Una selezione di opere dell' 800 italiano

19 APRILE 2016

Una selezione di opere dell' 800 italiano

Asta, 0171
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 18.00
Esposizione
FIRENZE
15-18 Aprile 2016
orario 10 – 13 / 14 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1300 € - 100000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 41
66

Alberto Pasini

(Busseto (Parma) 1826 - Cavoretto (TO) 1899)

L'ASSEDIO

olio su tela, cm 78x148

firmato e datato "1861" in basso a destra

 

Bibliografia

Inedito

 

"Alla fine del 1851, la situazione politica, la mancanza di prospettive di lavoro e, d'altro canto, la fiducia riposta in lui dal grande Paolo Toschi, lo decisero a lasciare Parma per Parigi. Qui la fortuna, ma anche le sue notevoli capacità grafiche ed espressive gli fornirono l'opportunità di lavorare presso il maggior studio francese di litografia, quello di Charles ed Eugène Ciceri. Pasini si trovò, dunque, inserito in uno degli ambienti più ricchi di stimoli e possibilità cognitive della capitale culturale del XIX secolo.

I momenti di libertà, gli permettevano di scoprire le coste atlantiche a Etrétat, Dieppe e di riprendere scorci della foresta di Fontainebleau. Erano esperienze espresse con dipinti ad olio e la loro esecuzione s'ispirava alla cosiddetta Scuola di Barbizon. Questa, ponendosi tra i suoi obiettivi anche quello di innovare la pittura di paesaggio attraverso una più efficace adesione alla realtà, corrispondeva ad una esigenza particolarmente sentita dal nostro. Eppure, in seguito, il periodo di Fontainebleau fu tralasciato dal Pasini in quanto non così aderente al vero rispetto al modo, senz'altro più radicale, con cui egli venne, in seguito a percepire il problema relativo alla rappresentazione vedutistica.

La litografia La sera, del 1853, lo fece ammettere per la prima volta al Salon parigino di quell'anno. Dopo questa affermazione estremamente importante, Pasini lasciò i Ciceri, ed entrò nel 1854 nello studio del prestigioso Chassériau. Il validissimo e amabile maestro segnò il suo destino, per i suoi insegnamenti e per la possibilità che gli offrì di sostituirlo, come pittore addetto, nella Missione del Ministro Plenipotenziario P. Bourée, allora in partenza per la Persia. La Missione lasciò l'Europa a fine febbraio 1855 e, dopo due percorsi marittimi, (di cui uno fu il periplo della penisola arabica) ed una cavalcata di migliaia di chilometri, giunse il 2 luglio nella capitale persiana.

Pasini soggiornò dieci mesi a Teheran che riprese, con i dintorni, in moltissimi appunti. Il viaggio di ritorno nel 1856, avvenne in compagnia del linguista Barbier de Meynard. Questa volta egli attraversò il Nord della Persia e l'Armenia arrivando, infine, al Porto di Trebisonda per l'imbarco verso l'Europa. Durante tale straordinaria avventura per terra e per mare, davanti a lui si erano susseguiti scenari d'imponenza eccezionale, tappe di grande bellezza e suggestione che egli aveva puntualmente registrato con l'occhio attento e riportato con mani rapidissime, disegno dopo disegno su piccoli album portatili.

Tornato a Parigi, compose, con dodici tra le immagini più significative, l'ultima sua opera litografica: Viaggiando nell'Egitto in Persia e nell'Armenia (1857-1859 Parma e Parigi), quasi un'illustrazione del libro "Trois ans en Asie" che il Conte J. A. De Gobineau, altro componente della missione, aveva redatto dell'evento.

In seguito, Pasini mise a frutto quell'immenso patrimonio di memorie dando spazio e vita nei suoi dipinti ai piccoli caffè persiani sotto gli alberi, alle cavalcate sfrenate e alle fantasie delle scorte, alle cacce al falco, alle lunghe carovane. Nel lavoro sempre più si riaffacciò quello che egli prediligeva: la pietrosa Persia del sud, la Persia orrida la cui immensità e abbandono portava il suo animo "...ad una malinconia non disgiunta da una sensazione di calma e di pace...".

E proprio là, dove si era formata la sua contrattualità solitaria con lo spazio egli ritornerà negli ultimi lavori vivendone la nostalgia in un diverso tocco di mano. Alla fine del 1859 siamo al secondo viaggio nell'Oriente Mediterranico. Di questo itinerario daranno testimonianza gli studi eseguiti al Cairo, in cui Ugo Ojetti vedeva: "...non la convenzionale fornace ardente dai colori urlanti, incandescenti, ma tutta la mestizia di quella pallida afa canicolare..."; come pure resteranno gli studi del Deserto Arabico, del Sinai, delle coste libanesi e infine di Atene, meta finale.

