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Asta a tempo, 0167

Alberto Pasini

(Busseto (Parma) 1826 - Cavoretto (TO) 1899)

L'ASSEDIO

olio su tela, cm 78x148

firmato e datato "1861" in basso a destra

 

Bibliografia

Inedito

 

 

"Alla fine del 1851, la situazione politica, la mancanza di prospettive di lavoro e, d'altro canto, la fiducia riposta in lui dal grande Paolo Toschi, lo decisero a lasciare Parma per Parigi. Qui la fortuna, ma anche le sue notevoli capacità grafiche ed espressive gli fornirono l'opportunità di lavorare presso il maggior studio francese di litografia, quello di Charles ed Eugène Ciceri. Pasini si trovò, dunque, inserito in uno degli ambienti più ricchi di stimoli e possibilità cognitive della capitale culturale del XIX secolo.

I momenti di libertà, gli permettevano di scoprire le coste atlantiche a Etrétat, Dieppe e di riprendere scorci della foresta di Fontainebleau. Erano esperienze espresse con dipinti ad olio e la loro esecuzione s'ispirava alla cosiddetta Scuola di Barbizon. Questa, ponendosi tra i suoi obiettivi anche quello di innovare la pittura di paesaggio attraverso una più efficace adesione alla realtà, corrispondeva ad una esigenza particolarmente sentita dal nostro. Eppure, in seguito, il periodo di Fontainebleau fu tralasciato dal Pasini in quanto non così aderente al vero rispetto al modo, senz'altro più radicale, con cui egli venne, in seguito a percepire il problema relativo alla rappresentazione vedutistica.

La litografia La sera, del 1853, lo fece ammettere per la prima volta al Salon parigino di quell'anno. Dopo questa affermazione estremamente importante, Pasini lasciò i Ciceri, ed entrò nel 1854 nello studio del prestigioso Chassériau. Il validissimo e amabile maestro segnò il suo destino, per i suoi insegnamenti e per la possibilità che gli offrì di sostituirlo, come pittore addetto, nella Missione del Ministro Plenipotenziario P. Bourée, allora in partenza per la Persia. La Missione lasciò l'Europa a fine febbraio 1855 e, dopo due percorsi marittimi, (di cui uno fu il periplo della penisola arabica) ed una cavalcata di migliaia di chilometri, giunse il 2 luglio nella capitale persiana.

Pasini soggiornò dieci mesi a Teheran che riprese, con i dintorni, in moltissimi appunti. Il viaggio di ritorno nel 1856, avvenne in compagnia del linguista Barbier de Meynard. Questa volta egli attraversò il Nord della Persia e l'Armenia arrivando, infine, al Porto di Trebisonda per l'imbarco verso l'Europa. Durante tale straordinaria avventura per terra e per mare, davanti a lui si erano susseguiti scenari d'imponenza eccezionale, tappe di grande bellezza e suggestione che egli aveva puntualmente registrato con l'occhio attento e riportato con mani rapidissime, disegno dopo disegno su piccoli album portatili.

Tornato a Parigi, compose, con dodici tra le immagini più significative, l'ultima sua opera litografica: Viaggiando nell'Egitto in Persia e nell'Armenia (1857-1859 Parma e Parigi), quasi un'illustrazione del libro "Trois ans en Asie" che il Conte J. A. De Gobineau, altro componente della missione, aveva redatto dell'evento.

In seguito, Pasini mise a frutto quell'immenso patrimonio di memorie dando spazio e vita nei suoi dipinti ai piccoli caffè persiani sotto gli alberi, alle cavalcate sfrenate e alle fantasie delle scorte, alle cacce al falco, alle lunghe carovane. Nel lavoro sempre più si riaffacciò quello che egli prediligeva: la pietrosa Persia del sud, la Persia orrida la cui immensità e abbandono portava il suo animo "...ad una malinconia non disgiunta da una sensazione di calma e di pace...".

E proprio là, dove si era formata la sua contrattualità solitaria con lo spazio egli ritornerà negli ultimi lavori vivendone la nostalgia in un diverso tocco di mano. Alla fine del 1859 siamo al secondo viaggio nell'Oriente Mediterranico. Di questo itinerario daranno testimonianza gli studi eseguiti al Cairo, in cui Ugo Ojetti vedeva: "...non la convenzionale fornace ardente dai colori urlanti, incandescenti, ma tutta la mestizia di quella pallida afa canicolare..."; come pure resteranno gli studi del Deserto Arabico, del Sinai, delle coste libanesi e infine di Atene, meta finale.

Tutte opere che ispireranno quadri rifiniti, accurati così come imponeva la committenza del tempo, ma conserveranno efficacissima la trasposizione delle limpide profondità di campo, della vastità degli orizzonti, di quella luce ancora sconosciuta all'occhio europeo legato al cielo boreale. Pasini ne era rapito, come per esempio dalla vegetazione "…rara ma d'un verde d'uno splendore quale in Europa non possiamo avere idea [...] quel verde luce di bengala...".

Una volta terminato il viaggio, potè unirsi in matrimonio, nel 1860 con Mariannina Celi di Borgotaro. L'unione durerà sempre con intenso affetto e sarà allietata nel 1862 dalla nascita avvenuta a Parigi, dove ormai il Pasini risiedeva stabilmente, di Claire, la loro unica discendente. Mentre in Italia perdurava verso di lui una critica ufficiale piuttosto ostile, malgrado l'ospitalità datagli dalle Società Promotrici di Firenze e di Torino o dalla Società d'Incoraggiamento di Parma, Pasini nel 1865, era ormai esente da esami di accettazione al Salon e la sua attività era ben conosciuta attraverso le valutazioni dei critici, dai resocontisti e dalla Casa d'Arte Goupil. L'estate del 1865 portò una breve stagione a Cannes di cui rimarranno una quindicina di studi dominati dalla luminosità solare propria alle isole Lérins, che prediligeva come soggetti. Nell'ottobre del 1867, Pasini lasciò temporaneamente lo studio che condivideva con il Pittara, e si mise nuovamente in viaggio. La meta questa volta fu Stambul, allora Costantinopoli, perché Bourée, nominatovi ambasciatore di Francia, lo chiamava presso di sé. Bourée che era divenuto nel frattempo per lui un padre, un amico, un mecenate".

 

V. Botteri Cardoso, La sua vita: affetti, luce, colore, in Alberto Pasini: da Parma a Costantinopoli via Parigi, a cura di G. Godi, C. Mignardi, Parma 1996, pp. 11-21, in particolare 12-14