Una selezione di opere dell' 800 italiano

19 APRILE 2016

Una selezione di opere dell' 800 italiano

Asta, 0171
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 18.00
Esposizione
FIRENZE
15-18 Aprile 2016
orario 10 – 13 / 14 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1300 € - 100000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 41
88

Giuseppe Pellizza da Volpedo

(Volpedo (Al) 1868 - 1907)

LA POVERINA o IL RITRATTO DELLA POVERINA

olio su tela, cm 83x51

firmato e datato "1888" in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Accademia di Belle Arti di Brera, Esposizione annuale, Milano, 1888, n. 325

Società Promotrice di Belle Arti, Esposizione annuale, Firenze, 1888-1889, sala IV n. 212

Mostra degli artisti alessandrini dell'Ottocento, Pinacoteca Civica, Alessandria, 1940, n. 117

Mostra di una raccolta privata di opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Galleria Bolzani, Milano, 1941, n. 16

La donna nella pittura italiana dell'800. Tra ritratto e paesaggio, Galleria d'Arte Ambrosiana e Galleria Bottegantica, Milano, 8 novembre - 23 dicembre 2012

 

Bibliografia

Accademia di Belle Arti di Brera, Esposizione annuale, catalogo della mostra, Milano 1888, n. 325

Catalogo delle opere ammesse alla Esposizione annuale della Società in Firenze, Firenze 1888

E. Zanzi, L'Ottocento artistico e monferrino, in "Alexandria", luglio 1939, fig. a p. 212

A. Mensi - R. Scaglia, Mostra degli artisti alessandrini dell'Ottocento ordinata nella Pinacoteca Civica, catalogo della mostra, Alessandria 1940, n. 117

Pellizza da Volpedo, catalogo della mostra (Galleria Bolzani, Milano, 1941), 1941, tav.

T. Fiori, Archivi del Divisionismo, II, Roma 1968, V.290, p. 104

A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, pp. 10, 12, 22, 171 n. 403

M. Raspa in La donna nella pittura italiana dell'800. Tra ritratto e paesaggio, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Ambrosiana e Galleria Bottegantica, Milano, 8 novembre - 23 dicembre 2012), a cura di F.L. Maspes, Milano 2012, pp. 22-23

 

 

"Al Ritratto della poverina Pellizza lavorò in contemporaneità con Dice la verità?, come chiarì lo stesso pittore scrivendo all'amico Micheli il 30 maggio 1888 definendolo un quadro di genere: "Ho incominciato due quadretti di genere l'uno l'altro di soggetto serio". Ben impostato nel solido modellato e nonostante qualche più brillante colore nelle vesti, la tela si presenta di intonazione scura, tonalità che rimarca le opere di figura in questa metà del 1888".

 

A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, p. 171

 

Stima   € 70.000 / 90.000
Aggiudicazione  Registrazione
86

Giuseppe De Nittis

(Barletta 1846 - Saint-Germain-en-Laye 1884)

AU REVOIR!

olio su tela, cm 36x54,5

firmato e datato "79" a destra

 

Bibliografia

Inedito

 

L'opera è corredata di autentica della dottoressa Christine Farese Sperken, redatta in data 18 gennaio 2014, e di uno studio della Fondazione Giuseppe De Nittis di Barletta, da cui è tratto il seguente testo.

Si ringrazia inoltre Roberto Capitani per aver confermato l'autenticità dell'opera.

 

