Importanti Maioliche Rinascimentali

1 OTTOBRE 2015
Asta, 0046
14

PIATTO

Stima
€ 100.000 / 150.000
Aggiudicazione  Registrazione

PIATTO

MONTELUPO, 1515 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco, bruno di manganese.

Alt. cm 6,5; diam. cm 47,5; diam. piede cm 18.

Sul retro del piatto sotto il piede la scritta “Lo”.

 

 

Il piatto mostra la foggia tipica dei bacili di grande diametro con ampio cavetto piano, tesa obliqua, piede ad anello appena accennato. La materia è spessa, il corpo ceramico di colore beige rosato traspare dallo smalto bianco panna poco aderente, specialmente sul retro del piatto, magro e friabile.

Sul fronte leggiamo una complessa decorazione con, al centro del cavetto, la scena della Deposizione di Cristo dalla croce. La raffigurazione vede al centro la croce, dalla quale alcune figure arrampicate su scale distaccano il corpo di Cristo: uno dei personaggi utilizza una grossa pinza che stringe in una mano. Ai piedi della croce la Maddalena, riconoscibile dai lunghi capelli biondi, inginocchiata accoglie le spoglie. Alcune figure femminili velate aiutano nell’operazione mentre, a destra, San Giovanni sorregge la Madonna che si accascia per il dolore. Sottili alberelli fanno da sfondo alla scena, e piccoli ciuffi di fiori adornano il prato. Sullo sfondo, a sinistra, si scorge la città di Gerusalemme appena tratteggiata in blu.

Una fascia decorata a perline separa il cavetto dalla tesa, che mostra un complesso ornato in cui quattro riserve di forma arrotondata si alternano a  un fitto motivo a grottesche che riempie interamente le restanti campiture. La medesima impostazione decorativa è poi ripetuta per quattro volte: un’erma femminile, sostenuta da due sfingi, porta sul capo una cornucopia su cui è appollaiato un pavone; ai lati dell’erma, due putti sorreggono un tendaggio a incorniciare la scena; le restanti campiture sono riempite in giallo, rosso e blu mentre piccoli decori fogliati e uccelli volanti le animano. All’interno delle riserve sono descritti quattro momenti della passione di Cristo: la visita da Erode con la folla che sbeffeggia il Cristo, Ponzio Pilato, la fustigazione e Gesù che porta la croce. Tutte le scene mostrano una grande attenzione narrativa con aggiunta di particolari miniaturistici nelle architetture, nelle vesti, nelle armi e in altro ancora.

La caratteristica fascia “a petali” orna il verso della tesa, lasciando scoperto il centro del cavetto, sottolineato da linee di colore blu, nel quale s’intravede –nella parte ancora ricoperta dallo smalto bianco-beige che non ha aderito in lavorazione – una porzione della marca “Lo”, attribuita alla bottega di Lorenzo di Pietro Sartori, attiva nel primo decennio del secolo XVI (1).

Il pittore mostra una felice ispirazione miniaturistica che fa superare la rapidità e l’imperizia di alcune realizzazioni: l’effetto artistico non è da ricercare tanto nel dettaglio quanto nell’insieme, nell’impatto decorativo generale. L’artefice è comunque capace e mostra un suo stile preciso: i volti dei personaggi, arrotondati nei putti, le bocche dipinte con un trattino orizzontale, i corpi leggermente ombreggiati di azzurro nelle grottesche. Ma è nelle porzioni istoriate che il nostro piatto si distingue dalle altre poche opere conosciute di questa tipologia: nelle riserve le figure hanno contorni delineati in blu di cobalto e i corpi sono ombreggiati d’azzurro e, pur disarmonici, sono valorizzati da dettagli coloristici ottenuti grazie al riempimento delle campiture con colori vividi: il rosso in un cimiero, il giallo di una tunica, o il verde di una camiciola. L’attenzione al dettaglio miniaturistico si trova in particolari come la brocca dalla foggia orientale che il servitore rovescia sulle mani di Ponzio Pilato, alcuni dettagli nelle corde o nella frusta, la tenaglia in mano all’uomo che cala il corpo di Cristo.

L’opera era stata pubblicata dal Rackham nel suo studio della collezione Adda di Londra come opera del “Pittore della Processione papale” e quindi datato tra il 1510 e il 1515. Il Rackham trova affinità con le figure della passione dipinte su un piatto presente nella collezione Bait (2): per entrambe le opere lo studioso pensava all’influenza delle incisioni xilografiche fiorentine del XV secolo, riconoscendo in quest’opera in particolare la vicinanza con le immagini delle Epistole et Evangelia et Lectioni Volgari Lingua Toscana, opera di Lorenzo Morgiani edita a Firenze nel 1495, ravvisando particolare affinità nelle scene della deposizione dalla croce e in quelle della flagellazione.

