (Forte di Belvedere, Firenze, 23 maggio – 22 luglio 1976) a cura di D. Durbè, Firenze 1976, p. 69

G. Matteucci, Cristiano Banti, Firenze 1982, p. 344, n. 13

E. Spalletti, Gli anni del caffè Michelangelo, Roma 1985, pp. 155-157, n. 130

Ann. Allemandi, IX, 1991 - 92, p. 41

 

È la tela più importante che Banti abbia dipinto, per dimensioni e per impegno di elaborazione compositiva. Resa nota nel 1964 dal Borgiotti con il titolo La congiura, lo ha mantenuto invariato anche nella mostra pratese del 1965. Nel soggetto deve riconoscersi l'episodio del ritrovamento del corpo di Lorenzino dei Medici, così come le fonti lo riportano. Il riferimento al Morelli risulta ancora della tipologia dell’immagine. Tuttavia è evidente un'ampiezza d'interessi culturali, derivanti ancora dalla tipologia dell'immagine. Tuttavia è evidente un'ampiezza d'interessi culturale, derivati dalla comprensione della pittura francese di argomento storico della prima metà del secolo (oltre Delacroix soprattutto Decamps e Delaroche), che Banti ebbe agio di approfondire nel viaggio parigino del 1861. Il riporto dell'opera dal vecchio telaio ad uno nuovo ha restituito al dipinto le sue originali dimensioni, rispetto a quelle con cui era conosciuto finora (193x135); ciò induce a supporre, in via di pura ipotesi, che in uno stadio precedente tali dimensioni potessero corrispondere a quelle (178x116) di un quadro passato con il titolo La morte di Corradino di Svevia in alcune vendite tra il 1910 e il 1914.

 

(G. Matteucci, Cristiano Banti, Firenze 1982, p. 344, n. 13)

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
103
Ruggero Focardi
(Firenze 1864 - Quercianella 1934)
DOMENICA CAMPAGNOLA
olio su tela, cm 150x300
firmato e datato "1924" in basso a sinistra

Provenienza
Collezione privata

L'opera potrebbe essere a nostro parere identificabile con Domenica Campagnola, un dipinto i cui studi preparatori furono esposti alla Esposizione delle opere d'arte del pittore Ruggero Focardi e dello scultore Alimondo Ciampi, alla Galleria d'Arte Cavalensi e Botti nel 1928 (cfr. Esposizione delle opere d'arte del pittore Ruggero Focardi e dello scultore Alimondo Ciampi, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Cavalensi e Botti, Firenze, 23 febbraio - 12 marzo 1928), Firenze 1928, pp. 10-11)

