Mobili arredi ed oggetti d'Arte

11 OTTOBRE 2011

Mobili arredi ed oggetti d'Arte

Asta, 0104
Firenze, Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo Albizi, 26
 
 
 

Tutte le categorie

1 - 30  di 332
452

Altobello Melone (Cremona 1490/91-ante 1543) RESURREZIONE DI CRISTO olio su tavola, cm 61x46 sul retro: timbri in ceralacca ed iscrizione C. Morasso Adorno Provenienza: già collezione Morasso Adorno, Genova; mercato antiquario, Roma; collezione Prof. Luigi Grassi e Luciana Ferrara Grassi, Roma; eredi Grassi-Ferrara, Firenze Esposizioni: Mostra di Girolamo Romanino. Catalogo, Brescia 1965; I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Milano 1985; Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, Milano 2006. Limportante opera qui proposta è stata resa nota da Luigi Grassi (1913-1995), storico dellarte e professore universitario, e da lui attribuita ad Altobello Melone in unampia ricostruzione sullattività dellartista pubblicata nel 1950. Lattribuzione è stata unanimemente riconosciuta dalla critica successiva e sullartista, importante interprete della cultura artistica cremonese del primo Cinquecento, si sono espressi autorevoli studiosi. Roberto Longhi, già nel 1917, ricordava il pittore come uno dei giovani più moderni ed audaci che contasse nei primi decenni del Cinquecento la pittura dellItalia settentrionale (R. Longhi, Cose bresciane del Cinquecento, in LArte, XX, 1917, pp. 99-114, p. 106), cui hanno fatto seguito importanti contributi tra i quali segnaliamo quelli di Federico Zeri, Ferdinando Bologna e Mina Gregori, fino agli studi più recenti di Alessandro Ballarin e Francesco Frangi. Lopera proviene dalla prestigiosa collezione di Luigi Grassi che acquistò il dipinto sul mercato antiquario romano nel 1942, come già proveniente dalla collezione Morasso Adorno di Genova. La tavola, sempre rimasta nella medesima collezione, viene riproposta in questa occasione sul mercato antiquario dopo oltre sessantanni. Fu Grassi a riconoscere per primo i tratti tipici dellartista evidenziandone il carattere nordico del luminismo altobelliano e lattrazione per la cultura artistica doltralpe. Lo studioso metteva in relazione la Resurrezione con lomonima incisione di Albrect Dü dal ciclo della Grande Passione del 1510, sottolineando loriginalità interpretativa del pittore cremonese che non si era soffermato ad una mera derivazione iconografica. La datazione al 1518, poi anticipata al 1517 da Ballarin, venne proposta da Grassi per via delle strette analogie con la Cattura di Cristo del ciclo di affreschi del Duomo di Cremona. Lopera già esposta e inserita nel catalogo della Mostra di Girolamo Romanino (1965), è stata successivamente presentata con una scheda di Frangi nellesposizione I Campi e la cultura artistica cremonese (1985) in cui la curatrice Mina Gregori definiva lartista come uno degli eccentrici protagonisti dei movimenti anticlassici sviluppatisi in Italia settentrionale (Mina Gregori, Altobello Melone, in I Campi e la cultura artistica cremonese, Cremona 1985, pp. 85-88, p. 87). Il più recente contributo sul dipinto si deve a Frangi per la mostra Romanino: un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano (2006) nel quale lo studioso riafferma le tangenze della tavola con lincisione di Dü e i riscontri stilistici con gli affreschi del Duomo cremonese, collaudati nel 1517 da Girolamo Romanino con cui Altobello, seppur in un momento dintenso dialogo, manifesta