"Il dipinto, opera inedita, Au Revoir!, sicuramente ascrivibile a Giuseppe De Nittis, eseguito nel 1879 (come riportato sul quadro), mette in luce un eccellente tratteggio del vero, con una cadenza di luci e colori di sorprendente fattezza, il cui realismo incanta e sorprende. Assistiamo alla maturità artistica raggiunta dal De Nittis, che aveva già partecipato all'Esposizione Universale e conquistato sia il pubblico che la critica. Nel 1879, al suo rientro in Italia, la città di Barletta fece coniare una medaglia in suo onore, a testimonianza della fama raggiunta (cfr. Giuseppe De Nittis, Taccuino, 1870/1884). Il periodo napoletano, cui l'opera si inserisce, fu particolarmente caro al De Nittis. A Napoli, durante il suo soggiorno di pochi mesi prese in locazione una villa che sorgeva proprio sull'estremità di Posillipo con le finestre che davano a picco sugli scogli. Ed è esattamente in quell'ambiente popolare che si ambienta il nostro quadro: tre donne, che paiono fotografate piuttosto che dipinte, tre diverse generazioni nei cui volti traspare la semplicità del popolo e in cui si ammira la mano perfezionista del De Nittis: negli anelli della popolana in abito blu o in quel cerchio intorno agli occhi color bistro, tipico delle donne meridionali, della figura centrale, dell'anziana con il fuso in mano. L'opera può essere messa in relazione temporale ed artistica con 'Tipi napoletani (le portatrici d'acqua)' (cfr. Dini, Marini in "De Nittis, La vita, i documenti, le opere", Torino 1990, n. 737), dello stesso periodo, in cui emergono due robuste e sane ragazze con il piretto di vetro trasparente in testa sorretto da una mano mentre l'altra poggia sull'anca il cui squarcio marittimo di fondo è più ampio e dettagliato lasciando profilare il Vesuvio e tutto il panorama di Napoli; in "Au Revoir", il panorama di fondo è tranciato, viene concesso spazio solo alle protagoniste in atteggiamenti dimessi, con le maniche delle vesti sollevate, non in posa, prive di grazia e maestà proprio a voler ravvicinare l'attenzione non alle modelle quasi statuarie, non al paesaggio napoletano, ma alla scena, alle insolite protagoniste sedute sul muretto che costeggia il mare e che ostentano con fierezza la loro semplicità, per la quale De Nittis ha sempre avuto enorme riguardo. Au Revoir! si aggiunge al ciclo napoletano dedicato alla gente, evidenziando l'abilità raggiunta dall'artista nel saper tratteggiare con eccellenza imparagonabile ogni soggetto".

Ruggiero Borgomastro

Presidente Fondazione De Nittis

 

 

 

"Il quadro, inedito - si noti la prima tela, quella sottile e delicata, tipica per De Nittis - è da vedere in stretto rapporto con l'opera Tipi napoletani (Le portatrici d'acqua), 1879 (cfr. Piero Dini, Giuseppe Luigi Marini, De Nittis. La vita, i documenti, le opere dipinte, Torino 1990, n. 737) presentata, inseime con altre quattro dell'artista, all'Esposizione Nazionale di Torino del 1880. In quel periodo De Nittis, da anni assente dalle manifestazioni espositive italiane, tentò un riavvicinamento al suo paese nativo provabile in vari ambiti, non per ultimo in alcune scelte tematiche che segnano un chiaro ritorno alla pittura napoletana, come nel quadro succitato e nel dipinto in discussione. In entrambe le tele l'artista concentra la sua attenzione sulle figure di donne popolari in primo piano, caratterizzate in tutti i particolari. E' stimolante notare come De Nittis, il pittore per eccellenza della elegante e sofisticata donna parigina, sappia cambiare registro e immedesimarsi nuovamente nelle usanze e nei costumi del folklore meridionale.

La composizione Au revoir! - il titolo trae origine dal gesto della donna anziana che sembra salutare con un fuso in mano, mentre la più giovane e la ragazza stanno cantando - è del tutto particolare, concepita come un palcoscenico sul quale agiscono le tre donne; alle loro spalle lo specchio del mare e sullo sfondo una teoria di barche di pescatori e case, fortemente tagliate dal margine superiore. Molto peculiare appare anche la totale mancanza di orizzonte al quale l'artista ha voluto rinunciare per ravvicinare allo spettatore il più possibile il gruppo delle donne sedute una accanto all'altra. De Nittis rivela qui di aver ben presente le caratteristice e gli stilemi del nuovo mezzo della fotografia.

Nello stesso anno 1879 l'artista firma La venditrice di fiammiferi a Londra (Dini, Marini, n. 731), nata dal medesimo interesse per una pittura social-popolare; questa volta la scena è ambientata sotto i ponti del Tamigi.

Molto probabilmente allo stesso momento creativo, da collegare con il soggiorno napoletano e barlettano dell'artista tra il 1878 e i primi mesi del 1879, risalgono anche la grande scena conviviale Il pranzo a Posillipo (Milano, Galleria d'Arte Moderna, collez. Grassi) e il superbo paesaggio Capo Posillipo (Dini, Marini, n. 155), pittura pura, realizzata con sorprendente senso di astrazione.