Tutte opere che ispireranno quadri rifiniti, accurati così come imponeva la committenza del tempo, ma conserveranno efficacissima la trasposizione delle limpide profondità di campo, della vastità degli orizzonti, di quella luce ancora sconosciuta all'occhio europeo legato al cielo boreale. Pasini ne era rapito, come per esempio dalla vegetazione "…rara ma d'un verde d'uno splendore quale in Europa non possiamo avere idea [...] quel verde luce di bengala...".

Una volta terminato il viaggio, potè unirsi in matrimonio, nel 1860 con Mariannina Celi di Borgotaro. L'unione durerà sempre con intenso affetto e sarà allietata nel 1862 dalla nascita avvenuta a Parigi, dove ormai il Pasini risiedeva stabilmente, di Claire, la loro unica discendente. Mentre in Italia perdurava verso di lui una critica ufficiale piuttosto ostile, malgrado l'ospitalità datagli dalle Società Promotrici di Firenze e di Torino o dalla Società d'Incoraggiamento di Parma, Pasini nel 1865, era ormai esente da esami di accettazione al Salon e la sua attività era ben conosciuta attraverso le valutazioni dei critici, dai resocontisti e dalla Casa d'Arte Goupil. L'estate del 1865 portò una breve stagione a Cannes di cui rimarranno una quindicina di studi dominati dalla luminosità solare propria alle isole Lérins, che prediligeva come soggetti. Nell'ottobre del 1867, Pasini lasciò temporaneamente lo studio che condivideva con il Pittara, e si mise nuovamente in viaggio. La meta questa volta fu Stambul, allora Costantinopoli, perché Bourée, nominatovi ambasciatore di Francia, lo chiamava presso di sé. Bourée che era divenuto nel frattempo per lui un padre, un amico, un mecenate".

 

V. Botteri Cardoso, La sua vita: affetti, luce, colore, in Alberto Pasini: da Parma a Costantinopoli via Parigi, a cura di G. Godi, C. Mignardi, Parma 1996, pp. 11-21, in particolare 12-14

Stima   € 100.000 / 150.000
56

Angelo Morbelli

(Alessandria 1853 - Milano 1919)

NAVI ANCORATE o AL PORTO DI SAVONA

olio su tela, cm 24x40

firmato in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

LXXXI Esposizione internazionale di belle Arti in Roma (?), Roma, 1912, catalogo p. 39, n. 288 (con il titolo Navi ancorate)

Esposizione LXXII (?), Società Promotrice di Belle Arti, Torino, 1913, catalogo p. 30, n. 278 (con il titolo Al porto di Savona, L. 350)

 

Bibliografia

M. de Benedetti, L'esposizione di Belle Arti in Roma, in "Nuova Antologia", vol. CLVIII, fasc. 968, 16 aprile 1912, p. 709

 

 

