CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

1 OTTOBRE 2015
Asta, 0045
6

MANIFATTURA DELL’ITALIA CENTRALE, INIZI XVI SECOLO E BOTTEGA DI BERNARDINO DI BETTO, DETTO IL PINTORICCHIO

Stima
€ 50.000 / 70.000

 

MANIFATTURA DELL’ITALIA CENTRALE, INIZI XVI SECOLO E BOTTEGA DI BERNARDINO DI BETTO, DETTO IL PINTORICCHIO 
Cassone istoriato e decorato con figure di Virtù
Cm 79x167x62 (cm 27x32 i tre ovali con le raffigurazioni delle Virtù)

 
CENTRAL ITALY, BEGINNING OF THE 16TH CENTURY AND WORKSHOP OF BERNARDINO DI BETTO, CALLED IL PINTURICCHIO
Historiated cassone decorated with the figures of the Virtues
79 x 167 x 62 cm (27 x 32 cm the three ovals depicting the Virtues)

 
Il cassone qui illustrato presenta alla base uno zoccolo sporgente, formato da quattro assi di legno e quindi cavo all’interno. Lungo i fianchi tale zoccolo è aperto in arcate trilobe. La cassa è sormontata da un coperchio dalla sagoma convessa, pure leggermente sporgente.
La decorazione interessa la fronte, i lati e il coperchio. Lungo il lato principale della cassa corre un rigoglioso motivo vegetale formato da racemi intrecciati che terminano in ghiande, per lo più sboccianti in gruppi di tre (in allusione alle tre virtù raffigurate). Tale motivo è realizzato in pastiglia rilevata, dorata e puntinata in modo da rendere la trama delle venature delle singole foglie, così come la consistenza granulosa della cupola di ogni frutto. Lo sfondo di tale decorazione è dipinto in rosso, celeste, verde e tali colori si alternano lungo l’intera fronte della cassa. I rami si compongono creando tre aperture di forma ovale, ciascuna occupata dall’immagine di una virtù. La prima a sinistra è la Carità (una figura femminile che abbraccia una coppia di pargoli, ai quali offre il suo latte), la seconda, al centro, è la Fede (una figura femminile che contempla una croce, tenuta sulla mano destra e indicata da quella sinistra), mentre la terza, all’estrema destra, non è la Speranza, terza tra le virtù teologali a fianco della Fede e della Carità, ma probabilmente la raffigurazione della Castità. La figura, seduta su un sedile marmoreo come le compagne, impugna con la mano destra uno staffile munito di flagelli e rivolge lo sguardo verso l’attributo tenuto sulla sinistra: questo oggetto di forma circolare può sembrare a prima vista uno specchio, il quale esibirebbe però uno spessore minore e, come di norma nel Rinascimento, sarebbe sostenuto da un’asta. Si tratta più verosimilmente di un piccolo setaccio, che con la sferza compone l’iconografia della Castità, come avrebbe poi affermato, all’inizio del Seicento, Cesare Ripa (1).
La decorazione dipinta prosegue lungo lo zoccolo, i fianchi della cassa e del coperchio, ove si dipana un altro elaborato ed elegante ornato vegetale, su uno sfondo rosso chiaro, e si conclude sul coperchio, al centro del quale è rappresentata l’insegna dei Della Rovere (una quercia incorniciata da una ghirlanda di rami fruttiferi e nastri svolazzanti ai lati), sormontata da un cappello cardinalizio. Tale riferimento araldico trova piena rispondenza nei sopra citati ornati a pastiglia, essendo i rami di quercia con ghiande tra i più consueti elementi dell’imagerie iconografica del casato, a cavallo tra XV e XVI secolo.
