Importanti Maioliche Rinascimentali

9 NOVEMBRE 2016
Asta, 0186
21

TONDINO

Stima
€ 25.000 / 35.000
Aggiudicazione  Registrazione

TONDINO

DERUTA, JACOPO MANCINI DETTO IL FRATE O NICOLA FRANCIOLI, 1530-1540 CIRCA

Maiolica decorata in policromia con blu, arancio, verde rame, giallo antimonio su smalto bianco crema.

Alt. cm 4, diam. cm 23,3, diam. piede cm 7.

 

Provenienza

Collezione Sir William Sterling Maxwell;

Collezione Adda;

Palais Galliera, 29 novembre 3 dicembre 1965, lotto 505;

Collezione Bellucci, Perugia;

Collezione privata, Perugia

 

Bibliografia

B. Rackham, Islamic Pottery and Italian Maiolica. Illustrated Catalogue of a Private Collection, Londra 1959, p. 106 n. 382, tav. 170B;

C. Fiocco, G. Gherardi, Ceramiche umbre dal Medioevo allo Storicismo. Parte prima: Orvieto e Deruta, Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, Faenza 1988, pp. 128-129 fig. 79;

C. Fiocco, G. Gherardi (a cura di), La ceramica di Deruta, Perugia 1994, p. 273 n. 170

 

Il tondino presenta un cavetto profondo e larga tesa piana con orlo arrotondato, e poggia su un piede ad anello basso appena concavo.

Il decoro è realizzato a riserva sul fondo bianco: il pittore ha tracciato le campiture decorative riempiendole in blu, in manganese e in verde ramina. Il braccio che nella porzione superiore sorregge un ramo fiorito, i due grifoni alati che affiancano il cavetto, la testa di aquila nella parte inferiore e le ghirlande fogliate che riempiono armonicamente la tesa sono sapientemente ombreggiate in giallo antimonio. Qua e là, lungo la tesa, alcuni dettagli sono colorati da tocchi di verde ramina, ed in particolare nelle ali dei grifoni, che diventano i protagonisti della decorazione unitamente allo stemma centrale.

Al centro del cavetto il decoro prevede uno stemma, non identificato, tripartito (il canton destro in campo d’azzurro vede un braccio che regge un ramoscello fiorito con tre rose; al canton destro di punta su campo d’argento con otto fasce d’argento e di rosso; in campo sinistro d’oro una fascia verde con tre teste di lupo in oro) e sormontato da una decorazione fitomorfa circondata da nastri blu. Alcune ombreggiature in blu diluito danno profondità alla composizione. Al fianco dello stemma le lettere “G” e “A”.

Sul retro del piatto un sottile decoro alla porcellana con sottili girali fogliate delineate in blu e, al centro del piede una M corsiva parafatta.

Lo stemma riprodotto accomuna, con alcune lievi varianti, un buon numero di piatti, tanto da permettere gli studiosi di parlare di “Servizio G.A.” (1). Il piatto in oggetto, ben noto agli studi, appartiene a questo gruppo di stoviglie decorate a grottesche su fondo blu, che recano appunto al centro il medesimo emblema e, sul retro, alcune girali ricurve “ alla porcellana” che circondano una lettera “M” corsiva paraffata, spesso associata ad altri decori e attribuita alla produzione derutese.

I piatti di questa serie a noi noti sono i seguenti: un piatto ora al Museo di Cluny (2), messo in relazione da Fiocco Gherardi con il coperchio del Kunstgewerbemuseum di Berlino (3), un piatto al Museo del Louvre (4), uno al museo Gulbekian di Lisbona ed uno infine segnalato al museo di Lindenau in Turingia (5).

Il piatto apparteneva alla prestigiosa collezione Adda ed era stato attribuito da Rackham alla bottega Mancini. Lo studioso (6) nella sua scheda avvicinava stilisticamente questa opera a quelle derutesi che recano sul retro la M paraffata, ed in particolare ad un piatto del Victoria and Albert Museum (7) e ad uno del Fitzwilliam Museum di Cambridge (8), ricordando come i piatti recanti questo tipo di sigla sul retro fossero da attribuire alle manifatture derutesi (9). Tale aggiudicazione alla città umbra di Deruta è ormai generalmente accettata.