una differente ricezione della pittura tizianesca in virtù di una sensibilità formale calligrafica e minuziosa, non priva, in certi brani di una secchezza perfino arcaizzante ben leggibile ad esempio nella statica e ossuta figura del Cristo. Lo studioso inoltre sottolinea leffervescente vivacità della condotta pittorica che, sollecitata dal confronto con larte nordica, si accende in una scrittura appuntita e nervosa, capace di restituire magnificamente i bagliori di luce che scuotono la penombra, infrangendosi in particolare sui metalli crepitanti delle armature dei soldati. Bibliografia: L. Grassi, Ingegno di Altobello Meloni, in Proporzioni, III, 1950, pp. 143-163, tav. CLXXVI, fig. 23; F. Zeri, Altobello Melone: quattro tavole, in Paragone, IV, 39, 1953, pp. 40-44; G. Testori, Inediti del Cerano giovane, in Paragone, VI, 67, 1955, pp. 13-21; F. Bologna, Altobello Meloni, in The Burlington Magazine, XCVII, 629, 1955, pp. 240-250; A. Mezzetti, Dosso e Battista Ferraresi, Ferrara 1965, p. 15; Mostra di Girolamo Romanino. Catalogo, a cura di G. Panazza, Brescia 1965, p. 161, n. 81 bis, fig. 153 bis; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Central and North Italian School, I, London 1968, p. 4; A. Ballarin, La Salomè del Romanino. Corso di lezioni sulla giovinezza del pittore bresciano, dispense del corso universitario, a.a. 1970-1971, Università di Ferrara, Ferrara 1971; I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, catalogo a cura di M. Gregori, Milano 1985, scheda a cura di F. Frangi, n. 1.7.6, pp. 92-93; M.Tanzi, Girovaghi, eccentrici ponentini. Francesco Casella, Cremona 1517, in Brera mai vista, 11, Milano 2004, p. 37; Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, catalogo a cura di L. Camerlengo, Milano 2006, scheda a cura di F. Frangi, n. 11, pp. 118-119.

Altobello Melone (Cremona 1490/91-ante 1543) RESURREZIONE DI CRISTO olio su tavola, cm 61x46 sul retro: timbri in ceralacca ed iscrizione C. Morasso Adorno Provenienza: già collezione Morasso Adorno, Genova; mercato antiquario, Roma; collezione Prof. Luigi Grassi e Luciana Ferrara Grassi, Roma; eredi Grassi-Ferrara, Firenze Esposizioni: Mostra di Girolamo Romanino. Catalogo, Brescia 1965; I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Milano 1985; Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, Milano 2006. Limportante opera qui proposta è stata resa nota da Luigi Grassi (1913-1995), storico dellarte e professore universitario, e da lui attribuita ad Altobello Melone in unampia ricostruzione sullattività dellartista pubblicata nel 1950. Lattribuzione è stata unanimemente riconosciuta dalla critica successiva e sullartista, importante interprete della cultura artistica cremonese del primo Cinquecento, si sono espressi autorevoli studiosi. Roberto Longhi, già nel 1917, ricordava il pittore come uno dei giovani più moderni ed audaci che contasse nei primi decenni del Cinquecento la pittura dellItalia settentrionale (R. Longhi, Cose bresciane del Cinquecento, in LArte, XX, 1917, pp. 99-114, p. 106), cui hanno fatto seguito importanti contributi tra i quali segnaliamo quelli di Federico Zeri, Ferdinando Bologna e Mina Gregori, fino agli studi più recenti di Alessandro Ballarin e Francesco Frangi. Lopera proviene dalla prestigiosa collezione di Luigi Grassi che acquistò il dipinto sul mercato antiquario romano nel 1942, come già proveniente dalla collezione Morasso Adorno di Genova. La