"Dei dipinti di Angelo Morbelli riconducibili al soggetto indicato se ne conoscono almeno due, entrambi noti alla letteratura artistica, uno quello esposto in questa asta, l'altro alla Pinacoteca Züst di Rancate nel 1913-14 in occasione della rassegna L'Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana - Un mondo in trasformazione, a cura di G. Anzani e di E. Chiodini (per il dipinto in questione si veda in catalogo a p. 224 n. 80 con illustrazione a p. 225). I due quadri, di dimensioni assai vicine l'una all'altra, risultano esposti nel 1912 e nel 1913 rispettivamente a Roma ed a Torino con il titolo Navi ancorate e Al porto di Savona, titoli che tuttavia, in assenza della riproduzione fotografica e per il silenzio della letteratura artistica - fatta eccezione per il de Benedetti che parla di immagini, Le navi ancorate, di "grande efficacia e rara luminosità" - rendono impossibile la distinzione - e, oltre tutto, non è neppure da escludere che ad essere esposto sia solo un quadro con due titoli differenti. Due dipinti, insomma, a tutti gli effetti strettamente vicini non solo nel soggetto, ma anche nell'iconografia e differenziati di fatto dalla diversità del punto di vista, ora alquanto ravvicinato e tale da prevedere una veduta più ristretta e di fatto circoscritta alla messa a fuoco della nave che occupa tutto - o quasi - il campo visivo, ora più lontana - ed è il caso del quadro in esposizione - e quindi affidata a una ripresa a campo lungo, con un'ampia resa del porto, la quale allarga il paesaggio in una veduta luminosa, al confine tra l'azzurro del cielo e del mare. Un modo di vedere e di "fare pittura" che coincide con il nuovo indirizzo pittorico di Morbelli, successivo alla stagione del Trivulzio, sostanzialmente chiusa alla fine del primo decennio del Novecento e finora prioritaria nel percorso dell'artista, ora invece avviato, in modo pressoché esclusivo, verso il motivo del paesaggio, sia marino che montano, già affrontato e sperimentato sporadicamente durante gli anni ottanta e ripreso in modo continuativo, all’esordio degli anni dieci, con le vedute della laguna di Mazzorbo e di Burano, del paesaggio alpino della Valtellina e della Valfurva e quindi dei "giardini" alla Colma di Rosignano Monferrato: e con questi il paesaggio del Mar Ligure, vivacizzato in immagini di Capo Noli e dintorni, immagini ora di paesaggio puro come nei sintetici tagli del '12 che di lì a breve si sarebbero allargati nella visione di un mare pittoricamente inteso quale trionfo della luce e dei suoi riflessi argentei nell'acqua, come nel più tardo Capo Noli del '15, ora in vedute che fanno da sfondo a un lavoro come Il telegramma, del 1917, ora - ed è il dato veramente nuovo di alcuni paesaggi liguri - in proposte pittoriche nelle quali non mancano riferimenti al mondo del lavoro. Come appunto in una raffigurazione di Capo Noli affiancata da fabbriche e ciminiere nei dintorni del porto di Vado e verosimilmente introduttive al quadro in asta che nella raffigurazione realistica del porto con navi agli ormeggi e con le loro ciminiere fumanti il pittore focalizza con grande oggettività in quanto espressione della realtà locale. Tema, quello del lavoro, che Morbelli, memore dei suoi quadri con le locomotive ferme alla stazione centrale di Milano dei secondi anni ottanta, ora, a più di vent'anni di distanza, davanti al porto di Savona, materializza nel motivo delle navi agli ormeggi, delle quali esalta il brillante cromatismo accentuato dallo sfondo di un pallido azzurro in cui si confondono acqua e cielo, quasi a suggerire un accordo fra il paesaggio naturale ed il mondo industriale: un accordo che era un segnale dei tempi nuovi e della mutata situazione culturale in cui viveva ed operava l'autore privilegiando il nuovo mondo uscito da poco dalla rivoluzione industriale. Un mondo che nei dipinti di soggetto ligure, di una regione cioè collegata a Milano fin dagli anni ottanta da motivi commerciali ed economici che un autore come Morbelli non poteva ignorare e che di fatto egli preferisce al paesaggio naturale, tanto amato, insieme alle lussuose abitazioni ed ai luoghi di villeggiatura, da quel ceto borghese che, uscito vincente nel '98 a Milano dagli scontri con le classi subalterne, il "borghese" Morbelli si è illuso di educare sul piano artistico e di evolvere in senso culturale e dal quale si è invece visto costretto a un’operazione di ripiegamento linguistico che a una pittura di ricerca sperimentale ha privilegiato un fare pittorico impegnato a salvaguardare il "mestiere", con il conseguente accantonamento di quella pittura divisionista, già espressione del mondo della modernità e della scienza e ritenuta da Morbelli la più funzionale ad esprimerla, una pittura nella quale l'artista ha ciecamente creduto e che ora offriva della realtà una registrazione fotografica al di qua del naturalismo, ma pur sempre di grande qualità e infatti fondata sul binomio colore-luce, determinante per Morbelli almeno dalla metà degli anni ottanta".

Giovanni Anzani

 

 

Stima   € 32.000 / 40.000
71

Angelo Morbelli

(Alessandria 1853 - Milano 1919)

TRAMONTO IN MONTAGNA

olio su tela, cm 23x38

firmato e datato "1907" in basso a sinistra

sul retro: etichetta della Galleria d'Arte Fogliato di Torino, autentica del figlio Rolando Morbelli

 

Provenienza

Collezione privata

Galleria Fogliato, Torino

Collezione privata, Varese

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Pittori dell'800, Torino, Galleria d'Arte Fogliato di Torino, 1975, n. 31

Pinacoteca "Il Divisionismo", Fondazione Cassa Risparmio di Tortona, 2013-2015

Bibliografia

Pittori dell'800, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Fogliato, 1975), Torino 1975, n. 31

L. Mallé, La pittura dell'Ottocento piemontese, Torino 1976, p. 293, fig. 591

F. Caroli, Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio Tortona, Milano 2015, ill.

 