Ruggero Focardi nacque a Firenze il 16 luglio 1864. Proveniente da una famiglia di artisti (sia il padre che il fratello maggiore, Giovanni, erano scultori), si dedicò alla pittura. Esordì nel 1881 alla Royal Academy di Londra, dove viveva il fratello, esponendo le incisioni Pater noster e Un po' d'elemosina per l'amor di Dio! (Franchi, 1903-04, ripr. p. 584), raffigurante un vecchio mendicante. Quest'opera, dal verismo fortemente intriso di intonazioni patetiche e sentimentali, fu scelta l'anno seguente dalla commissione del Circolo artistico di Firenze per una vendita di opere d'arte a favore degli alluvionati del Veneto. In tale occasione il F. venne notato da T. Signorini, membro della commissione; iniziò da quel momento tra i due una solida amicizia e una consuetudine di rapporti, che si estese poi a tutto il gruppo dei macchiaioli toscani, tra i quali G. Fattori, S. Lega, O. Borrani, L. Tommasi, L. Gioli.La prima produzione del F. è condizionata dall'influenza del Signorini, non solo nello studio rigorosamente dal vero e nell'adesione alla poetica della "macchia", ma, soprattutto, nel taglio compositivo e nella descrittività analitica della scena. La maggiore ricchezza cromatica e la tematicá umanitaria lo avvicinano soprattutto ai macchiaioli della seconda generazione, o postmacchiaioli, come E. Ferroni, E. Cecconi e N. Cannicci.Vari i soggetti rappresentati dal F., dai ritratti alle luminose marine di Livorno, agli studi di paesaggio nella varietà di effetti di luce e di condizioni atmosferiche, alle umili vicende di vita agreste e paesana. Con tali opere prese parte a numerose mostre, soprattutto di ambito fiorentino: Atmosfera di pioggia fu esposto alla mostra della Società promotrice di belle arti di Firenze nel 1884, mentre Effetto di pioggia e Siesta d'estate vennero presentati nel 1887 nell'ambito della medesima rassegna, alla quale il F. prese spesso parte anche in seguito; con Il gioco delle bocce (Firenze, Galleria d'arte moderna) partecipò all'Esposizione universale di Parigi del 1889 e con Vita campagnola al premio Baruzzi di Bologna del 1894; due anni dopo, inoltre, Il mercato di Settignano (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) fu premiato alla mostra della Promotrice di Firenze.Nel 1901 il F. partecipò al concorso indetto da Alinari per l'illustrazione della Commedia, rappresentando il canto XXXIII del Purgatorio, che sembra segnare una svolta nel suo stile, sia per il soggetto preraffaelita, sia per la tecnica, ispirata alla pittura divisionista di Gaetano Previati. Il punto di contatto con tale diverso ambiente artistico sembra rappresentato dal pittore livornese Plinio Nomellini con il quale il l’artista condivise innumerevoli iniziative, in campo artistico ed espositivo (si veda il Ritratto del pittore Nomellini, esposto nel 1921 alla prima Biennale romana, che, insieme alla Testa di vecchio, dal 1921 al Museo d'arte italiana di Lima, in Perù, è una delle sue rare sculture). I contatti con il divisionismo non lasciarono tuttavia profonde tracce nel linguaggio figurativo del Focardi, che per tutta la vita rimase stanzialmente fedele alla pittura di paesaggio e al bozzetto, al motivo lirico e familiare.Alla sua attività di pittore, affiancò una brillante e dinamica attività di organizzatore, polemista e divulgatore, a difesa della pittura "di macchia". Nel 1896 collaborò, con gli altri macchiaioli., al settimanale artistico-letterario Fiammetta e a vari altri giornali e riviste, fra cui, nel 1905, il Secolo XX, con articoli di ispirazione socialisteggiante e umanitaria. Con Mario Galli contribuì alla formazione dell'importante collezione di dipinti macchiaioli di E. Checcucci. Insegnò inoltre all'Accademia di belle arti di Firenze. Nel 1910 organizzò a Firenze la grande retrospettiva dell'arte toscana dell'Ottocento.Anche nel Novecento il Focardi prese parte a numerose esposizioni: nel primo decennio partecipò più volte (1904, 1909, 1910) alle mostre della Promotrice di Firenze, società in cui ricoprì inoltre le cariche dì vicepresidente e di segretario artistico; nel 1913, sempre a Firenze, partecipò con cinque pezzi all'Esposizione internazionale di pittura, scultura, architettura e bianco e nero; con dipinti e sculture prese parte nel 1921 alla Biennale di Napoli e a quella romana; l'anno seguente partecipò alla Fiorentina primaverile e allestì, sempre a Firenze, una personale presso la galleria d'arte antica e moderna Alfredo Materazzi (tra le altre personali, si segnalano quelle alla galleria Pesaro di Milano nel 1928, presentato in catalogo da A. Lancellotti, e nel 1931). Espose inoltre alla Biennale di Venezia del 1924 e del 1926, alla III Biennale romana del 1925 e, sempre a Roma, alle tre edizioni della Mostra nazionale d'arte marinara (1926-1929). Morì a Quercianella il 25 febbraio 1934.
(cfr. S. Frezzotti, Focardi, Ruggero, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVIII, 1997)
Stima   € 28.000 / 35.000
98

Michele Tedesco

(Moliterno (Potenza) 1834 - Napoli 1918)

DOPO PRANZO

olio su tavola, cm 39x68,5

siglato in basso a sinistra

retro: etichetta con n. 18

 

Provenienza

Eredi Giacinto Gigante, Napoli

 

Esposizione

Società Promotrice delle Belle arti di Torino, 1879

 

L'opera è accompagnata da uno studio della dott.ssa Luisa Martorelli, da cui è tratto il seguente testo.

 

Il dipinto ritrae un incontro all'aperto, di carattere familiare, nel primo pomeriggio di una tiepida giornata di primavera. La scena ha luogo all'esterno di un giardino incolto, nei pressi di un'abitazione prossima alle pendici del Vesuvio. La particolare forma conica del vulcano ci suggerisce che potremmo trovarci a Portici, in una moderna abitazione ubicata sulla zona più alta della cittadina,  a Bellavista.

Il consesso vede la partecipazione di numerose figure femminili, ognuna delineata con una fisionomia precisa mostrando, attraverso gli abiti indossati dalle donne e dai bambini, l'affermazione di un'identità del nuovo ceto borghese. Le madri sono in costante accudimento dei propri pargoli, mentre in disparte si scorge una balia al servizio della famiglia con un bimbo in braccio; le più giovani sono collocate in posizione strategica e fanno cerchio intorno al suonatore con la chitarra, complice dell'incontro in giardino. Alla sua destra c'è un'anziana signora e vicino, seduta in poltrona, una più giovane donna è in avanzato stato di gravidanza. Tutte le altre sono precariamente sedute sul muretto, a testimonianza di una certa improvvisazione per quell'appuntamento all'aria aperta. Sotto il colonnato, una seconda figura maschile osserva da lontano l'intera scena e dalle sembianze ci sembra riconoscere l'autoritratto del pittore, caratteristico per la sua folta capigliatura, la barba rossa fluente e la fronte alta e spaziosa.