Proprio in quel periodo De Nittis aveva raggiunto l'apice della sua fama e fu insignito con prestigiosi riconoscimenti ufficiali, come la Legion d'onore. Tutti i dipinti succitati, a cui si aggiunge ora l'inedito Au revoir!, provano autorevolmente la sua versatilità, la sua maestria nel trattare le varie tematiche e tecniche".

Christine Farese Sperken

Stima   € 55.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
81

Paolo Troubetzkoy

(Intra 1866 - Suna 1938)

RITRATTO DI FRANCESCO CRISPI

bronzo patinato, alt. cm 42, su base in legno, cm 7

firmato

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Paolo Troubetzkoy. I ritratti, Civico Istituto di Cultura Popolare, Luino – Chiesa di Santa Maria Maddalena, Viro Gambarogno, 7 giugno – 2 agosto 1998, n. 4

 

Bibliografia

Paolo Troubetzkoy. I ritratti, catalogo della mostra (Civico Istituto di Cultura Popolare, Luino – Chiesa di Santa Maria Maddalena, Viro Gambarogno, 7 giugno – 2 agosto 1998) a cura di S. Rebora, Milano 1998, pp. 24, 62 n. 4

 

Dell'opera esiste anche una versione in gesso patinato conservato al Museo del Paesaggio di Verbania Pallanza: da una scheda ad esso dedicata è tratto il seguente testo:

 

"Nella primavera del 1892, Troubetzkoy si recò a Napoli, dove conobbe Gabriele D'Annunzio, che gli aveva dedicato una recensione molto favorevole sulle colonne de Il Mattino in occasione della vittoria dello scultore al concorso per il monumento a Garibaldi a Napoli. Troubetzkoy, oltre a realizzare durante questo soggiorno un ritratto assai espressivo del poeta e letterato, ebbe anche modo di eseguirne uno di Francesco Crispi (Ribera 1818-Napoli 1901). "Ritornato a Milano lo scultore, quel busto di Crispi, accompagnato da un altro del Caprivi, va ad alloggiare all'Hotel Cavour, per una buona idea del proprietario che così solennemente vuol ricordare la firma del trattato della Triplice Alleanza compiuto nel suo albergo l'8 novembre del 1890" (R. Giolli, 1913, p. 17). Non si sa se il busto conservato all’epoca presso l'Hotel Cavour di Roma fosse in gesso o in bronzo; l'opera in questione comunque, nel dicembre successivo, fu esposta dallo scultore alla mostra annuale della Famiglia Artistica di Milano proprio insieme al ritratto di D'Annunzio. Per taglio e soluzione formale, il busto di Francesco Crispi s'inserisce agevolmente in quella serie di ritratti che Troubetzkoy realizzò all'inizio degli anni novanta, specialmente quelli del conte Antonio Durini, Lorenzo Ellero e quello più tardo di Luigi Manzotti".

 

S. Rebora in Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra (Museo del Paesaggio, Verbania Pallanza, 29 aprile-29 luglio 1990) a cura di G. Piantoni e P. Venturoli, Torino 1990, p. 91

 

Stima   € 10.000 / 15.000
80

Daniele Ranzoni

(Intra (Novara) 1843 - Iinta (Novara) 1889)

RITRATTO DELLA PRINCIPESSA TROUBETZKOY A INTRA

olio su carta riportata su cartoncino, cm 19,5x14

sul retro: iscritto "Opera di D. Ranzoni / Ritratto della principessa / Troubetzkoy / Fatto ad Intra nel 1873 / G. Cost...."

 

Provenienza

Collezione privata

 

Sicuramente decisivi sia dal punto di vista professionale sia da quello personale sono gli anni trascorsi a contatto con la famiglia Troubetzkoy. Il principe russo Pietro Troubetzkoy viene inviato in Italia negli anni Sessanta per sovraintendere alla costruzione di una chiesa ortodossa a Firenze; qui conosce Ada Winans, cantante lirica di origine newyorkese, che sposa in seconde nozze e dalla quale ha tre figli, Pierre, Paolo e Luigi.

Dal 1868 i Troubetzkoy vivono a Ghiffa dove il principe fa costruire una villa sulle pendici che si affacciano sul Lago Maggiore e che chiama Villa Ada in onore della moglie. In questo contesto Ranzoni viene accolto in qualità di maestro dei figli e qui ha la possibilità di frequentare l'aristocrazia che si riunisce in quegli anni sul lago e di ricevere e ospitare amici scapigliati. Questo periodo d'oro finisce quando viene invitato in Inghilterra dalla famiglia Medlycott, lì si dedica alla ritrattistica della gentry, ma l'ambiente è freddo e si trova isolato, non c'è nessuna intimità con i suoi committenti. Il clima e l'accoglienza di Villa Ada non ci sono più, e non ci sono più nemmeno gli affetti famigliari e quel rapporto privilegiato con la principessa Troubetzkoy.