"Datato 1907, il dipinto è stato eseguito a breve distanza di tempo da due altri paesaggi alpini esposti fra il 1906 e il 1907 alla mostra natalizia della Società Patriottica, nei quali il motivo pittorico è stato visualizzato in due differenti ore del giorno, uno nella nitida e fredda vibrazione atmosferica del primo mattino che armonizza la veduta in un calcolato succedersi di cime e di vallate contrassegnate da una resa oggettiva che ne esalta i contrasti chiaroscurali perfettamente percepibili, l'altro in un'ora pomeridiana che, a differenza della veduta precedente, accorda nella sua luce soffusa e sullo sfondo di un cielo lattiginoso un succedersi di cime montuose che si distendono e si allargano in morbidi passaggi tonali, propri delle calde ore del pomeriggio (si veda, a tale proposito, Giovanni Anzani e Elisabetta Chiodini, L'Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana. Un mondo in trasformazione, catalogo della mostra, Rancate, Pinacoteca Züst, 2013-14, pp. 202-203, scheda n. 73 di G. Anzani). E, poiché il problema pittorico di Morbelli e dei divisionisti in genere è, anzitutto, un problema di resa della luce, non escludo che anche questo Tramonto in montagna possa essere accostato ai due paesaggi di cui sopra in una sorta di trilogia sul tema della luce in montagna nelle più diverse ore del giorno - una supposizione che sembra trovare conferma anche nelle dimensioni dei tre quadri pressoché uguali. Ed in tal caso Tramonto in montagna potrebbe anche essere identificabile con quel Pomeriggio al tramonto che è stato peraltro esposto nel 1910 alla biennale di Venezia (catalogo p. 108 n. 18), un quadro sul quale la letteratura artistica si è espressa in modo ambiguo e controverso: un quadro, insomma, la cui caratteristica principale è da cercare proprio nel valore della luce, appunto quella del tramonto, che è presente anche in altri dipinti dell’artista, tuttavia ben noti, i quali non hanno nulla a che vedere con il quadro in asta. E pertanto Pomeriggio al tramonto potrebbe essere il terzo intervento del pittore sulla luce diurna, più in particolare sulle possibilità del controluce, condotte con grande sensibilità pittorica ai valori estremi dal contrasto fra l'ombra dei pendii in primo piano e la luminosità del cielo sereno, di grande suggestione cromatica nella soluzione delle nubi violacee sull'orizzonte giallo dorato. Un paesaggio che per l'intensità cromatico-luminosa si pone pertanto "oltre" la veduta e che sembra piuttosto alludere a un coinvolgimento, tutto intellettuale, dell'uomo con la natura di cui è espressione il sapiente e calcolato divisionismo che costituisce, insieme alle variazioni luminose, il supporto di questo paesaggio montano, eseguito nel momento in cui Morbelli può valersi di una raggiunta maturità nella divisione del tono, condotta mediante un fitto e calcolato intrecciarsi di sottili tratti e filamenti di colore. Una tecnica divisionista la cui rigorosa applicazione consente all’autore di rendere ed accentuare le trasparenze e le tonalità dell'atmosfera negli alti gruppi montuosi delle Alpi, dove il contatto con il vero, saldo e costante in tutto il percorso di Morbelli, spinge il pittore a uno specifico  e crescente interesse per lo studio della qualità della luce e dell'atmosfera, ossia quel binomio luce-colore che costituisce il vero oggetto della sua pittura".

Giovanni Anzani

Stima   € 35.000 / 45.000
Aggiudicazione  Registrazione
53

Antonio Paoletti

(Venezia 1834 - Venezia 1912)

VENDITORI DI CASTAGNE

olio su tela, cm 56x81

firmato e locato "Venezia" in basso a destra

sul retro: etichetta delle Cooling Galleries di Londra

 

Antonio Ermolao Paoletti si formò all'Accademia di Belle Arti di Venezia, dove seguì i corsi di P. M. Molmenti, ed esordì alle mostre veneziane con soggetti storici di gusto romantico (1860, Entrata di Enrico III re di Francia; 1862, Una visita di Enrico III a Veronica Franco; 1863, Il rifiuto della moglie di Francesco Foscari a consegnare alla Veneta Signoria il cadavere del marito). Lavorò come decoratore in palazzi (Veduta di Verona, Venezia, Palazzo Ducale) e chiese del Veneto: fra l'altro, a Venezia, realizzò nella chiesa di Santa Maria Formosa una pala d'altare (La Purificazione della Vergine) e degli affreschi nella cappella di San Giuseppe nella basilica del Santo a Padova (1896-1897). Nel 1878 dipinse il sipario del veneziano teatro La Fenice con L'arrivo a Venezia di Olderico Giustiniani recante l'annuncio della vittoria di Lepanto. Si dedicò anche alla ritrattistica (Ritratto di Tina di Lorenzo, 1894, Bassano, Museo Civico) e alla pittura di genere, con soggetti aneddotici, scene popolari e scorci veneziani, che divennero la sua specialità (La pesca, La romanza, esposti a Trieste nel 1870; Infilatrice di perle, Trieste, Museo Revoltella). Fu presente alle mostre di Milano (1872, Ecco come va il vino delle messe), Firenze (1877, L'attesa; 1884, Popolana veneziana; 1886, Venditore di pesce), Venezia (1881, Rialto), Torino (1884, Fa caro al nonno); all'estero inviò opere alle Esposizioni di Vienna (1873, Un venditore di anguille) e di Anversa (1885, Sulla riva).

 

Pittori e Pittura dell'Ottocento Italiano, Dizionario degli Artisti, a cura di G. Matteucci e C. Bonagura, II, Novara 1999

Stima   € 7.500 / 9.500
Aggiudicazione  Registrazione
80

Daniele Ranzoni

(Intra (Novara) 1843 - Iinta (Novara) 1889)

RITRATTO DELLA PRINCIPESSA TROUBETZKOY A INTRA

olio su carta riportata su cartoncino, cm 19,5x14

sul retro: iscritto "Opera di D. Ranzoni / Ritratto della principessa / Troubetzkoy / Fatto ad Intra nel 1873 / G. Cost...."

