capolavori da collezioni italiane

9 NOVEMBRE 2016
Asta, 0187
12

MONETIERE, NAPOLI, SECONDA METÀ SECOLO XVII

Stima
€ 80.000 / 120.000

MONETIERE, NAPOLI, SECONDA METÀ SECOLO XVII

in legno intagliato, lastronato in ebano e tartaruga con applicazioni in bronzo dorato; di forma architettonica su base modanata, fronte aggettante al centro scandito da otto cassetti che inquadrano un’edicola sorretta da colonne tortili impreziosite alla base da un motivo traforato a racemi in bronzo dorato; le colonne racchiudono un portale sormontato da un timpano spezzato sovrastato da due putti alati in bronzo dorato; fronte ornato con pannelli in vetro dipinti ad olio a raffigurare scene mitologiche e classiche; su basamento in legno scolpito ed ebanizzato di epoca successiva; cm 111,5x178x47,5; la base cm 92x191,5x55

 

Diffuso fin dall’epoca di Tutankhamon, nella cui tomba nel 1922 sono stati rinvenuti numerosi esemplari di stipi, e passato poi attraverso il mondo classico per approdare, attraverso evoluzioni di forma e destinazioni d’uso, alla cultura occidentale, in Italia l’impiego dello stipo diventa significativo a partire dal secolo XV, trattandosi di un mobile connesso alla nascita dello Studiolo, luogo strettamente privato del palazzo dove l’umanista può ritirarsi per dedicarsi ai suoi studi e ai suoi interessi culturali. Lo studiolo si popola presto di mirabili raccolte d'arte e oggetti rari divenendo un luogo via via più complesso, un piccolo microcosmo in grado di riflettere la complessità del mondo circostante. È in questo contesto, prefigurazione della successiva Wunderkammer, che trova particolare diffusione il cabinet, o stipo, nel quale trovano posto i contenuti più preziosi, divenendo, grazie a questa prestigiosa funzione, mobile per eccellenza di ogni studiolo, prezioso nella fattura quanto il suo contenuto.

Nel corso dei secoli, in Italia così come nel resto d’Europa lo stipo esce dal contesto racchiuso dello studiolo per diventare sempre più un mobile di rappresentanza, meuble de parade et d’apparad volto a esprimere gli interessi politici e dinastici dei regnanti europei e utilizzato spesso come dono prestigioso tra regnanti. Con la sua realizzazione vengono chiamati a confrontarsi i migliori artisti del tempo i quali, a seconda delle tecniche di realizzazione impiegate, possono essere orafi e argentieri così come intagliatori di pietre dure, di corallo e di avorio, scultori, pittori, fonditori di bronzo. I materiali utilizzati sono i più ricchi e svariati, con l’unico intento di creare ogni volta qualcosa di eccellente e capace di impressionare. Al contempo, sotto l’influenza della grandiosità barocca, le proporzioni si fanno sempre più imponenti e monumentali, attraverso impianti che si sviluppano in architetture quanto più complesse; una complessità, questa, che si riflette anche negli interni del mobile, dove accanto a cassetti e vani che creano quasi dei palazzi in miniatura si aggiungono una serie di tiretti e di scomparti segreti. 

Nell’ambito di questa ricerca del materiale più prezioso e raro, a partire dal 1640 diventa sempre più frequente l’uso della tartaruga, materiale molto pregiato e capace di creare un effetto di grande preziosità risplendendo con forza sul nero del legno ebanizzato, e al tempo stesso facilmente reperibile dalle colonie spagnole. In virtù della dominazione spagnola, l’impiallacciatura in tartaruga si diffonde, in Italia, in particolar modo a Napoli, divenendo il carattere distintivo degli stipi partenopei realizzati a metà Seicento.

Assieme all’uso della tartaruga si diffonde a Napoli, in una costante ricerca di preziosismo e raffinatezza, l’uso di decorare il fronte degli stipi con vetri dipinti a olio raffiguranti scene della mitologia classica, racconti allegorici e, meno frequentemente, episodi biblici. Una tecnica, quella della pittura su vetro, che risulta essere particolarmente apprezzata da nobili e regnanti tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo; un esempio su tutti è quello di Ferdinando de’ Medici, che nel 1702 sceglie di inserire all’interno della sua collezione di dipinti alcuni quadretti su vetro realizzati da Luca Giordano. Numerosi documenti del tempo testimoniano proprio come siano allievi e seguaci del pittore napoletano Luca Giordano a specializzarsi, in questi anni, nella decorazione di grandiosi mobili: nel 1679, ad esempio, Giovan Battista Tara viene pagato per aver realizzato “un paro di scritori di ebano intarsiato con diverse pitture su cristalli”, mentre Carlo Garofalo, allievo di Luca Giordano e considerato come il miglior pittore su vetro attivo a Napoli nella seconda metà del Seicento, viene “preposto dal suo maestro al Re Carlo II in Ispagna; onde fu dal quel sovrano chiamato a dipingere i cristalli che dovevano servire per gli scrigni, e per altri adornamenti delle stanze Regali”; ancora, Domenico Coscia viene menzionato come pittore “che faceva assai bene quei cristalli, che si usavano nelli scrittorj”. La lista di pittori napoletani discepoli del Giordano ricordati per la loro attività pittorica su vetro può inoltre essere arricchita da numerose altre personalità, tra le quali sono Domenico Perrone, Francesco della Torre, Andrea Vincenti.

Nella seconda metà del Seicento numerosi sono gli stipi nati da questa fortunata congerie artistica in cui manifatture altamente specializzate nel creare architetture di grande complessità e lastronate in materiali preziosi come la tartaruga collaborano con i migliori pittori su vetro del tempo. L’opera proposta in questa sede trova infatti riscontri con opere simili dipinte da allievi di Luca Giordano. Tra gli esemplari più significativi è lo stipo, in tutto simile al nostro ma di dimensioni ancor più monumentali, datato al settimo decennio del Seicento ed entrato a far parte della collezione di Palazzo Pitti a Firenze grazie al dono di Emmy Levy (fig. 1); altri confronti possono essere avanzati con lo stipo di Palazzo Barberini a Roma e con il cabinet del Victoria and Albert Museum di Londra (fig. 2), acquisito dal museo nel 1870; manufatti analoghi sono infine catalogati e descritti nei documenti d’inventario del Principe di Avellino e del Cardinal Carafa, membri dell’aristocrazia napoletana.

 

Bibliografia di riferimento

A. González-Palacios, Il Tempio del Gusto. Le Arti Decorative in Italia fra Classicismi e Barocco, II, Roma e il Regno delle Due Sicilie, Milano 1984, p. 223;

M. Riccardi Cubitt, Mobili da Collezione. Stipi e Studioli nei secoli, Milano 1993, pp. 10-12 e 87-89

E. Colle, Il Mobile Barocco in Italia, Milano 2000, pp. 66-67;

G. Baffi, Il mobile napoletano nella storia e nell’arredamento, dal 1700 al 1830, Portici 2011, pp. 14-15