La corrispondenza tra i due, che avrebbe potuto testimoniare l'ambiguo rapporto tra committente e artista, è oggi purtroppo scomparsa, ma lo speciale legame che li ha uniti può essere letto nella passione che emerge nei ritratti della donna, non solo quelli di famiglia come Principessa Troubetzkoy con il figlio Gigi, ma soprattutto in alcune figure femminili come La fioraia e la Maddalena.

Stima   € 1.500 / 2.000
Aggiudicazione  Registrazione
71

Angelo Morbelli

(Alessandria 1853 - Milano 1919)

TRAMONTO IN MONTAGNA

olio su tela, cm 23x38

firmato e datato "1907" in basso a sinistra

sul retro: etichetta della Galleria d'Arte Fogliato di Torino, autentica del figlio Rolando Morbelli

 

Provenienza

Collezione privata

Galleria Fogliato, Torino

Collezione privata, Varese

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Pittori dell'800, Torino, Galleria d'Arte Fogliato di Torino, 1975, n. 31

Pinacoteca "Il Divisionismo", Fondazione Cassa Risparmio di Tortona, 2013-2015

Bibliografia

Pittori dell'800, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Fogliato, 1975), Torino 1975, n. 31

L. Mallé, La pittura dell'Ottocento piemontese, Torino 1976, p. 293, fig. 591

F. Caroli, Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio Tortona, Milano 2015, ill.

 

"Datato 1907, il dipinto è stato eseguito a breve distanza di tempo da due altri paesaggi alpini esposti fra il 1906 e il 1907 alla mostra natalizia della Società Patriottica, nei quali il motivo pittorico è stato visualizzato in due differenti ore del giorno, uno nella nitida e fredda vibrazione atmosferica del primo mattino che armonizza la veduta in un calcolato succedersi di cime e di vallate contrassegnate da una resa oggettiva che ne esalta i contrasti chiaroscurali perfettamente percepibili, l'altro in un'ora pomeridiana che, a differenza della veduta precedente, accorda nella sua luce soffusa e sullo sfondo di un cielo lattiginoso un succedersi di cime montuose che si distendono e si allargano in morbidi passaggi tonali, propri delle calde ore del pomeriggio (si veda, a tale proposito, Giovanni Anzani e Elisabetta Chiodini, L'Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana. Un mondo in trasformazione, catalogo della mostra, Rancate, Pinacoteca Züst, 2013-14, pp. 202-203, scheda n. 73 di G. Anzani). E, poiché il problema pittorico di Morbelli e dei divisionisti in genere è, anzitutto, un problema di resa della luce, non escludo che anche questo Tramonto in montagna possa essere accostato ai due paesaggi di cui sopra in una sorta di trilogia sul tema della luce in montagna nelle più diverse ore del giorno - una supposizione che sembra trovare conferma anche nelle dimensioni dei tre quadri pressoché uguali. Ed in tal caso Tramonto in montagna potrebbe anche essere identificabile con quel Pomeriggio al tramonto che è stato peraltro esposto nel 1910 alla biennale di Venezia (catalogo p. 108 n. 18), un quadro sul quale la letteratura artistica si è espressa in modo ambiguo e controverso: un quadro, insomma, la cui caratteristica principale è da cercare proprio nel valore della luce, appunto quella del tramonto, che è presente anche in altri dipinti dell’artista, tuttavia ben noti, i quali non hanno nulla a che vedere con il quadro in asta. E pertanto Pomeriggio al tramonto potrebbe essere il terzo intervento del pittore sulla luce diurna, più in particolare sulle possibilità del controluce, condotte con grande sensibilità pittorica ai valori estremi dal contrasto fra l'ombra dei pendii in primo piano e la luminosità del cielo sereno, di grande suggestione cromatica nella soluzione delle nubi violacee sull'orizzonte giallo dorato. Un paesaggio che per l'intensità cromatico-luminosa si pone pertanto "oltre" la veduta e che sembra piuttosto alludere a un coinvolgimento, tutto intellettuale, dell'uomo con la natura di cui è espressione il sapiente e calcolato divisionismo che costituisce, insieme alle variazioni luminose, il supporto di questo paesaggio montano, eseguito nel momento in cui Morbelli può valersi di una raggiunta maturità nella divisione del tono, condotta mediante un fitto e calcolato intrecciarsi di sottili tratti e filamenti di colore. Una tecnica divisionista la cui rigorosa applicazione consente all’autore di rendere ed accentuare le trasparenze e le tonalità dell'atmosfera negli alti gruppi montuosi delle Alpi, dove il contatto con il vero, saldo e costante in tutto il percorso di Morbelli, spinge il pittore a uno specifico  e crescente interesse per lo studio della qualità della luce e dell'atmosfera, ossia quel binomio luce-colore che costituisce il vero oggetto della sua pittura".