 

Provenienza

Collezione privata

 

Sicuramente decisivi sia dal punto di vista professionale sia da quello personale sono gli anni trascorsi a contatto con la famiglia Troubetzkoy. Il principe russo Pietro Troubetzkoy viene inviato in Italia negli anni Sessanta per sovraintendere alla costruzione di una chiesa ortodossa a Firenze; qui conosce Ada Winans, cantante lirica di origine newyorkese, che sposa in seconde nozze e dalla quale ha tre figli, Pierre, Paolo e Luigi.

Dal 1868 i Troubetzkoy vivono a Ghiffa dove il principe fa costruire una villa sulle pendici che si affacciano sul Lago Maggiore e che chiama Villa Ada in onore della moglie. In questo contesto Ranzoni viene accolto in qualità di maestro dei figli e qui ha la possibilità di frequentare l'aristocrazia che si riunisce in quegli anni sul lago e di ricevere e ospitare amici scapigliati. Questo periodo d'oro finisce quando viene invitato in Inghilterra dalla famiglia Medlycott, lì si dedica alla ritrattistica della gentry, ma l'ambiente è freddo e si trova isolato, non c'è nessuna intimità con i suoi committenti. Il clima e l'accoglienza di Villa Ada non ci sono più, e non ci sono più nemmeno gli affetti famigliari e quel rapporto privilegiato con la principessa Troubetzkoy.

La corrispondenza tra i due, che avrebbe potuto testimoniare l'ambiguo rapporto tra committente e artista, è oggi purtroppo scomparsa, ma lo speciale legame che li ha uniti può essere letto nella passione che emerge nei ritratti della donna, non solo quelli di famiglia come Principessa Troubetzkoy con il figlio Gigi, ma soprattutto in alcune figure femminili come La fioraia e la Maddalena.

Stima   € 1.500 / 2.000
Aggiudicazione  Registrazione
65

Eugenio Zampighi

(Modena 1859 - Maranello (MO) 1944)

IL TRIO MUSICALE

olio su tela, cm 55x40

firmato in basso a sinistra

 

Iscrittosi giovanissimo all'Accademia di Belle Arti di Modena, fin dai suoi primi saggi di soggetto storico accoglie la suggestione della lezione verista del pittore modenese Giovanni Muzzioli.

Ottenuto il premio di pittura Poletti, nel 1880, Zampighi ha l'opportunità di proseguire i suoi studi prima a Roma e, in seguito, a Firenze dove si trasferisce definitivamente nel 1884. Nel corso degli anni ottanta inaugura un repertorio di scene di genere che gli garantisce una straordinaria fortuna di mercato e il favore della committenza internazionale. Funzionale alla pratica pittorica è l'intensa attività di fotografo svolta principalmente in studio con l'ausilio di modelli in costume da contadini e popolani. A partire dalle immagini fotografiche, l'artista ricrea un'immagine gioiosa e idilliaca del mondo rurale italiano, priva di qualunque accento di denuncia sociale, ma apprezzata dai turisti stranieri al tal punto da sollecitare la produzione seriale degli stessi fortunati stereotipi ancora nei primi decenni del Novecento.

Per un approfondimento della tecnica e della tematica usata da Zampighi, spunto di riflessione è costituito dal catalogo della mostra che nel 2007 si è tenuta a Modena presso il Fotomuseo Giuseppe Panini dal titolo Eugenio Zampighi fotografo e pittore, a cura di Chiara Dall'Olio e Francesca Piccinini. Oggetto della mostra furono le oltre 150 fotografie, una selezione tratta dalle oltre 530 immagini del fotografo-pittore (392 foto dal vero adoperate come bozzetti e 138 riproduzioni di quadri) che il Fotomuseo ha acquistato nel 1997, e dai due nuclei di fotografie e di negativi in lastra di vetro in possesso del Museo Civico d'Arte. Si tratta non solo d'immagini delle scene composte dal pittore come spunti per il proprio lavoro, ma anche le riproduzioni dei quadri, fotografati sempre dall'artista, che venivano utilizzate come catalogo commerciale. Da un'analisi del fondo Zampighi conservato al Fotomuseo emerge che nei suoi quadri, nelle allegre scene di vita familiare contadina, si ritrovano gli stessi personaggi stereotipati delle fotografie, nelle medesime pose, nelle identiche azioni, illuminati dalla stessa luce, in molte occasioni, inoltre, le stesse figure vengono ripetute in quadri diversi. L'artista lavorava alla composizione dei quadri quasi fossero differenti collage realizzati a partire dalla stesso gruppo di fotografie, senza sforzi creativi sui soggetti, ma solo sull'ambientazione.