tavola, sempre rimasta nella medesima collezione, viene riproposta in questa occasione sul mercato antiquario dopo oltre sessantanni. Fu Grassi a riconoscere per primo i tratti tipici dellartista evidenziandone il carattere nordico del luminismo altobelliano e lattrazione per la cultura artistica doltralpe. Lo studioso metteva in relazione la Resurrezione con lomonima incisione di Albrect Dü dal ciclo della Grande Passione del 1510, sottolineando loriginalità interpretativa del pittore cremonese che non si era soffermato ad una mera derivazione iconografica. La datazione al 1518, poi anticipata al 1517 da Ballarin, venne proposta da Grassi per via delle strette analogie con la Cattura di Cristo del ciclo di affreschi del Duomo di Cremona. Lopera già esposta e inserita nel catalogo della Mostra di Girolamo Romanino (1965), è stata successivamente presentata con una scheda di Frangi nellesposizione I Campi e la cultura artistica cremonese (1985) in cui la curatrice Mina Gregori definiva lartista come uno degli eccentrici protagonisti dei movimenti anticlassici sviluppatisi in Italia settentrionale (Mina Gregori, Altobello Melone, in I Campi e la cultura artistica cremonese, Cremona 1985, pp. 85-88, p. 87). Il più recente contributo sul dipinto si deve a Frangi per la mostra Romanino: un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano (2006) nel quale lo studioso riafferma le tangenze della tavola con lincisione di Dü e i riscontri stilistici con gli affreschi del Duomo cremonese, collaudati nel 1517 da Girolamo Romanino con cui Altobello, seppur in un momento dintenso dialogo, manifesta una differente ricezione della pittura tizianesca in virtù di una sensibilità formale calligrafica e minuziosa, non priva, in certi brani di una secchezza perfino arcaizzante ben leggibile ad esempio nella statica e ossuta figura del Cristo. Lo studioso inoltre sottolinea leffervescente vivacità della condotta pittorica che, sollecitata dal confronto con larte nordica, si accende in una scrittura appuntita e nervosa, capace di restituire magnificamente i bagliori di luce che scuotono la penombra, infrangendosi in particolare sui metalli crepitanti delle armature dei soldati. Bibliografia: L. Grassi, Ingegno di Altobello Meloni, in Proporzioni, III, 1950, pp. 143-163, tav. CLXXVI, fig. 23; F. Zeri, Altobello Melone: quattro tavole, in Paragone, IV, 39, 1953, pp. 40-44; G. Testori, Inediti del Cerano giovane, in Paragone, VI, 67, 1955, pp. 13-21; F. Bologna, Altobello Meloni, in The Burlington Magazine, XCVII, 629, 1955, pp. 240-250; A. Mezzetti, Dosso e Battista Ferraresi, Ferrara 1965, p. 15; Mostra di Girolamo Romanino. Catalogo, a cura di G. Panazza, Brescia 1965, p. 161, n. 81 bis, fig. 153 bis; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Central and North Italian School, I, London 1968, p. 4; A. Ballarin, La Salomè del Romanino. Corso di lezioni sulla giovinezza del pittore bresciano, dispense del corso universitario, a.a. 1970-1971, Università di Ferrara, Ferrara 1971; I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, catalogo a cura di M. Gregori, Milano 1985, scheda a cura di F. Frangi, n. 1.7.6, pp. 92-93; M.Tanzi, Girovaghi, eccentrici ponentini. Francesco Casella, Cremona 1517, in Brera mai vista, 11, Milano 2004, p. 37; Romanino. Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, catalogo a cura di L. Camerlengo, Milano 2006, scheda a cura di F. Frangi, n. 11, pp. 118-119.
