Importanti Maioliche Rinascimentali

9 NOVEMBRE 2016
Asta, 0186
32

COPPA

Stima
€ 35.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione

COPPA

URBINO, CERCHIA DI NICOLA DI GABRIELE SBRAGHE (PITTORE DEL BACILE DI APOLLO?), 1525-1530 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con verde in due toni, blu di cobalto, giallo, giallo-arancio, bruno di manganese.

Alt. cm 6,2; diam. cm 26,8; diam. piede cm 12,3.

Sul retro sotto il piede un cartellino dattiloscritto recita: piatto d’Urbino/ scena mitologica/ il giudizio di Paride; tracce di un sigillo in ceralacca non più leggibile.

 

La coppa mostra un cavetto dalla foggia ampia e liscia orlata da un bordo appena rialzato e poggia su un piede ad anello basso e svasato.

Il fronte è interessato da una scena istoriata con un gruppo di cinque donne raffigurate mentre osservano un giovane uomo posto di spalle che, con una verga colpisce un monte dalle cui fenditure si affacciano alcuni volti fanciulleschi. Si tratta dell’episodio virgiliano nel quale Giunone chiede a Eolo di scatenare una tempesta per impedire a Enea di giungere in Italia (1). Il retro non è decorato e mostra uno smalto spesso di un colore grigio rosato, compatto con qualche bollitura che si ritrova anche sul fronte.

La scena principale è dipinta con grande perizia tecnica, testimoniata dal dominio del tratto e del colore. Il pittore colloca i personaggi in un paesaggio brullo dove un albero, dal tronco con andamento sinuoso, chiude il lato destro, lasciando buona parte del cavetto occupato da una roccia le cui scabrosità sono segnate in manganese scuro con lumeggiature in giallo: l’effetto di chiaroscuro è ottenuto giocando su parti dello smalto sottostante lasciate visibili e oscurate da tratti diluiti di verde intenso. Le figure sono ben tratteggiate, anche se un poco rigide, e probabilmente riprendono le forme tratte dalle stampe di riferimento (2), ed i volti e gli arti sono illuminati da sottili tratti di stagno.

Il soggetto del piatto trova corrispondenza in alcune opere con lo stesso soggetto: un piatto di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (3), una coppa al Museo Braunschweig (4), un altro piatto conservato a Cluny, parte del servizio Lanciarini un tempo attribuito a Xanto Avelli, che mostra la scena invertita e arricchita di alcuni personaggi maschili per descrivere la scena di Ulisse ed Eolo (5).

Lo stile adottato dal pittore è quello di Nicola di Gabriele Sbraghe, detto Nicola da Urbino: lo confermano i volti allungati, i profili sottolineati in bruno di manganese, i piccoli occhi resi in nero con un piccolo tocco di bianco. Tuttavia il confronto con esemplari certi del pittore non ha trovato riprova soddisfacente: ad esempio il confronto tra la figura di Giunone della nostra coppa con la figura femminile, la vedova con il bimbo morto, a destra nella coppa con la Giustizia di Traiano del British Museum (6), rivela una marcata differenza nel volto, dipinto da Nicola con uno stile più delicato, languido, che contrasta invece con la forza del tratto dell’autore della nostra coppa.

Il riscontro più prossimo a questa importante opera è costituito da una coppa, passata sul mercato in questa stessa sede (7), con Giuseppe che spiega i sogni al Faraone: il volto di Giuseppe è quasi sovrapponibile a quello di Didone e la testa del personaggio alle spalle di Giuseppe è affine a quella di Eolo in questa opera.

Alla luce dei nuovi studi riguardo all’esistenza di altre importanti personalità pittoriche nel Ducato di Urbino nel periodo compreso tra il 1525 e il 1530, ci pare, pur mantenendo la dovuta prudenza, che la tradizionale attribuzione a Nicola di Urbino sia da rigettare in favore dell’opera di una personalità comunque molto vicina al pittore urbinate (8).

Un confronto con la figura de La Forza su un piatto della Collezione Gillè al Museo di Lione (9) ci condurrebbe verso una suggestiva attribuzione al Pittore di Marsia, che però non ci pare percorribile per ragioni stilistiche. L’influenza di Nicola di Gabriele Sbraghe però è indubbia, come lo è in alcune delle opere dell’Avelli realizzate in quello periodo storico (10), e ciò è particolarmente evidente nel confronto con altri pittori che gravitano nella sfera del maestro urbinate, come ad esempio il pittore del Bacile di Apollo (11). E proprio con le opere di questo secondo pittore, la cui attività risulta al momento circoscritta al periodo tra il 1528-1533 circa, ci sembra che la nostra coppa trovi maggior affinità. Il confronto con le sue opere, in particolare con quelle di grandi dimensioni apparse recentemente sul mercato, ma anche con quelle del Museo internazionale della Ceramica di Faenza ristudiate in occasione del restauro da Carmen Ravanelli Guidotti (12), ci incoraggia nell’attribuire, sebbene ancora in forma ipotetica, questa coppa al “pittore del bacile di Apollo”.