Il cassone qui esaminato rappresenta una pregevole testimonianza praticamente sconosciuta della committenza dei Della Rovere in età rinascimentale. Esso fece parte della collezione Agosti Mendoza a Milano e figura nel catalogo approntato per la vendita della raccolta, messa all’asta nel 1937 (Botta 1936; Catalogo 1937), ove figurò con una datazione agli inizi del XVI secolo. In previsione della vendita, l’opera venne illustrata nel Burlington Magazine (Notable Works of Art now on the Market, supplemento al mese di dicembre 1936): “The notable example (…) is of a type so rare, that no specimen absolutely corresponding to it is reproduced in Professor Schubring’s stardard work on Cassoni” (2). Nel catalogo d’asta è anche indicata una precedente presenza dell’opera nella collezione di Achillito Chiesa, sebbene non se ne trovi una specifica menzione nel catalogo di vendita della raccolta, tenutasi a New York tra il 1925 e il 1927 (3).
La connessione con la committenza roveresca non sfuggì all’anonimo compilatore della nota pubblicata sulla rivista inglese. Questi ricordava un passo de Li tre libri dell’arte del vasaio, il trattato redatto da Cipriano Piccolpasso da Casteldurante (l’odierna Urbania) alla metà del Cinquecento. Il testo, incentrato sulle tecniche di produzione della ceramica durantina, include anche la descrizione di alcuni motivi decorativi utilizzati dai ceramisti, tra cui le cerquate, ossia ornati in forma di rami di quercia, chiara allusione agli stemmi dei Della Rovere, signori di Urbino nel XVI secolo: “Queste – scrive il Piccolpasso – sono molto in uso a noi per la veneratione et obligo che teneamo alla rovere, all’ombra della quale vivemo lietamente; a tal che si può dir che gli è pittura a l’urbinata” (4). “Possibly we have here a clue, not only to the date of the present Cassone, but also to the local school, whence it issued”, concludeva il testo del Burlington Magazine (Notable Works of Art 1936). Come vedremo, il contesto in cui il cassone venne realizzato non è però quello urbinate, quanto piuttosto quello romano.
I dati araldici e iconografici, così come la pertinenza stilistica dei dipinti ad un momento compreso tra gli ultimi anni del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, permettono di stabilire la committenza specifica dell’opera in predicato. L’evidenza di un galero sul coperchio indirizza verso un cardinale Della Rovere. Due figure di rilievo, sia per il ruolo detenuto sia per il valore della loro committenza, emergono a tale proposito: Domenico Della Rovere (1442 – 1501) (5) e Girolamo Basso Della Rovere (1450 ca. – 1507), nipote quest’ultimo, per parte di madre, di papa Sisto IV (6). Il primo, come è noto, oltre ad essere appassionato bibliofilo, fece affrescare da Bernardino Pintoricchio e dai suoi collaboratori il proprio palazzo romano e la cappella dedicata alla Vergine e a San Girolamo nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma (7); il secondo, in qualità di protettore della Santa Casa di Loreto dal 1477, chiamò in quella sede Melozzo da Forlì e Luca Signorelli per la frescatura delle due sagrestie, poi affidò di nuovo al Pintoricchio e alla sua bottega la decorazione della cappella di cui deteneva il patronato in Santa Maria del Popolo (8). Lo stemma di Domenico, quale lo vediamo nella sua cappella in questa chiesa e nei manoscritti da lui raccolti, è generalmente accompagnato dalle iniziali S. D., allusive al suo motto personale Soli Deo, e dalla croce (9), assenti nello stemma dipinto nel cassone qui presentato. Quest’ultimo, caratterizzato dall’evidenza di due triangoli con le punte convergenti sui lati del fusto dell’albero di quercia, è in tal modo coerente con le insegne proprie di Girolamo Basso della Rovere: quelle apposte in vari luoghi della basilica lauretana, nel frontespizio del Cerimoniale romano della Biblioteca Nazionale di Torino (ms. E. II. 14, f. 1r), nella cappella sopra citata, nonché nel monumento sepolcrale realizzato da Andrea Sansovino entro il 1509, posto nella cappella maggiore della stessa chiesa di Santa Maria del Popolo (10). Un dato non trascurabile è anche il fatto che i colori presenti sullo sfondo della decorazione a pastiglia lungo la fronte del cassone (rosso, celeste, verde) siano i medesimi che distinguono lo stemma del cardinale nella pagina miniata del manoscritto torinese appena menzionato.