Stima   € 8.500 / 10.000
68

Francesco Netti

(Santeramo In Colle (Bari) 1832 - Napoli 1894)

NUDO DI DONNA SU UNA OTTOMANA

olio su tela, cm 70x110,5

 

Bibliografia

Inedito

 

L'opera è accompagnata da uno studio della Prof. Christine Farese Sperken, in data 4 febbraio 2011, di cui riportiamo il seguente estratto:

 

"Il dipinto va messo in relazione con il viaggio di Netti, nell'estate del 1884, in Turchia, dove rimase per circa due mesi. Il soggiorno nell'Oriente mediterraneo fu di enorme importanza per la produzione dell'artista che venne finalmente a contatto diretto con quel mondo esotico, tanto decantato dai pittori dell'Ottocento, a partire da Eugène Delacroix. Le esperienze fatte nei luoghi visitati si concretizzano in una serie di luminosi paesaggi, realizzati ad acquerelli, e in disegni e schizzi ad olio, che avrebbero costituito la base per la produzione orientale di Netti, molto più copiosa e variegata di quanto si sia ritenuto inizialmente. Il nostro dipinto, di grandi dimensioni, il che fa pensare alle intenzioni dell'artista - poi abbandonate, giudicando lo stile bozzettistico e le zone incomplete - di creare un'opera importante, forse per un'esposizione ufficiale, sembra essere una variante dell'Odalisca (cfr. Christine Farese Sperken, Netti, Electa Napoli 1996, tav. LIV, p. 127), quella figura di donna nuda, sdraiata supina su una ottomana e avvolta da un'atmosfera palesemente erotica, in un interno ricco di tappeti, di stoffe preziose e di oggetti orientali. La giovane del quadro in questione, invece, dai lunghi capelli corvini, ondulati e ornati da una retina dorata, si offre allo sguardo dello spettatore in tutta la sua nudità morbida e sensuale; solo alcuni veli trasparenti le sfiorano il braccio destro e la parte inferiore delle gambe. Paragonabile alla nostra Odalisca appare il Nudo di donna (si veda Ch. Farese Sperken, cit., n. IL, p. 122), probabilmente un primo studio per la bellissima Siesta (1884) della Pinacoteca Provinciale di Bari, una delle opere principali dell'artista. Nel bozzetto suddetto incontriamo una ottomana molto simile e la stessa pittura generosa, a larghe pennellate aperte, che caratterizzano lo sfondo indistinto. Nel dipinto in discussione lo sfondo è tenuto in un rosso-scuro molto intenso, con sfumature arancione e marrone, un efficace contrasto con il corpo bianco della donna che, a differenza degli altri elementi, è rifinito in tutti i particolari, compresi i braccialetti e la retina dorata".

 

Christine Farese Sperken

Stima   € 25.000 / 35.000
58

Gioacchino Toma

(Galatina (LE) 1836 - Napoli 1891)

LA LETTERA

olio su tela, cm 61x94,5

firmato in basso a sinistra

 

Orfano a sei anni, trascorse l'infanzia nel convento dei Cappuccini di Galatina e l'adolescenza nell'Ospizio dei poveri di Giovinazzo dove, dal 1853 al 1855, fu avviato allo studio della pittura. Giunto a Napoli nel 1855, cominciò a collaborare con A. Fergola. Arrestato per errore in una retata dalla polizia borbonica, nel 1857 fu confinato a Piedimonte d'Alife: qui entrò in contatto con aristocratici locali che lo introdussero nelle file della Carboneria. Rientrato a Napoli nel 1858, frequentò l'Accademia di Belle Arti sotto la guida di G. Mancinelli e nel 1859 presentò con successo alla Mostra Borbonica l'Erminia (Napoli, Palazzo Reale) dove, sotto l'impostazione accademica si poteva scorgere una vena naturalistica di influsso palizziano. Partecipe dei fermenti rivoluzionari, visse le varie fasi della campagna garibaldina del 1860 e da quell'esperienza ricavò l'impulso a una pittura diversa, sperimentata subito in opere come Un prete rivoluzionario (esposto a Firenze nel 1861) o in piccoli quadri come I figli del popolo (1862, Bari, Pinacoteca Provinciale). La necessità di narrare, che sarà poi sentimento costante della sua opera futura, per tutti gli anni '60 si arricchì di accorgimenti formali e di un senso spoglio e malinconico della realtà (Il denaro di San Pietro, detto anche II prete reazionario, 1862, Napoli, Museo di Capodimonte; Un esame rigoroso del Sant'Uffizio, 1864, Napoli, Museo di Castel Nuovo). Superò un momento di crisi nel 1865 dedicandosi all'insegnamento, fra l'altro presso l'Ospizio femminile San Vincenzo Ferreri di Napoli. Dal 1870 nella sua pittura divenne più profonda la vena intimistica, sottolineata dalle tonalità fredde e dalla omogeneità della luce; all'Esposizione Nazionale di Napoli del 1877 espose alcune delle sue opere più note: La messa in casa (Napoli, Museo Civico di Castel Nuovo), La ruota dell'Annunziata, Il viatico dell'orfana e la seconda versione della Luisa San felice in carcere (tutte a Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna). Dal 1878 insegnò presso l'Accademia napoletana e fu assiduo alle mostre della Promotrice S. Rosa fino al 1891 (1879, Onomastico della maestra; 1888, Il romanzo nel chiostro). Nell'ultimo decennio realizzò paesaggi di intensa luminosità (varie versioni di Sotto il Vesuvio, Milano, Galleria d'Arte Moderna; Napoli, Museo di Capodimonte) e soggetti di contenuto sociale con una pittura abbozzata con pennellate larghe e veloci (Tatuaggio dei camorristi, Napoli, Museo di Capodimonte).