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Bartolomeo Bimbi (Settignano 1648 Firenze 1730) NATURA MORTA CON MELE, SUSINE, CILIEGIE, PESCHE, CEDRI, CARCIOFI E UN VOLATILE SU FONDO DI PAESAGGIO olio su tela, cm 76,5x100,5 Lopera è corredata da parere scritto di Alberto Cottino, Torino, 20 luglio 2011 Sotto un cielo ancora luminoso, solcato da lievi nuvole rischiarate dagli ultimi bagliori del crepuscolo, un uccello vola radente su numerosi frutti (susine, nespole, mele tagliate e intere, cedri grandi e piccoli, pesche, noci, ciliegie), disposti a piccoli gruppi sul terreno reso con un sapiente controluce su cui risaltano i caldi colori della frutta. Il pittore si sofferma con meticolosa attenzione, quasi illusionistica, sulla buccia screziata delle susine, gonfie di polpa succosa, su quella spessa, carnosa e aggrumata dei cedri in primo piano, resi con vibranti coaguli di materia pittorica, e così vicini che sembra quasi di poterli facilmente afferrare, così come su quella setosa e vellutata delle pesche, su cui si posa morbida e carezzevole lultima luce del meriggio ormai quasi trascorso, che crea anche improvvisi lampi sui bordi delle foglie e sul carciofo. Lattenta analisi del pittore giunge anche a sottolineare l ingrigire della polpa della mela tagliata a causa dellesposizione prolungata allaria aperta. E un dipinto di qualità altissima, silente e contemplativo, stillante di naturalismo intenso e affettuoso che oscilla tra laccurata osservazione botanica e il senso tutto barocco per la decorazione. Tali caratteristiche tipologiche, stilistiche e qualitative permettono di ascrivere, a mio parere, lopera al pittore fiorentino Bartolomeo Bimbi, al cui catalogo dunque costituisce unimportante e particolarmente rappresentativa acquisizione. Lopera qui studiata ben si apparenta ad una serie di tele di varie misure eseguite per il Gran Principe Ferdinando de Medici raffiguranti sottoboschi o giardini con frutta e uccelli, databili probabilmente agli ultimi anni del Seicento oggi conservati presso la Villa Medicea di Poggio a Caiano (se ne vedano lanalisi e lillustrazione in R. Spinelli, in Villa Medicea di Poggio a Caiano. Museo della Natura Morta. Catalogo dei dipinti, a cura di S. Casciu, Firenze 2009, schede nn. 13-14 pp. 62-67), che presentano composizioni vicinissime sia nel taglio che negli orientamenti formali. Semmai il quadro qui studiato risulta ancora più affascinante rispetto a quelli in quanto la tonalità più chiara del cielo attenua i contrasti luminosi, permettendo una migliore lettura dei singoli frutti e del contesto ambientale e ammorbidendo lintera composizione. In questi ultimi ritornano le medesime impaginazioni e soluzioni formali qui visibili, con uccelli svolazzanti sui frutti sparsi a terra in piccoli gruppi, che mostrano le stesse caratteristiche morfologiche, tra cui spiccano i tipici cedri bitorzoluti. Questi facevano parte delle meraviglie dei giardini medicei, e Bimbi li riproduce anche in immense e memorabili tele (le celebri spalliere, che comprendevano tutte le specie di agrumi visibili nelle ville toscane, conservate anchesse a Poggio a Caiano ma in origine ubicate nel casino della Topaia), che dobbiamo considerare tra i capolavori assoluti della natura morta europea. Come giustamente osserva Spinelli (ibid., p.110), linteresse della famiglia granducale per questo tipo di coltivazioni non era certo nuovo, e aveva trovato nel corso del Seicento fonti i ispirazione e di sviluppo grazie alle pubblicazioni del ferrari, agli scritti del Redi, archiatra di Cosimo III, del Micheli, botanico di corte ( alla passione i Cosimo Guiducci segretario granducale- che avevano portato, in concerto con labilità dei Giardinieri medicei, la scienza citografica toscana a livelli incomparabili nellItalia del tempo. Così è anche per le susine, immortalate in ogni possibile variante in una grande tela destinata anchessa alla Topaia e oggi nel nuovo Museo della Natura Morta (R. Spinelli, ibid., n. 19, pp 76-77), perfettamente confrontabili, dal punto di vista pittorico, con quelle qui riprodotte. Per lo schiarimento della gamma cromatica rispetto alle tele per Ferdinando de Medici citate in precedenza, ritengo che lopera possa datarsi ad un momento successivo della maturità del pittore, probabilmente intorno al primo decennio del Settecento.