Tale proposta in merito alla commissione dell’opera implica una datazione che non potrà spingersi oltre il 1507, data di morte del cardinale. Essa converge, concordemente con i dati stilistici, verso un’esecuzione nei primi anni del Cinquecento. Le figure delle Virtù, poste in primo piano al di qua di un paesaggio punteggiato di esili alberelli e cespugli, si caratterizzano per le teste minute poggianti su corpi fasciati da ampi panneggi, rivolti di tre quarti in una leggera torsione. Esse sono testimonianza di quel ‘protoclassicismo’ diffuso tra Umbria e Lazio da Bernardino Pintoricchio e dai suoi seguaci, diramatosi anche a Siena a seguito dell’attività dell’artista nel Duomo e altrove (1503-1509 circa); nella complessità delle pose, così come nell’espansione dei volumi, annunciano le soluzioni messe in atto da Raffaello tra il 1505 e il 1510. Alla radice vi sono esiti di Pintoricchio quali la Madonna del latte di Houston (1492) (11), ma le relazioni stilistiche più intense si colgono, a mio avviso, con l’attività dell’artista umbro e dei suoi collaboratori in alcuni importanti cantieri pittorici del primo decennio del Cinquecento, tra cui gli affreschi della già citata cappella Basso della Rovere in Santa Maria del Popolo (12). La critica è ormai concorde nel ritenere l’impresa opera in cui il maestro interviene in maniera parziale, delegando a suoi aiuti (che sembrano essere i medesimi attivi poco dopo nella Libreria Piccolomini del Duomo senese) l’esecuzione di composizioni di cui egli fornisce i disegni. Si vedano, ad esempio, gli angeli dell’Assunzione della Vergine affrescata nella cappella Basso della Rovere, che gli studi recenti attribuiscono al senese Giacomo Pacchiarotto (13), o le Sibille, che dovrebbero spettare al solo Pintoricchio, dipinte ormai al limite del decennio nella volta della cappella maggiore della stessa basilica di Santa Maria del Popolo (14). Una simile intonazione classicheggiante compare nelle raffigurazioni mitologiche contenute nel soffitto (oggi esposto al Metropolitan Museum of Art di New York) proveniente da Palazzo Petrucci a Siena e licenziato dalla bottega del Pintoricchio nello stesso frangente (1509 circa) (15). Fiorella Sricchia Santoro ha riconosciuto in via di ipotesi la partecipazione di Girolamo Genga e Giacomo Pacchiarotto in tale decorazione (16). Dell’atelier del Pintoricchio fece parte in quegli anni anche Girolamo del Pacchia, cui la studiosa ha attribuito alcune Virtù (Siena, Pinacoteca Nazionale) (17) che pure manifestano un’analogia di esiti figurativi con i dipinti del cassone in esame.
Benché di delicata fattura, le immagini delle Virtù mostrano un certo impoverimento della materia pittorica; e, d’altra parte, la composizione della bottega pintoricchiesca appare così complessa e articolata, ma anche soggetta ad alcuni dispareri da parte della critica, che risulterebbe azzardato fissarsi su uno specifico nome di riferimento in merito all’autografia dei dipinti. Alcuni decenni dopo la sua realizzazione il cassone fu poi oggetto di un intervento in merito alla decorazione, poiché gli ornati vegetali dipinti lungo lo zoccolo e i fianchi, pur denotando una matrice stilistica cinquecentesca, sembrano di esecuzione più tarda rispetto alle immagini delle Virtù.
Negli ultimi decenni del Quattrocento e nel primo del secolo seguente Santa Maria del Popolo costituì un polo fondamentale della committenza roveresca, che si attuò nelle opere condotte da Pintoricchio e dalla sua bottega. Gli stessi elementi – casato committente e bottega di pittori – che si ripresentano nel cassone qui preso in esame.