Ci pare invece di poter riconoscere una fonte d’ispirazione più prossima nelle calcografie di Martin Schongauer (1448-1491), limitatamente alle scene dipinte nelle riserve presenti sulla tesa (figg. 1-4), mentre per l’immagine del cavetto non si è trovato, per ora, un riferimento iconografico soddisfacente (3).

Il piatto, pur distinguendosi per dimensioni e complessità del decoro, si può inserire tra gli esemplari montelupini con motivo a “grottesche”, di cui si conoscono alcune varianti rilevanti che si basano sulla cromia dello sfondo: acromo, con spazi intercalati campiti di blu, arancio, rosso, giallo e blu.

La sorprendente vicinanza morfologica e stilistica al celebre bacile detto “il rosso di Montelupo”(4) del 1509 ci aiuta nella datazione dell’opera. Il bacile, oggi al museo di Montelupo, fu anch’esso realizzato nella bottega di Lorenzo di Piero di Lorenzo Sartori, la cui marca “Lo” è elegantemente dipinta sul retro del piede. I putti e le grottesche sono molto prossimi a quelli raffigurati sul nostro piatto e sono quasi sovrapponibili. Un sottile tratto blu che delinea le forme, l’uso sapiente e abbondante dei pigmenti nelle campiture che creano lo sfondo con il rosso quasi rilevato, il blu cupo e l’arancio che alleggerisce la composizione, analoghi nei due esemplari, ne completano il confronto tecnico-stilistico.

Il pigmento rosso usato nello sfondo, la cui composizione è al momento sconosciuta, è stato messo in relazione con i rapporti commerciali che si vennero a creare con i ceramisti della città turca di Iznik (5).

Un altro piatto datato 1509 e decorato “a grottesche” su fondo rosso e giallo, anch’esso appartenuto alla collezione Rothschild, pubblicato in bianco e nero nel corpus del Ballardini (6), costituisce un ulteriore importante confronto per l’opera in esame.

Sono inoltre numerosi i frammenti di opere avvicinabili ritrovati nello scarico della fornace Di Lorenzo, collocata nell’area del Castello di Montelupo (7).

La decorazione “a grottesche” e le scelte cromatiche sono avvicinabili alla produzione senese del primo decennio del Cinquecento e in particolare a quella attribuita alla figura del cosiddetto “pittore di Nesso”(8) per la sintassi decorativa dei delfini, dei putti-cherubini, dei fili di perle sospese, simili a quelle proposte nel pavimento di Palazzo Petrucci a Siena, anch’esso datato 1509.

Quest’opera costituisce pertanto un altro raro esempio della produzione delle fornaci montelupine dei Di Lorenzo, anticipatori del gusto per l’istoriato e dotati di una creatività sorprendente. L’autore del piatto dimostra di aver recepito pienamente la lezione decorativa che, in quel periodo, entrava a far parte dei repertori delle principali botteghe italiane sotto l’influenza del dilagante gusto per le raffaellesche, che da Roma risalivano la penisola con sempre maggiore successo, ma che a Montelupo hanno solo pochissimi esempi.

Il piatto è stato pubblicato a colori da Rackham nel catalogo della collezione Adda come opera di bottega di Cafaggiolo attribuita al “Pittore della processione papale”(9), databile al 1510-1515, e già nella Berney Collection a Londra per poi essere venduto all’asta (10).

Sempre alla bottega di Cafaggiolo è stato attribuito nello studio monografico di Cora e Fanfani (11), ma con datazione al secondo quarto del XVI secolo, e con un riferimento ad una vendita del dicembre 1965 al Palais Galliera.

 

1 MARINI 1998, pp. 45-56.

2 RACKHAM 1932, bollettino d’arte.

3 Ci pare interessante far notare come l’immagine della flagellazione richiami quella ritratta sul cavetto di un grande piatto del museo dell’Ermitage, che con il nostro esemplare condivide anche il complesso sistema decorativo a grottesche della tesa, seppur realizzato con uno stile pittorico differente. Il piatto, dopo Cafaggiolo e Siena, è stato attribuito a Deruta (IVANOVA 2003, p. 51 n. 18).

4 BERTI 2008. pp. 278-279 tavv. 25a, 25b.

5 Gli studiosi hanno ipotizzato che possa trattarsi della medesima materia prima, forse un ossido di manganese ricco di arsenico, importato dall’Anatolia e trattato secondo i dettami del luogo.

6 BALLARDINI 1933, vol. I n. 31.

7 Si veda ad esempio il frammento pubblicato in MARINI 1999, pp. 58 59.

8 RACKHAM- MALLET 1977, vol. 1 pp. 175-176.

9 RACKHAM 1959, tav. IV.

10 SOTHEBY’S, Londra 18 giugno 1946, n. 40 tav. IV.

11 CORA-FANFANI 1982, p. 129 n. 118.