Giovanni Anzani

Stima   € 35.000 / 45.000
Aggiudicazione  Registrazione
68

Francesco Netti

(Santeramo In Colle (Bari) 1832 - Napoli 1894)

NUDO DI DONNA SU UNA OTTOMANA

olio su tela, cm 70x110,5

 

Bibliografia

Inedito

 

L'opera è accompagnata da uno studio della Prof. Christine Farese Sperken, in data 4 febbraio 2011, di cui riportiamo il seguente estratto:

 

"Il dipinto va messo in relazione con il viaggio di Netti, nell'estate del 1884, in Turchia, dove rimase per circa due mesi. Il soggiorno nell'Oriente mediterraneo fu di enorme importanza per la produzione dell'artista che venne finalmente a contatto diretto con quel mondo esotico, tanto decantato dai pittori dell'Ottocento, a partire da Eugène Delacroix. Le esperienze fatte nei luoghi visitati si concretizzano in una serie di luminosi paesaggi, realizzati ad acquerelli, e in disegni e schizzi ad olio, che avrebbero costituito la base per la produzione orientale di Netti, molto più copiosa e variegata di quanto si sia ritenuto inizialmente. Il nostro dipinto, di grandi dimensioni, il che fa pensare alle intenzioni dell'artista - poi abbandonate, giudicando lo stile bozzettistico e le zone incomplete - di creare un'opera importante, forse per un'esposizione ufficiale, sembra essere una variante dell'Odalisca (cfr. Christine Farese Sperken, Netti, Electa Napoli 1996, tav. LIV, p. 127), quella figura di donna nuda, sdraiata supina su una ottomana e avvolta da un'atmosfera palesemente erotica, in un interno ricco di tappeti, di stoffe preziose e di oggetti orientali. La giovane del quadro in questione, invece, dai lunghi capelli corvini, ondulati e ornati da una retina dorata, si offre allo sguardo dello spettatore in tutta la sua nudità morbida e sensuale; solo alcuni veli trasparenti le sfiorano il braccio destro e la parte inferiore delle gambe. Paragonabile alla nostra Odalisca appare il Nudo di donna (si veda Ch. Farese Sperken, cit., n. IL, p. 122), probabilmente un primo studio per la bellissima Siesta (1884) della Pinacoteca Provinciale di Bari, una delle opere principali dell'artista. Nel bozzetto suddetto incontriamo una ottomana molto simile e la stessa pittura generosa, a larghe pennellate aperte, che caratterizzano lo sfondo indistinto. Nel dipinto in discussione lo sfondo è tenuto in un rosso-scuro molto intenso, con sfumature arancione e marrone, un efficace contrasto con il corpo bianco della donna che, a differenza degli altri elementi, è rifinito in tutti i particolari, compresi i braccialetti e la retina dorata".

 

Christine Farese Sperken

Stima   € 25.000 / 35.000
66

Alberto Pasini

(Busseto (Parma) 1826 - Cavoretto (TO) 1899)

L'ASSEDIO

olio su tela, cm 78x148

firmato e datato "1861" in basso a destra

 

Bibliografia

Inedito

 

"Alla fine del 1851, la situazione politica, la mancanza di prospettive di lavoro e, d'altro canto, la fiducia riposta in lui dal grande Paolo Toschi, lo decisero a lasciare Parma per Parigi. Qui la fortuna, ma anche le sue notevoli capacità grafiche ed espressive gli fornirono l'opportunità di lavorare presso il maggior studio francese di litografia, quello di Charles ed Eugène Ciceri. Pasini si trovò, dunque, inserito in uno degli ambienti più ricchi di stimoli e possibilità cognitive della capitale culturale del XIX secolo.