1 C. Ripa, Iconologia, Padova 1618, ed. a cura di P. Buscaroli, Milano 1992, p. 50.
2 Il riferimento è, ovviamente, a P. Schubring, Cassoni. Truhen und Truhenbilder der Italienischen Frührenaissance. Ein Betrag zur Profanmalerei im Quattrocento, 2 voll., Leipzig 1915 (II ed. Leipzig 1923). Il testo della nota apparsa sul Burlington Magazine venne poi riprodotto nel catalogo di vendita della collezione Agosti Mendoza (Botta 1936).
3 The Achillito Chiesa Collection (New York, American Art Galleries), 4 voll., New York 1925-1927. Le descrizioni e le misure dei cassoni inclusi nella III parte, dedicata alle arti applicate, non concordano con il cassone qui illustrato, il quale non è neppure incluso nelle parti I-II, dedicate ai dipinti italiani.
4 C. Piccolpasso, Li tre libri dell’arte del vasaio (metà XVI sec.), ed. a cura di G. Conti, Firenze 1976, p. 205.
5 Fr.Ch. Uginet, Della Rovere, Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 37, Roma 1989, pp. 334-337.
6 M. Leopardi, Serie dei vescovi di Recanati, Recanati 1828, pp. 175-178; G. De Caro, Basso della Rovere, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Roma 1965, pp. 152-153.
7 P. Scarpellini, in P. Scarpellini, M.R. Silvestrelli, Pintoricchio, Milano 2003, passim.
8 Per la committenza di Girolamo Basso della Rovere a Loreto, si veda, in generale, D. Frapiccini, Il cardinale Girolamo Basso della Rovere e la sua cerchia tra contesti marchigiani e romani, in “Quasi oculi et aures ac nobilissimae sacri capitis partes”, a cura di M. Gallo, Roma 2001, pp. 9-23; sulle opere di Signorelli e Melozzo: G. Kury, the Early Work of Luca Signorelli: 1465-1490, Ph.D. thesis, New York-London 1978, pp. 148-158; L.B. Kanter, T. Henry, Luca Signorelli, München 2002, pp. 106-109, 163-165; D. Benati, Melozzo da Loreto a Forlì, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello, catalogo della mostra di Forlì a cura di D. Benati, M. Natale, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2011, pp. 77-93. Su Santa Maria del Popolo, si veda infra e le note 12-13.
9 A. Quazza, La committenza di Domenico della Rovere nella Roma di Sisto IV, in Domenico della Rovere e il Duomo Nuovo di Torino. Rinascimento a Roma e in Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1990, pp. 13-40; S. Pettenati, La biblioteca di Domenico della Rovere, ivi, pp. 41-106.
10 G. Fattorini, Andrea Sansovino, Trento 2013, pp. 77-80, 198-225. Per gli stemmi presenti nella Basilica di Loreto, si veda Frapiccini, Il cardinale cit., p. 12; per quello miniato nel Cerimoniale romano della Biblioteca Nazionale di Torino: G.C. Alessio, Per la biografia e la raccolta libraria di Domenico della Rovere, in “Italia medioevale e umanistica”, XXVII, 1984, p. 210; Quazza, La committenza cit., p. 24 nota 50; Pettenati, La biblioteca cit., p. 64.
11 Cfr. Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., p. 154.
12 Tale decorazione è stata in genere datata entro il 1492, ma diversi studiosi sostengono di recente una datazione più inoltrata, nei primi anni del nuovo secolo (Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 202, 221; A. Angelini, Pinturicchio e i suoi: dalla Roma dei Borgia alla Siena dei Piccolomini e dei Petrucci, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A. Angelini, Cinisello Balsamo 2005, pp. 522-523; F. Gualdi, Pintoricchio e collaboratori nelle cappelle della navata destra, in Santa Maria del Popolo. Studi e restauri, a cura di I. Miarelli e M. Richiello, I, Roma 2009, p. 273). Pensa ad una data più antica, entro il 1484, quando la cappella venne dotata dal cardinale, C. La Malfa, Pintoricchio a Roma. La seduzione dell’antico, Cinisello Balsamo 2009, p. 73. 