 

Pittori e Pittura dell'Ottocento Italiano, Dizionario degli Artisti, a cura di G. Matteucci e C. Bonagura, II, Novara 1999

 

Stima   € 9.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
86

Giuseppe De Nittis

(Barletta 1846 - Saint-Germain-en-Laye 1884)

AU REVOIR!

olio su tela, cm 36x54,5

firmato e datato "79" a destra

 

Bibliografia

Inedito

 

L'opera è corredata di autentica della dottoressa Christine Farese Sperken, redatta in data 18 gennaio 2014, e di uno studio della Fondazione Giuseppe De Nittis di Barletta, da cui è tratto il seguente testo.

Si ringrazia inoltre Roberto Capitani per aver confermato l'autenticità dell'opera.

 

"Il dipinto, opera inedita, Au Revoir!, sicuramente ascrivibile a Giuseppe De Nittis, eseguito nel 1879 (come riportato sul quadro), mette in luce un eccellente tratteggio del vero, con una cadenza di luci e colori di sorprendente fattezza, il cui realismo incanta e sorprende. Assistiamo alla maturità artistica raggiunta dal De Nittis, che aveva già partecipato all'Esposizione Universale e conquistato sia il pubblico che la critica. Nel 1879, al suo rientro in Italia, la città di Barletta fece coniare una medaglia in suo onore, a testimonianza della fama raggiunta (cfr. Giuseppe De Nittis, Taccuino, 1870/1884). Il periodo napoletano, cui l'opera si inserisce, fu particolarmente caro al De Nittis. A Napoli, durante il suo soggiorno di pochi mesi prese in locazione una villa che sorgeva proprio sull'estremità di Posillipo con le finestre che davano a picco sugli scogli. Ed è esattamente in quell'ambiente popolare che si ambienta il nostro quadro: tre donne, che paiono fotografate piuttosto che dipinte, tre diverse generazioni nei cui volti traspare la semplicità del popolo e in cui si ammira la mano perfezionista del De Nittis: negli anelli della popolana in abito blu o in quel cerchio intorno agli occhi color bistro, tipico delle donne meridionali, della figura centrale, dell'anziana con il fuso in mano. L'opera può essere messa in relazione temporale ed artistica con 'Tipi napoletani (le portatrici d'acqua)' (cfr. Dini, Marini in "De Nittis, La vita, i documenti, le opere", Torino 1990, n. 737), dello stesso periodo, in cui emergono due robuste e sane ragazze con il piretto di vetro trasparente in testa sorretto da una mano mentre l'altra poggia sull'anca il cui squarcio marittimo di fondo è più ampio e dettagliato lasciando profilare il Vesuvio e tutto il panorama di Napoli; in "Au Revoir", il panorama di fondo è tranciato, viene concesso spazio solo alle protagoniste in atteggiamenti dimessi, con le maniche delle vesti sollevate, non in posa, prive di grazia e maestà proprio a voler ravvicinare l'attenzione non alle modelle quasi statuarie, non al paesaggio napoletano, ma alla scena, alle insolite protagoniste sedute sul muretto che costeggia il mare e che ostentano con fierezza la loro semplicità, per la quale De Nittis ha sempre avuto enorme riguardo. Au Revoir! si aggiunge al ciclo napoletano dedicato alla gente, evidenziando l'abilità raggiunta dall'artista nel saper tratteggiare con eccellenza imparagonabile ogni soggetto".