 L'opera del Tedesco è un'eccezionale e inedita testimonianza della sua piena maturità artistica, sintesi di una riflessione della storia unitaria italiana, in una fase in cui le poetiche del naturalismo, dopo le sofferenze degli esiti risorgimentali, esplorano i valori più profondi del nuovo stato sociale, offrendo il campo agli affetti veri e all'intimità della famiglia riunita.  Siamo intorno alla metà degli anni Settanta dell'Ottocento, quando il ruolo della donna e l'educazione dei figli diviene un tema diffuso e ricorrente, investendo le arti figurative di nuovo significato storico (cfr. Eroine invisibili. Storie di donne nelle collezioni della provincia di Napoli e della pinacoteca provinciale di Bari, a cura di C. Gelao e L. Martorelli, Napoli 2010).

 All'Esposizione Nazionale di Belle Arti a Napoli del 1877, Michele Tedesco presenta un'opera  molto intensa per espressività intimistica, Un figlio naturale, (cfr. Asta Sotheby's, Milano 2001, lotto 155, sotto il titolo L'allattamento) dove egli si rivela capace di aggiornarsi in questa nuova sperimentazione, comune anche ad altri artisti (vedi Giuseppe Sciuti Gioie materne, 1877) riformulando un modello nuovo di pittura di storia.

Potremmo identificare nell'opera di Tedesco presa in esame quel soggetto presentato alla Società Promotrice di Torino del 1879, Dopo pranzo (cfr. Catalogo degli oggetti d'Arte ammessi alla XXXVIII Esposizione, p. 14 - Torino - n. 202, p. 14) noto attraverso il brano di recensione: "Tra i nomi meridionali rappresentati bene è quello di MIchele Tedesco, un pittore originale, con una distinzione tutta sua. Fa deboli le ombre, ma vi trova dei toni squisiti e, quanto alle figure, delle movenze nobili e verissime. Dipinge facilmente, ma finemente. Il Dopo pranzo, non è una cosa perfetta, ma si guarda con grandissimo piacere (...)" (Marco Calderoni, L'Esposizione di Belle Arti, in "Gazzetta Piemontese", 24 maggio 1879, p. 2). Certamente il nostro dipinto fu realizzato negli anni del suo trasferimento a Portici, poco dopo il 1876. 

Il pittore di Moliterno compie gli studi a Napoli, alla metà degli anni Cinquanta, presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli. Dopo aver  frequentato lo studio dei Palizzi e di Andrea Cefaly, al vicolo San Mattia, si aggiorna alle moderne istanze "del vero". Arruolandosi nelle file della Guardia Nazionale, si stabilisce a Firenze. Dal 1862, frequenta il gruppo del Caffè Michelangelo, conosce Diego Martelli e i pittori macchiaioli, tra cui Signorini, che l'ospitò a Castiglioncello e diviene intimo di Odoardo Borrani e Giuseppe Abbati.  Signorini lo ricordava insieme a Borrani, Fattori, Cabianca, Abbati, Boldini e Lega, tra coloro che sostennero "la lunga lotta contro le vecchie tradizioni scolastiche"  (cfr. T. Signorini in "Gazzettino delle Arti del disegno", 16 marzo 1867 in Michele Tedesco. Un pittore lucano nell'Italia unita, a cura di I. Valente, Potenza 2012).

Nel 1871, nel salotto letterario di Ludmilla Assing, a Firenze, incontra la pittrice Julia Hoffmann (1843- 1936) sua futura moglie. Con lei, intorno agli anni Ottanta, l'artista volge in una direzione figurativa orientata al simbolismo (cfr. La tempesta del 1883). 

Subito dopo il matrimonio, nel 1873, i coniugi si trasferiscono a Portici. La sua residenza è documentata presso quel "palazzo Provinciale", meglio noto sotto Reggia di Portici, che aveva visto nascere, dieci anni prima, il sodalizio della "Scuola di Resina".

 Il dipinto proviene dalla collezione di una delle otto figlie di Giacinto Gigante, il celebre acquerellista napoletano, capofila della Scuola di Posillipo.

 

Luisa Martorelli

Stima   € 40.000 / 60.000
Aggiudicazione  Registrazione
94
Stima   € 19.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
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