13 Ossia al Maestro della Cappella Basso della Rovere, che F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I, Milano 1989, p. 111, identificava in via ipotetica nel giovane Pacchiarotto. Si vedano quindi Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 248-249; Angelini, Pinturicchio cit., pp. 522-523; Gualdi, Pintoricchio cit., p. 288.
14 Questi affreschi sono più tardi rispetto a quella della cappella Basso Della Rovere e dovrebbero situarsi nel 1509-1510 (Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 241-242, 276-277).
15 F. Zeri, E.E. Gardner, Italian Paintings. A catalogue of the Collection of the Metropolitan Museum of Art. Sienese and Central Italian Schools, Vicenza 1980, pp. 67-69.
16 F. Sricchia Santoro, ‘Ricerche senesi’. 2. Il Palazzo del Magnifico Pandolfo Petrucci, in “Prospettiva”, 1982, 29, pp. 24-27, seguita da A. Angelini, Giacomo Pacchiarotti, seguace del Pinturicchio a Siena, in R. Browning, Del Pacchiarotto e di come lavorò a fresco, a cura di P. Petrioli, Siena 1994, p. 95; Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli Pintoricchio cit., pp. 276-277, per quanto riguarda alla partecipazione del Pacchiarotto.
17 F. Sricchia Santoro, ‘Ricerche senesi’. 1. Pacchiarotto e Pacchia, in “Prospettiva”, 1982, 29, p. 16.


Bibliografia
:
Notable Works of Art on the Market, in “The Burlington Magazine”, LXIX, 1936, Advertisement supplement (month of December), plate VI;
G. Botta, La collezione Agosti e Mendoza, Milano-Roma 1936, cat. 139, tav. CXI;
Catalogo della vendita all’asta della collezione Agosti e Mendoza (Milano, Galleria, Pesaro, 25-29 gennaio 1937), Milano 1937, p. 17 cat. 139.


Mauro Minardi


The cassone we are here presenting has a protruding base, composed of four wooden boards and therefore hollow, which opens at the sides in trefoil arches. The lid is rounded and also slightly protruding.
The decoration involves the front panel, the sides and the lid. A luxuriant plant motif made of interwined scrolls that terminate with acorns, mostly in groups of three (as an allusion to the three depicted Virtues), runs along the main side of the chest. This motif is made of gilded and dotted pastiglia in relief, which renders the venation pattern of every leaf, and the grainy consistency of the cupule of each single fruit. The background of the decoration is painted in red, pale blue and green; and the same colours alternate along the entire frontal panel. The branches are woven so as to create three oval openings, each occupied by the figure of a Virtue. The first from the left is Charity (a female figure holding two small children and offering them her milk), the second one, in the centre, is Faith (a female figure contemplating the cross she’s holding in her right hand and pointing at it with her left), while the third one, on the far right, is not to be identified as Hope, the third of the Theological Virtues with Faith and Charity, but more likely as Chastity. The figure, seated on a marble seat like her companions, has a whip with tails in her right hand and looks towards the attribute she is holding in her left: at first sight, this round-shaped object may look like a mirror, that would have been, however, slimmer and equipped with a handle, in normal Renaissance style. It is more probably a small sieve, one of the iconographical attributes, along with the whip, of Chastity, as stated by Cesare Ripa at the beginning of the 17th century (1). 
The painted decoration continues along the base and on the sides of the chest and of the lid, where another elaborate and elegant plant ornamentation unravels against a pale red background and comes to an end on the lid, at the centre of which the emblem of the Della Rovere family (an oak encircled by fruiting garlands with fluttering ribbons on either side), topped with a cardinal’s hat, is represented. This heraldic reference is repeated in the aforementioned pastiglia decoration, the oak branches with acorns being amongst the most common iconographical elements of this family, at the turn of the 16th century.