L’opera è stata ampiamente studiata e pubblicata, come si evince in bibliografia, in particolare da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi, che la inseriscono con buona probabilità nell’attività produttiva della bottega di Giacomo Mancini attraverso una serie di interessanti confronti stilistici. Il paragone con i piatti dello stesso servizio, sia pure con le minime differenziazioni su alcune scelte decorative (le fisionomie dei mostri affrontati della grottesca sulla tesa o la presenza nel solo piatto in analisi, in alto, di una mano che regge tre fiori), prende spunto soprattutto dal decoro del retro utilizzato non solo nella coppa del Louvre, databile dopo il 1533, e dalla lettera “M” paraffata, spesso presente nelle ceramiche derutesi anche nel cosiddetto gruppo “Petal-back”, e quindi prima o contemporaneamente alla bottega del Frate (10). Le studiose ritengono comunque che si tratti di una marca le cui differenze andrebbero appianate in virtù della lunga durata dell’attività, documentata nell'arco di due secoli, che si avvalse nel tempo di artefici diversi.

Altri manufatti di confronto con decoro simile sono un coperchio del Kunstgewerbemuseum di Berlino (11) con a grottesche con cani mostruosi simili a quelli raffigurati sul già citato piatto di Cluny, ma anche il piatto con candelabra centrale e testa di putto che reca data “1544” e una “M” non paraffata del Victoria and Albert (12), già attribuito dal Rackham al Frate, assieme a un altro da pompa nello stesso museo (13), con profilo di guerriero barbuto entro tesa a scomparti suffragano la proposta attributiva.

Una più recente rilettura del piatto del servizio G.A. del Museo del Louvre, esposto in una mostra tematica sulla maiolica di Deruta al tempo del Perugino, a cura di Franco Cocchi e Giulio Busti, propone una paternità di queste opere a Nicola Francioli (14), ipotizzando un coinvolgimento del “Frate” nella bottega dello zio.

L'intero gruppo inoltre per uso del colore, forme e particolari decorativi, pare per i due studiosi coerentemente legato alla produzione generalmente attribuita al Maestro del Pavimento di S. Francesco a Deruta.

 

 

1 FIOCCO-GHERARDI 1984, pp. 403-416;

2 GIACOMOTTI 1974, n. 459 inv. 2093. Attribuito da Chompret a Deruta in contraddizione con quello del Louvre di cui alla nota successiva. Questo piatto mostra un decoro alla porcellana sul retro dipinto in modo più pesante rispetto all’esemplare in analisi.

3 HAUSMANN 1972, n. 151 inv. II.40; e CHOMPRET 1949, fig. 97, ancora attribuito a Castel Durante;

4 GIACOMOTTI 1974, n. 458 inv. OA6089;

5 Gli ultimi due piatti segnalati (Lisbona e Turingia) non sono stati da noi verificati;

6 RACKHAM 1959, fig. 170 e GUAITI 1980, p. 73;

7 RACKHAM 1940, n. 783, inv. 4378-1857;

8 POOLE 1995, pp.185 n. 260 inv C:105-197. Nella scheda del museo si osserva che la m è la sigla più comune negli oggetti con monogrammi e la lettera in questo piatto è appena differente rispetto a quelle note su piatti derutesi. L’opera è pertanto attribuita più generalmente all’Umbria;

9 RACKHAM 1915, p. 32;

10 FIOCCO–GHERARDI 1984, p. 411;

11 HAUSMANN 1972, pp. 201-202 n. 151;

12 RACKHAM 1940, n. 783, inv. 4378-1857;

13 RACKHAM 1940, n. 782, inv. 2594-1856;

14 BUSTI–COCCHI 2004, pp. 138-139.