I momenti di libertà, gli permettevano di scoprire le coste atlantiche a Etrétat, Dieppe e di riprendere scorci della foresta di Fontainebleau. Erano esperienze espresse con dipinti ad olio e la loro esecuzione s'ispirava alla cosiddetta Scuola di Barbizon. Questa, ponendosi tra i suoi obiettivi anche quello di innovare la pittura di paesaggio attraverso una più efficace adesione alla realtà, corrispondeva ad una esigenza particolarmente sentita dal nostro. Eppure, in seguito, il periodo di Fontainebleau fu tralasciato dal Pasini in quanto non così aderente al vero rispetto al modo, senz'altro più radicale, con cui egli venne, in seguito a percepire il problema relativo alla rappresentazione vedutistica.

La litografia La sera, del 1853, lo fece ammettere per la prima volta al Salon parigino di quell'anno. Dopo questa affermazione estremamente importante, Pasini lasciò i Ciceri, ed entrò nel 1854 nello studio del prestigioso Chassériau. Il validissimo e amabile maestro segnò il suo destino, per i suoi insegnamenti e per la possibilità che gli offrì di sostituirlo, come pittore addetto, nella Missione del Ministro Plenipotenziario P. Bourée, allora in partenza per la Persia. La Missione lasciò l'Europa a fine febbraio 1855 e, dopo due percorsi marittimi, (di cui uno fu il periplo della penisola arabica) ed una cavalcata di migliaia di chilometri, giunse il 2 luglio nella capitale persiana.

Pasini soggiornò dieci mesi a Teheran che riprese, con i dintorni, in moltissimi appunti. Il viaggio di ritorno nel 1856, avvenne in compagnia del linguista Barbier de Meynard. Questa volta egli attraversò il Nord della Persia e l'Armenia arrivando, infine, al Porto di Trebisonda per l'imbarco verso l'Europa. Durante tale straordinaria avventura per terra e per mare, davanti a lui si erano susseguiti scenari d'imponenza eccezionale, tappe di grande bellezza e suggestione che egli aveva puntualmente registrato con l'occhio attento e riportato con mani rapidissime, disegno dopo disegno su piccoli album portatili.

Tornato a Parigi, compose, con dodici tra le immagini più significative, l'ultima sua opera litografica: Viaggiando nell'Egitto in Persia e nell'Armenia (1857-1859 Parma e Parigi), quasi un'illustrazione del libro "Trois ans en Asie" che il Conte J. A. De Gobineau, altro componente della missione, aveva redatto dell'evento.

In seguito, Pasini mise a frutto quell'immenso patrimonio di memorie dando spazio e vita nei suoi dipinti ai piccoli caffè persiani sotto gli alberi, alle cavalcate sfrenate e alle fantasie delle scorte, alle cacce al falco, alle lunghe carovane. Nel lavoro sempre più si riaffacciò quello che egli prediligeva: la pietrosa Persia del sud, la Persia orrida la cui immensità e abbandono portava il suo animo "...ad una malinconia non disgiunta da una sensazione di calma e di pace...".

E proprio là, dove si era formata la sua contrattualità solitaria con lo spazio egli ritornerà negli ultimi lavori vivendone la nostalgia in un diverso tocco di mano. Alla fine del 1859 siamo al secondo viaggio nell'Oriente Mediterranico. Di questo itinerario daranno testimonianza gli studi eseguiti al Cairo, in cui Ugo Ojetti vedeva: "...non la convenzionale fornace ardente dai colori urlanti, incandescenti, ma tutta la mestizia di quella pallida afa canicolare..."; come pure resteranno gli studi del Deserto Arabico, del Sinai, delle coste libanesi e infine di Atene, meta finale.

Tutte opere che ispireranno quadri rifiniti, accurati così come imponeva la committenza del tempo, ma conserveranno efficacissima la trasposizione delle limpide profondità di campo, della vastità degli orizzonti, di quella luce ancora sconosciuta all'occhio europeo legato al cielo boreale. Pasini ne era rapito, come per esempio dalla vegetazione "…rara ma d'un verde d'uno splendore quale in Europa non possiamo avere idea [...] quel verde luce di bengala...".