Bartolomeo Bimbi (Settignano 1648 Firenze 1730) NATURA MORTA CON MELE, SUSINE, CILIEGIE, PESCHE, CEDRI, CARCIOFI E UN VOLATILE SU FONDO DI PAESAGGIO olio su tela, cm 76,5x100,5 Lopera è corredata da parere scritto di Alberto Cottino, Torino, 20 luglio 2011 Sotto un cielo ancora luminoso, solcato da lievi nuvole rischiarate dagli ultimi bagliori del crepuscolo, un uccello vola radente su numerosi frutti (susine, nespole, mele tagliate e intere, cedri grandi e piccoli, pesche, noci, ciliegie), disposti a piccoli gruppi sul terreno reso con un sapiente controluce su cui risaltano i caldi colori della frutta. Il pittore si sofferma con meticolosa attenzione, quasi illusionistica, sulla buccia screziata delle susine, gonfie di polpa succosa, su quella spessa, carnosa e aggrumata dei cedri in primo piano, resi con vibranti coaguli di materia pittorica, e così vicini che sembra quasi di poterli facilmente afferrare, così come su quella setosa e vellutata delle pesche, su cui si posa morbida e carezzevole lultima luce del meriggio ormai quasi trascorso, che crea anche improvvisi lampi sui bordi delle foglie e sul carciofo. Lattenta analisi del pittore giunge anche a sottolineare l ingrigire della polpa della mela tagliata a causa dellesposizione prolungata allaria aperta. E un dipinto di qualità altissima, silente e contemplativo, stillante di naturalismo intenso e affettuoso che oscilla tra laccurata osservazione botanica e il senso tutto barocco per la decorazione. Tali caratteristiche tipologiche, stilistiche e qualitative permettono di ascrivere, a mio parere, lopera al pittore fiorentino Bartolomeo Bimbi, al cui catalogo dunque costituisce unimportante e particolarmente rappresentativa acquisizione. Lopera qui studiata ben si apparenta ad una serie di tele di varie misure eseguite per il Gran Principe Ferdinando de Medici raffiguranti sottoboschi o giardini con frutta e uccelli, databili probabilmente agli ultimi anni del Seicento oggi conservati presso la Villa Medicea di Poggio a Caiano (se ne vedano lanalisi e lillustrazione in R. Spinelli, in Villa Medicea di Poggio a Caiano. Museo della Natura Morta. Catalogo dei dipinti, a cura di S. Casciu, Firenze 2009, schede nn. 13-14 pp. 62-67), che presentano composizioni vicinissime sia nel taglio che negli orientamenti formali. Semmai il quadro qui studiato risulta ancora più affascinante rispetto a quelli in quanto la tonalità più chiara del cielo attenua i contrasti luminosi, permettendo una migliore lettura dei singoli frutti e del contesto ambientale e ammorbidendo lintera composizione. In questi ultimi ritornano le medesime impaginazioni e soluzioni formali qui visibili, con uccelli svolazzanti sui frutti sparsi a terra in piccoli gruppi, che mostrano le stesse caratteristiche morfologiche, tra cui spiccano i tipici cedri bitorzoluti. Questi facevano parte delle meraviglie dei giardini medicei, e Bimbi li riproduce anche in immense e memorabili tele (le celebri spalliere, che comprendevano tutte le specie di agrumi visibili nelle ville toscane, conservate anchesse a Poggio a Caiano ma in origine ubicate nel casino della Topaia), che dobbiamo considerare tra i capolavori assoluti della natura morta europea. Come giustamente osserva Spinelli (ibid., p.110), linteresse della famiglia granducale per questo tipo di coltivazioni non era certo nuovo, e aveva trovato nel corso del Seicento fonti i ispirazione e di sviluppo grazie alle pubblicazioni del ferrari, agli scritti del Redi, archiatra di Cosimo III, del Micheli, botanico di corte ( alla passione i Cosimo Guiducci segretario granducale- che avevano portato, in concerto con labilità dei Giardinieri medicei, la scienza citografica toscana a livelli incomparabili nellItalia del tempo. Così è anche per le susine, immortalate in ogni possibile variante in una grande tela destinata anchessa alla Topaia e oggi nel nuovo Museo della Natura Morta (R. Spinelli, ibid., n. 19, pp 76-77), perfettamente confrontabili, dal punto di vista pittorico, con quelle qui riprodotte. Per lo schiarimento della gamma cromatica rispetto alle tele per Ferdinando de Medici citate in precedenza, ritengo che lopera possa datarsi ad un momento successivo della maturità del pittore, probabilmente intorno al primo decennio del Settecento.