The chest we are here examining is an exquisite, and practically unknown, example of the patronage of the Della Rovere family during the Renaissance. It belonged to the Agosti Mendoza collection in Milan and appears in the catalogue of the sale of the collection, which was put up for auction in 1937 (Botta 1936; Catalogo 1937); it was there dated to the beginning of the 16th century. In view of the sale, the work was illustrated in the Burlington Magazine (Notable Works of Art now on the Market, in the supplement from December 1936): “The notable example (…) is of a type so rare, that no specimen absolutely corresponding to it is reproduced in Professor Schubring’s stardard work on Cassoni” (2). The previous presence of the chest in the Achillito Chiesa collection is reported in the auction catalogue: there is not, however, any specific mention in the catalogue of the sale of this collection, which took place between 1925 and 1927 (3).
The connection to the Della Rovere patronage did not elude the anonymous author of the text in the English magazine, who reported a passage from the Li tre libri dell’arte del vasaio, a treatise by Cipriano Piccolpasso da Casteldurante (today Urbania) in the mid-16th century. The latter text, which focused on pottery production techniques in his home town, also includes the description of several decorative motifs used by potters, such as the cerquate, an ornamentation in the form of oak branches, a clear allusion to the coats of arms of Della Rovere, lords of Urbino in the 16th century: “These – wrote Piccolpasso – are here much used due to the veneration and obligation towards the oak, under the shade of which we joyfully live; to the point that it can be defined Urbino style painting” (4). “Possibly we have here a clue, not only to the date of the present Cassone, but also to the local school, whence it issued”, was the conclusion of the text in the Burlington Magazine (Notable Works of Art 1936). As we will see, the context in which the cassone was created is not, however, that of Urbino, but rather of Rome.
The heraldic and iconographical elements, as well as the style of the paintings, distinctive of a moment somewhere between the last years of the 15th century and the beginning of the 16th, allows us to determine the patronage of the work we are here analyzing. The presence of a galero on the lid leads us in the direction of a cardinal of the Della Rovere family, and two figures in particular stand out for the role they held and for the importance of their patronage: Domenico Della Rovere (1442 – 1501) (5) and Girolamo Basso Della Rovere (circa 1450 – 1507), the latter the nephew, on his mother’s side, of Pope Sixtus IV (6). As is known, the former, besides being a passionate bibliophile, commissioned Bernardino Pintoricchio and his collaborators with the fresco decoration of his Roman palace and of the chapel dedicated to the Virgin and Saint Jerome in the Basilica of Santa Maria del Popolo in Rome (7); the latter, acting as protector of the Holy House of Loreto from 1477, summoned Melozzo da Forlì and Luca Signorelli to fresco the two sacristies, and then once again Pintoricchio and his workshop to decorate the chapel he had the patronage of in Santa Maria del Popolo (8).
Domenico’s crest, which we see in his chapel in the Roman church and in the manuscripts he collected, usually comes with the initials S. D., allusive to his personal motto Soli Deo, and the cross (9), which are missing in the coat of arms painted on our cassone. This crest, characterized by two triangles with convergent tips at the sides of the trunk of the oak tree, is consistent with the insignia of Girolamo Basso della Rovere: the coats of arms found in several parts of the basilica in Loreto, on the title page of the Cerimoniale romano in the Biblioteca Nazionale in Turin (ms. E. II. 14, f. 1r), in the aforementioned chapel, as well as in the funerary monument executed by Andrea Sansovino before 1509 in the main chapel of the same church of Santa Maria del Popolo (10). It is also significant that the background colours of the pastiglia decoration on the front panel of the cassone (red, pale blue, green) are the same as those in the cardinal’s coat of arms in the illuminated page of the above mentioned manuscript in Turin.