Ruggiero Borgomastro

Presidente Fondazione De Nittis

 

 

 

"Il quadro, inedito - si noti la prima tela, quella sottile e delicata, tipica per De Nittis - è da vedere in stretto rapporto con l'opera Tipi napoletani (Le portatrici d'acqua), 1879 (cfr. Piero Dini, Giuseppe Luigi Marini, De Nittis. La vita, i documenti, le opere dipinte, Torino 1990, n. 737) presentata, inseime con altre quattro dell'artista, all'Esposizione Nazionale di Torino del 1880. In quel periodo De Nittis, da anni assente dalle manifestazioni espositive italiane, tentò un riavvicinamento al suo paese nativo provabile in vari ambiti, non per ultimo in alcune scelte tematiche che segnano un chiaro ritorno alla pittura napoletana, come nel quadro succitato e nel dipinto in discussione. In entrambe le tele l'artista concentra la sua attenzione sulle figure di donne popolari in primo piano, caratterizzate in tutti i particolari. E' stimolante notare come De Nittis, il pittore per eccellenza della elegante e sofisticata donna parigina, sappia cambiare registro e immedesimarsi nuovamente nelle usanze e nei costumi del folklore meridionale.

La composizione Au revoir! - il titolo trae origine dal gesto della donna anziana che sembra salutare con un fuso in mano, mentre la più giovane e la ragazza stanno cantando - è del tutto particolare, concepita come un palcoscenico sul quale agiscono le tre donne; alle loro spalle lo specchio del mare e sullo sfondo una teoria di barche di pescatori e case, fortemente tagliate dal margine superiore. Molto peculiare appare anche la totale mancanza di orizzonte al quale l'artista ha voluto rinunciare per ravvicinare allo spettatore il più possibile il gruppo delle donne sedute una accanto all'altra. De Nittis rivela qui di aver ben presente le caratteristice e gli stilemi del nuovo mezzo della fotografia.

Nello stesso anno 1879 l'artista firma La venditrice di fiammiferi a Londra (Dini, Marini, n. 731), nata dal medesimo interesse per una pittura social-popolare; questa volta la scena è ambientata sotto i ponti del Tamigi.

Molto probabilmente allo stesso momento creativo, da collegare con il soggiorno napoletano e barlettano dell'artista tra il 1878 e i primi mesi del 1879, risalgono anche la grande scena conviviale Il pranzo a Posillipo (Milano, Galleria d'Arte Moderna, collez. Grassi) e il superbo paesaggio Capo Posillipo (Dini, Marini, n. 155), pittura pura, realizzata con sorprendente senso di astrazione.

Proprio in quel periodo De Nittis aveva raggiunto l'apice della sua fama e fu insignito con prestigiosi riconoscimenti ufficiali, come la Legion d'onore. Tutti i dipinti succitati, a cui si aggiunge ora l'inedito Au revoir!, provano autorevolmente la sua versatilità, la sua maestria nel trattare le varie tematiche e tecniche".

Christine Farese Sperken

Stima   € 55.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
88

Giuseppe Pellizza da Volpedo

(Volpedo (Al) 1868 - 1907)

LA POVERINA o IL RITRATTO DELLA POVERINA

olio su tela, cm 83x51

firmato e datato "1888" in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Accademia di Belle Arti di Brera, Esposizione annuale, Milano, 1888, n. 325

Società Promotrice di Belle Arti, Esposizione annuale, Firenze, 1888-1889, sala IV n. 212

Mostra degli artisti alessandrini dell'Ottocento, Pinacoteca Civica, Alessandria, 1940, n. 117

Mostra di una raccolta privata di opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Galleria Bolzani, Milano, 1941, n. 16

La donna nella pittura italiana dell'800. Tra ritratto e paesaggio, Galleria d'Arte Ambrosiana e Galleria Bottegantica, Milano, 8 novembre - 23 dicembre 2012

 

Bibliografia

Accademia di Belle Arti di Brera, Esposizione annuale, catalogo della mostra, Milano 1888, n. 325

Catalogo delle opere ammesse alla Esposizione annuale della Società in Firenze, Firenze 1888

E. Zanzi, L'Ottocento artistico e monferrino, in "Alexandria", luglio 1939, fig. a p. 212

A. Mensi - R. Scaglia, Mostra degli artisti alessandrini dell'Ottocento ordinata nella Pinacoteca Civica, catalogo della mostra, Alessandria 1940, n. 117

Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra (Galleria Bolzani, Milano, 1941), 1941, tav.

T. Fiori, Archivi del Divisionismo, II, Roma 1968, V.290, p. 104

A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, pp. 10, 12, 22, 171 n. 403

M. Raspa in La donna nella pittura italiana dell'800. Tra ritratto e paesaggio, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Ambrosiana e Galleria Bottegantica, Milano, 8 novembre - 23 dicembre 2012), a cura di F.L. Maspes, Milano 2012, pp. 22-23

 

 

"Al Ritratto della poverina Pellizza lavorò in contemporaneità con Dice la verità?, come chiarì lo stesso pittore scrivendo all'amico Micheli il 30 maggio 1888 definendolo un quadro di genere: "Ho incominciato due quadretti di genere l'uno l'altro di soggetto serio". Ben impostato nel solido modellato e nonostante qualche più brillante colore nelle vesti, la tela si presenta di intonazione scura, tonalità che rimarca le opere di figura in questa metà del 1888".

 

A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, p. 171

 

Stima   € 70.000 / 90.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 41