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Bottega di Benedetto da Maiano, ultimo quarto sec. XV MADONNA CON BAMBINO CHE STRINGE UN CARDELLINO bassorilievo in stucco dipinto e dorato, cm 41x31,5; entro cornice coeva ad ancoretta intagliata e dipinta, cm 91x52. Nella lunetta della cornice raffigurazione dipinta con Tobiolo e langelo e nella parte inferiore della medesima stemma della famiglia Grifoni. sul retro: etichetta con iscrizione: stucco di Antonio Rossellino con tabernacolo originale del 400 Fiorentino (Brunelleschiano). Lopera è corredata da parere scritto di Giancarlo Gentilini, Firenze, 22 luglio 2011 Questo delicato, affabile rilievo raffigura la Vergine che, seduta su di un faldistorio del quale affiora la voluta di un bracciolo ornata da un minuto, vivace serafino, sostiene affettuosamente sulle ginocchia un tenero Bambin Gesù dal volto paffuto e i folti capelli mossi dal vento, intento a stringere al petto un cardellino, secondo una diffusa iconografia promossa nellarte fiorentina del Quattrocento per le immagini destinate alla devozione domestica dai precetti del domenicano Giovanni Dominici. La posa in scorcio del Bambino rivela la natura umana del Verbo fatto carne, così come ne prefigura la Passione il trastullo infantile, secondo la popolare leggenda cristiana del cardellino che avrebbe estratto le spine della corona di Cristo crocifisso tingendosi il capo di rosso col suo sangue. Conferisce ulteriore pregio e interesse a questopera loriginaria, elegante cornice ad anconetta centinata ( con una lunetta dipinta raffigurante Tobiolo accompagnato nel suo viaggio di affari da Raffaele, larcangelo taumaturgo: un tema assai caro ai mercanti fiorentini del tempo, spesso adottato come immagine votiva per gli adolescenti in procinto di lasciare la propria abitazione. Sul peduccio è inoltre dipinto uno scudo a mandorla con arme araldica riferibile alla famiglia Grifoni, tra le più eminenti a Firenze nel Rinascimento. Nella vastissima produzione di analoghi rilievi in stucco o terracotta dipinta praticata dai maggiori scultori fiorentini del Quattrocento, perlopiù in modo seriale replicando a calco un prototipo marmoreo, la nostra Madonna si distingue come esemplare autorevole di una tipologia ancora ignota alla critica, della quale al momento sfuggono ulteriori repliche. Si segnala però lesistenza di una versione marmorea, sostanzialmente identica se non per il gesto benedicente della mano destra del Bambino, in Santa Maria sopra Minerva a Roma, inserita allinterno della tomba di Agostino Maffei, raffinato umanista e collezionista di antichità morto nel 1496, attribuita al lombardo Luigi Capponi. Estraneo ai modi bregneschi del Capponi, questo marmo sembra peraltro nato in modo autonomo, ed è plausibile ipotizzare che fosse stato riutilizzato nel sepolcro Maffei in quanto immagine appartenuta e cara al defunto ( Del resto lopera in esame, già riferita ad Antonio Rossellino (come dichiara una vecchia etichetta dattiloscritta), trova convincenti riscontri nellattività di Benedetto da Maiano, protagonista della scultura fiorentina di fine Quattrocento che ben conosciamo anche come responsabile di una consistente produzione di simili Madonne col Bambino in stucco dipinto. Tra queste si segnala una composizione in forma di medaglione col Bambino benedicente, dove la figura della Vergine ripropone in controparte la nostra Madonna nellovale gentile del volto, nel gesto delicato della mano assottigliata, nella foggia dellabito e nella profonda sacca creata dalla curva del manto: caratteri riscontrabili anche nella tipologia che fa capo al marmo Blumenthal (New York, Metropolitan Museum), nella Madonna in terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra e in altri lavori del maestro ( Frequenti nelle Madonne di Benedetto sono inoltre le fattezze pingui e la postura rannicchiata del Bambino, ed offrono puntuali conferme i dettagli decorativi, quali il serafino