Una volta terminato il viaggio, potè unirsi in matrimonio, nel 1860 con Mariannina Celi di Borgotaro. L'unione durerà sempre con intenso affetto e sarà allietata nel 1862 dalla nascita avvenuta a Parigi, dove ormai il Pasini risiedeva stabilmente, di Claire, la loro unica discendente. Mentre in Italia perdurava verso di lui una critica ufficiale piuttosto ostile, malgrado l'ospitalità datagli dalle Società Promotrici di Firenze e di Torino o dalla Società d'Incoraggiamento di Parma, Pasini nel 1865, era ormai esente da esami di accettazione al Salon e la sua attività era ben conosciuta attraverso le valutazioni dei critici, dai resocontisti e dalla Casa d'Arte Goupil. L'estate del 1865 portò una breve stagione a Cannes di cui rimarranno una quindicina di studi dominati dalla luminosità solare propria alle isole Lérins, che prediligeva come soggetti. Nell'ottobre del 1867, Pasini lasciò temporaneamente lo studio che condivideva con il Pittara, e si mise nuovamente in viaggio. La meta questa volta fu Stambul, allora Costantinopoli, perché Bourée, nominatovi ambasciatore di Francia, lo chiamava presso di sé. Bourée che era divenuto nel frattempo per lui un padre, un amico, un mecenate".

 

V. Botteri Cardoso, La sua vita: affetti, luce, colore, in Alberto Pasini: da Parma a Costantinopoli via Parigi, a cura di G. Godi, C. Mignardi, Parma 1996, pp. 11-21, in particolare 12-14

Stima   € 100.000 / 150.000
65

Eugenio Zampighi

(Modena 1859 - Maranello (MO) 1944)

IL TRIO MUSICALE

olio su tela, cm 55x40

firmato in basso a sinistra

 

Iscrittosi giovanissimo all'Accademia di Belle Arti di Modena, fin dai suoi primi saggi di soggetto storico accoglie la suggestione della lezione verista del pittore modenese Giovanni Muzzioli.

Ottenuto il premio di pittura Poletti, nel 1880, Zampighi ha l'opportunità di proseguire i suoi studi prima a Roma e, in seguito, a Firenze dove si trasferisce definitivamente nel 1884. Nel corso degli anni ottanta inaugura un repertorio di scene di genere che gli garantisce una straordinaria fortuna di mercato e il favore della committenza internazionale. Funzionale alla pratica pittorica è l'intensa attività di fotografo svolta principalmente in studio con l'ausilio di modelli in costume da contadini e popolani. A partire dalle immagini fotografiche, l'artista ricrea un'immagine gioiosa e idilliaca del mondo rurale italiano, priva di qualunque accento di denuncia sociale, ma apprezzata dai turisti stranieri al tal punto da sollecitare la produzione seriale degli stessi fortunati stereotipi ancora nei primi decenni del Novecento.

Per un approfondimento della tecnica e della tematica usata da Zampighi, spunto di riflessione è costituito dal catalogo della mostra che nel 2007 si è tenuta a Modena presso il Fotomuseo Giuseppe Panini dal titolo Eugenio Zampighi fotografo e pittore, a cura di Chiara Dall'Olio e Francesca Piccinini. Oggetto della mostra furono le oltre 150 fotografie, una selezione tratta dalle oltre 530 immagini del fotografo-pittore (392 foto dal vero adoperate come bozzetti e 138 riproduzioni di quadri) che il Fotomuseo ha acquistato nel 1997, e dai due nuclei di fotografie e di negativi in lastra di vetro in possesso del Museo Civico d'Arte. Si tratta non solo d'immagini delle scene composte dal pittore come spunti per il proprio lavoro, ma anche le riproduzioni dei quadri, fotografati sempre dall'artista, che venivano utilizzate come catalogo commerciale. Da un'analisi del fondo Zampighi conservato al Fotomuseo emerge che nei suoi quadri, nelle allegre scene di vita familiare contadina, si ritrovano gli stessi personaggi stereotipati delle fotografie, nelle medesime pose, nelle identiche azioni, illuminati dalla stessa luce, in molte occasioni, inoltre, le stesse figure vengono ripetute in quadri diversi. L'artista lavorava alla composizione dei quadri quasi fossero differenti collage realizzati a partire dalla stesso gruppo di fotografie, senza sforzi creativi sui soggetti, ma solo sull'ambientazione.

Stima   € 8.500 / 10.000
1 - 30  di 41