La nostra coppa presenta infatti molte delle caratteristiche attribuibili a tale pittore, come ad esempio la “padronanza del disegno sempre di notevole vigoria” con contorni netti e scuri, e le masse complesse di personaggi, spesso racchiuse in ritmi serrati e avvolte in panneggi ampi […], risultate dall’accostamento di colori come il giallo ocra e il blu cangiante, il bruno nerastro” (13). I raffronti con alcuni dettagli mostrati da Carmen Ravanelli Guidotti nel suo studio ci sembrano prossimi: per esempio la maniera di delineare il piede di profilo di Giunone nella nostra coppa e i particolari del piatto con La nascita di Giovanni Battista, visibili anche nell’importante opera del Victoria and Albert Museum con Apollo sul carro associato alla ruota dello zodiaco (14), nel piatto con L’incoronazione della vergine del Museo di storia medievale di Bologna, lustrato nella bottega di mastro Giorgio, e in quello con il medesimo soggetto del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e nella coppa con il Martirio di San Lorenzo, dello stesso museo. A queste opere John Mallet aveva associato una coppa con Il ratto di Elena, anch'essa al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (15).

Un'importante coppa con scena de Il rapimento di Ippodamia, da Enea Vico, con la lettera B tracciata in giallo sul retro in caratteri capitali e la data in cartiglio 1[5]33 (16), ci mostra un episodio tratto dai classici greci, in questo caso Omero, attribuita al pittore del Bacile di Apollo: e qui ritroviamo sulla sinistra alcuni personaggi di profilo e sul fondo a destra un personaggio sotto un albero dal tronco ricurvo, la cui fisionomia ricorda la nostra Giunone e il Giuseppe della già citata coppa (17).

Alla luce di queste riflessioni, e in attesa che le ulteriori ricerche (18) possano fare chiarezza su questo pittore ancora anonimo (19), proponiamo l’attribuzione di questa opera alla cerchia di Nicola di Urbino negli anni tra il 1530 e il 1533 circa, probabilmente per mano del pittore del Bacile di Apollo.

 

1 Virgilio, Eneide, I, 54 e segg.;

2 Le figure femminili sono tratte dalla incisione Marcantonio Raimondi Salomone e la regina di Saba da Raffaello Sanzio (BARTSCH, XIV, pp. 13-14, n. 13);

3 GRESTA 1987, p. 130; FONTEBUONI, scheda catalografica 80, in Raccolta D. Mazza Museo internazionale delle ceramiche rinascimentali, Vol. 3, 1985-1986

4 LESSMANN 1986, p. 361 n. 512;

5 GIACOMOTTI 1964, p. 276 n. 879. Per l'episodio Omero, Odissea, X;

6 THORTON-WILSON 2009, pp. 234-236 n. 144;

7 PANDOLFINI 2014, p. 152 n. 35;

8 Riguardo alla produttività di Nicola rispetto a Xanto Avelli, dovuta al fatto che l’urbinate fosse di fatto impegnato nella gestione di una operosa bottega, si veda quanto detto da Mallet riguardo a un’eventuale collaborazione tra i due nella realizzazione del servizio Lonardi nel 1532 (MALLET 2007, p. 36 e nota 181);

9 FIOCCO-GHERARDI-FAIT 2015, p. 204 n. 65;

10 Ci fa riflettere poi il saggio di Timothy Wilson pubblicato negli atti del Convegno su Xanto Avelli (WILSON 2007, pp. 251-268);

11 Il pittore, che trae il nome da un bacile conservato al Museo di arti applicate di Milano e ascritto ad un arco cronologico posteriore al 1532 da un bacile che reca tale data conservato nel museo di Pesaro (MANCINI-DELLA CHIARA 1976, n. 61) è stato identificato e studiato da John Mallet (MALLET in BOJANI 2002, pp. 89-90). Si rimanda a quanto detto in merito in THORNTON-WILSON 2009, pp. 528-529 n. 328 e in RAVANELLI GUIDOTTI 2011;

12 RAVANELLI GUIDOTTI 2011, pp. 19-31, cui rimandiamo per l’attenta analisi stilistica fondamentale e per le immagini di tutte le opere citate;

13 RAVANELLI GUIDOTTI 2011, pp. 19-31;

14 THORNTON-WILSON 2009, pp. 292 n. 172 (tratto da una incisione posteriore al 1542);

15 MALLET 2002, pp. 86-88 fig. 5;

16 Recentemente transitata sul mercato (Sotheby’s, 19 gennaio 2016, lotto 166);

17 PANDOLFINI 2014, p. 152 n. 35;

18 Non ultime quelle relative alle coppe rifinite poi con lustro, al rapporto delle stesse con il soggetto raffigurato e le iscrizioni sul retro, cui gli studiosi hanno già dato corso;

19 John Mallet propone un ipotetico riconoscimento di questo pittore in Guido di Merlino in persona, se non addirittura di Merlino stesso che sappiamo vasaro (MALLET 2002, p. 104).