This hypothesized patronage of the work, in accordance with the style, implies a dating to the first years of the 16th century, but no later than 1507, year of the cardinal’s death. The figures of the Virtues in the foreground, in front of a landscape dotted with small slender trees and bushes, are characterized by tiny heads on bodies wrapped in loose robes, turning slightly in a three-quarter pose. They are an example of the ‘protoclassicism’ that Bernardino Pintoricchio and his followers popularized between Umbria and Lazio, that spread also to Siena following the artist’s activity there in the Duomo and elsewhere (circa 1503 - 1509); the complex postures and the expansiveness of the volumes speak of the solutions put to use by Raphael between 1505 and 1510. At the basis of this there are works by Pintoricchio such as the Nursing Madonna in Houston (1492) (11), but the strongest stylistic connections can be found, in my opinion, in the activity of the Umbrian artist and of his collaborators in several important commissions from the first decade of the 16th century, such as the frescoes in the aforementioned Basso della Rovere chapel in Santa Maria del Popolo (12). Today the critics agree that the intervention of the artist was only limited, and that he delegated his pupils (which were probably the same that not much later worked in the Piccolomini Library in the Duomo of Siena) with the execution of compositions for which he supplied the drawings. See, for example, the angels of the Annunciation of the Virgin frescoed in the Basso della Rovere chapel, that recent studies attribute to the Sienese Giacomo Pacchiarotto (13), or the Sibyls, which were probably painted by Pinturicchio himself on the vault of the main chapel in the same basilica of Santa Maria del Popolo, at the end of the decade (14). A similar classical tone is detectable in the mythological scenes on the ceiling from Palazzo Petrucci in Siena (now on view in the Metropolitan Museum of Art of New York), executed by Pintoricchio’s workshop on the same occasion (circa 1509) (15). Fiorella Sricchia Santoro suggested recognizing the participation of Girolamo Genga and Giacomo Pacchiarotto in this decoration (16). In those years Girolamo del Pacchia was also a member of Pintoricchio’s atelier: to him the scholar attributed several Virtues (Siena, Pinacoteca Nazionale) (17) that also show stylistic features comparable to the paintings in the cassone we are here analyzing.
Though of delicate craftsmanship, the painted surface of the Virtues appears a little worn; and as the composition of Pintoricchio’s workshop was complex and articulated, and the opinions of the critics on it sometimes disagree, it would be unwise to venture a guess at a precise name for the authorship of the paintings. Several decades after its execution, the decoration of the cassone was modified, as revealed by the plant ornamentation painted along the base and on the sides, which, though stylistically coherent with the 16th century, would seem, compared to the figures of the Virtues, of a later execution. 
In the last decades of the 15th century and in the first of the following, Santa Maria del Popolo was the main centre of the Della Rovere patronage, which consisted in the works conducted by Pintoricchio and his workshop. The same elements – patron and workshop – appear again in the chest we are here presenting.

1 C. Ripa, Iconologia, Padova 1618, edited by P. Buscaroli, Milano 1992, p. 50.
2 It obviously refers to P. Schubring, Cassoni. Truhen und Truhenbilder der Italienischen Frührenaissance. Ein Betrag zur Profanmalerei im Quattrocento, 2 voll., Leipzig 1915 (II ed. Leipzig 1923). The text that appeared in the Burlington Magazine was later repeated in the sale catalogue of the Agosti Mendoza collection (Botta 1936).
3 The Achillito Chiesa Collection (New York, American Art Galleries), 4 voll., New York 1925-1927. The descriptions and the sizes of the cassoni included in the 3rd part, dedicated to applied arts, do not correspond to the cassone we are here examining, which appears neither in the 1st section nor in the 2nd, dedicated to Italian painters.  
4 C. Piccolpasso, Li tre libri dell’arte del vasaio (mid-16th century), edited by G. Conti, Firenze 1976, p. 205.
5 Fr.Ch. Uginet, Della Rovere, Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 37, Roma 1989, pp. 334-337.
6 M. Leopardi, Serie dei vescovi di Recanati, Recanati 1828, pp. 175-178; G. De Caro, Basso della Rovere, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Roma 1965, pp. 152-153.
7 P. Scarpellini, in P. Scarpellini, M.R. Silvestrelli, Pintoricchio, Milano 2003, passim.
8 For the patronage of Girolamo Basso della Rovere in Loreto, see, for general reference, D. Frapiccini, Il cardinale Girolamo Basso della Rovere e la sua cerchia tra contesti marchigiani e romani, in “Quasi oculi et aures ac nobilissimae sacri capitis partes”, edited by M. Gallo, Roma 2001, pp. 9-23; on the works by Signorelli and Melozzo: G. Kury, The Early Work of Luca Signorelli: 1465-1490, Ph.D. thesis, New York-London 1978, pp. 148-158; L.B. Kanter, T. Henry, Luca Signorelli, München 2002, pp. 106-109, 163-165; D. Benati, Melozzo da Loreto a Forlì, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello, catalogue of the exhibition in Forlì, edited by D. Benati, M. Natale, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2011, pp. 77-93. On Santa Maria del Popolo, see infra and notes 12-13.