iscritto come un cammeo nella voluta del faldistorio, identico a quelli nel fregio di un Tabernacolo del Sacramento di collezione privata (già Torino, Antichi Maestri Pittori), e la cornicetta a foglie e perline, adottata anche negli stucchi di una diffusa tipologia mariana col San Giovannino. Ispirata da alcune celebri Madonne marmoree di Desiderio da Settignano e di Antonio Rossellino, maestri che segnano la formazione di Benedetto, questa composizione sembra riferibile alla prima attività autonoma intorno al 1470 ( A Benedetto da Maiano, o ad uno dei fratelli Giuliano e Giovanni, responsabili di una prolifica bottega di legname, è verosimilmente da ricondurre anche la cornice lignea dellanconetta, di un modello ben attestato nella pittura fiorentina del secondo Quattrocento, in particolare in opere dello Pseudo Pier Francesco Fiorentino e del Maestro di San Miniato. Probabilmente la policromia dello stucco fu invece affidata, come duso, ad un pittore esterno alla bottega, che sappiamo in stretti rapporti con maestri come Cosimo Rosselli e Lorenzo di Credi, ma anche con personalità minori, come il misterioso Stefano di Francesco documentato proprio per aver dipinto un rilievo di Benedetto da Maiano. E al medesimo ignoto artista sembra riferibile anche la lunetta, che traduce il noto dipinto del Botticini già nella Compagnia dellArcangelo Raffaele in Santo Spirito (ora agli Uffizi), con modi sensibili alla pittura di Jacopo del Sellaio ed esiti più compendiari prossimi al Maestro di Marradi, autore di unanconetta dotata di una simile carpenteria (Avignone, Musé du Petit Palais). Bibliografia di riferimento: R.Kecks, Madonna und Kind, Berlin 1988; Maestri e botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento, catalogo della mostra a cura di M.Gregori e altri, Firenze 1992; Giuliano e la bottega dei Da Maiano, atti del convegno a cura di D.Lamberini e altri (1991), Firenze 1994; D.Carl, Benedetto da Maiano. A Florentine Sculptor

Bottega di Benedetto da Maiano, ultimo quarto sec. XV MADONNA CON BAMBINO CHE STRINGE UN CARDELLINO bassorilievo in stucco dipinto e dorato, cm 41x31,5; entro cornice coeva ad ancoretta intagliata e dipinta, cm 91x52. Nella lunetta della cornice raffigurazione dipinta con Tobiolo e langelo e nella parte inferiore della medesima stemma della famiglia Grifoni. sul retro: etichetta con iscrizione: stucco di Antonio Rossellino con tabernacolo originale del 400 Fiorentino (Brunelleschiano). Lopera è corredata da parere scritto di Giancarlo Gentilini, Firenze, 22 luglio 2011 Questo delicato, affabile rilievo raffigura la Vergine che, seduta su di un faldistorio del quale affiora la voluta di un bracciolo ornata da un minuto, vivace serafino, sostiene affettuosamente sulle ginocchia un tenero Bambin Gesù dal volto paffuto e i folti capelli mossi dal vento, intento a stringere al petto un cardellino, secondo una diffusa iconografia promossa nellarte fiorentina del Quattrocento per le immagini destinate alla devozione domestica dai precetti del domenicano Giovanni Dominici. La posa in scorcio del Bambino rivela la natura umana del Verbo fatto carne, così come ne prefigura la Passione il trastullo infantile, secondo la popolare leggenda cristiana del cardellino che avrebbe estratto le spine della corona di Cristo crocifisso tingendosi il capo di rosso col suo sangue. Conferisce ulteriore pregio e interesse a questopera loriginaria, elegante cornice ad anconetta centinata ( con una lunetta dipinta raffigurante Tobiolo accompagnato nel suo viaggio di affari da Raffaele, larcangelo taumaturgo: un tema assai caro ai mercanti fiorentini del tempo, spesso adottato come immagine votiva per gli adolescenti in procinto di lasciare la propria abitazione. Sul peduccio è inoltre dipinto uno scudo a mandorla con arme araldica riferibile alla famiglia Grifoni, tra le più eminenti a Firenze nel Rinascimento. Nella vastissima produzione di analoghi rilievi in stucco