9 A. Quazza, La committenza di Domenico della Rovere nella Roma di Sisto IV, in Domenico della Rovere e il Duomo Nuovo di Torino. Rinascimento a Roma e in Piemonte, edited by G. Romano, Torino 1990, pp. 13-40; S. Pettenati, La biblioteca di Domenico della Rovere, ivi, pp. 41-106.
10 G. Fattorini, Andrea Sansovino, Trento 2013, pp. 77-80, 198-225. For the coats of arms in the Holy House of Loreto, see Frapiccini, Il cardinale cit., p. 12; for that illuminated in the Cerimoniale romano in the Biblioteca Nazionale di Torino: G.C. Alessio, Per la biografia e la raccolta libraria di Domenico della Rovere, in “Italia medioevale e umanistica”, XXVII, 1984, p. 210; Quazza, La committenza cit., p. 24 note 50; Pettenati, La biblioteca cit., p. 64.
11 See Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., p. 154.
12 This decoration has been generally dated to before 1492, but several scholars have recently suggested a later dating, to the first years of the following century (Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 202, 221; A. Angelini, Pinturicchio e i suoi: dalla Roma dei Borgia alla Siena dei Piccolomini e dei Petrucci, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, edited by A. Angelini, Cinisello Balsamo 2005, pp. 522-523; F. Gualdi, Pintoricchio e collaboratori nelle cappelle della navata destra, in Santa Maria del Popolo. Studi e restauri, edited by I. Miarelli e M. Richiello, I, Roma 2009, p. 273). An earlier dating, to before 1484, when the chapel was endowed by the cardinal, is proposed by C. La Malfa, Pintoricchio a Roma. La seduzione dell’antico, Cinisello Balsamo 2009, p. 73. 
13 Intending the Maestro della Cappella Basso della Rovere, that F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I, Milano 1989, p. 111, hypothetically identified with the young Pacchiarotto. See therefore Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 248-249; Angelini, Pinturicchio cit., pp. 522-523; Gualdi, Pintoricchio cit., p. 288.
14 These frescoes are from a later date compared to those in the Basso Della Rovere chapel, and should be dated to the years 1509-1510 (Scarpellini, Silvestrelli, Pintoricchio cit., pp. 241-242, 276-277).
15 F. Zeri, E.E. Gardner, Italian Paintings. A catalogue of the Collection of the Metropolitan Museum of Art. Sienese and Central Italian Schools, Vicenza 1980, pp. 67-69.
16 F. Sricchia Santoro, ‘Ricerche senesi’. 2. Il Palazzo del Magnifico Pandolfo Petrucci, in “Prospettiva”, 1982, 29, pp. 24-27, followed by A. Angelini, Giacomo Pacchiarotti, seguace del Pinturicchio a Siena, in R. Browning, Del Pacchiarotto e di come lavorò a fresco, edited by P. Petrioli, Siena 1994, p. 95; Scarpellini, in Scarpellini, Silvestrelli Pintoricchio cit., pp. 276-277, as regards Pacchiarotto’s partecipation.
17 F. Sricchia Santoro, ‘Ricerche senesi’. 1. Pacchiarotto e Pacchia, in “Prospettiva”, 1982, 29, p. 16.

Literature:
Notable Works of Art on the Market, in “The Burlington Magazine”, LXIX, 1936, Advertisement supplement (month of December), plate VI;
G. Botta, La collezione Agosti e Mendoza, Milano-Roma 1936, cat. 139, tav. CXI;
Catalogo della vendita all’asta della collezione Agosti e Mendoza (Milan, Galleria, Pesaro, 25-29 January 1937), Milano 1937, p. 17 cat. 139.

Mauro Minardi