o terracotta dipinta praticata dai maggiori scultori fiorentini del Quattrocento, perlopiù in modo seriale replicando a calco un prototipo marmoreo, la nostra Madonna si distingue come esemplare autorevole di una tipologia ancora ignota alla critica, della quale al momento sfuggono ulteriori repliche. Si segnala però lesistenza di una versione marmorea, sostanzialmente identica se non per il gesto benedicente della mano destra del Bambino, in Santa Maria sopra Minerva a Roma, inserita allinterno della tomba di Agostino Maffei, raffinato umanista e collezionista di antichità morto nel 1496, attribuita al lombardo Luigi Capponi. Estraneo ai modi bregneschi del Capponi, questo marmo sembra peraltro nato in modo autonomo, ed è plausibile ipotizzare che fosse stato riutilizzato nel sepolcro Maffei in quanto immagine appartenuta e cara al defunto ( Del resto lopera in esame, già riferita ad Antonio Rossellino (come dichiara una vecchia etichetta dattiloscritta), trova convincenti riscontri nellattività di Benedetto da Maiano, protagonista della scultura fiorentina di fine Quattrocento che ben conosciamo anche come responsabile di una consistente produzione di simili Madonne col Bambino in stucco dipinto. Tra queste si segnala una composizione in forma di medaglione col Bambino benedicente, dove la figura della Vergine ripropone in controparte la nostra Madonna nellovale gentile del volto, nel gesto delicato della mano assottigliata, nella foggia dellabito e nella profonda sacca creata dalla curva del manto: caratteri riscontrabili anche nella tipologia che fa capo al marmo Blumenthal (New York, Metropolitan Museum), nella Madonna in terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra e in altri lavori del maestro ( Frequenti nelle Madonne di Benedetto sono inoltre le fattezze pingui e la postura rannicchiata del Bambino, ed offrono puntuali conferme i dettagli decorativi, quali il serafino iscritto come un cammeo nella voluta del faldistorio, identico a quelli nel fregio di un Tabernacolo del Sacramento di collezione privata (già Torino, Antichi Maestri Pittori), e la cornicetta a foglie e perline, adottata anche negli stucchi di una diffusa tipologia mariana col San Giovannino. Ispirata da alcune celebri Madonne marmoree di Desiderio da Settignano e di Antonio Rossellino, maestri che segnano la formazione di Benedetto, questa composizione sembra riferibile alla prima attività autonoma intorno al 1470 ( A Benedetto da Maiano, o ad uno dei fratelli Giuliano e Giovanni, responsabili di una prolifica bottega di legname, è verosimilmente da ricondurre anche la cornice lignea dellanconetta, di un modello ben attestato nella pittura fiorentina del secondo Quattrocento, in particolare in opere dello Pseudo Pier Francesco Fiorentino e del Maestro di San Miniato. Probabilmente la policromia dello stucco fu invece affidata, come duso, ad un pittore esterno alla bottega, che sappiamo in stretti rapporti con maestri come Cosimo Rosselli e Lorenzo di Credi, ma anche con personalità minori, come il misterioso Stefano di Francesco documentato proprio per aver dipinto un rilievo di Benedetto da Maiano. E al medesimo ignoto artista sembra riferibile anche la lunetta, che traduce il noto dipinto del Botticini già nella Compagnia dellArcangelo Raffaele in Santo Spirito (ora agli Uffizi), con modi sensibili alla pittura di Jacopo del Sellaio ed esiti più compendiari prossimi al Maestro di Marradi, autore di unanconetta dotata di una simile carpenteria (Avignone, Musé du Petit Palais). Bibliografia di riferimento: R.Kecks, Madonna und Kind, Berlin 1988; Maestri e botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento, catalogo della mostra a cura di M.Gregori e altri, Firenze 1992; Giuliano e la bottega dei Da Maiano, atti del convegno a cura di D.Lamberini e altri (1991), Firenze 1994; D.Carl, Benedetto da Maiano. A Florentine Sculptor
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