Importanti Dipinti Antichi

16 APRILE 2014

Importanti Dipinti Antichi

Asta, 0039Part 1
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
ore 15.30
Esposizione

FIRENZE
dal 11 al 14 aprile 2014
orario 10-13 / 14– 19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   700 € - 100000 €

Tutte le categorie

61 - 90  di 165
65

Pittore romano, fine sec. XVII-inizi XVIII

SCENE D'INTERNO CON MUSICI

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 64x47 ciascuno

sul retro etichette iscritte: “Norwich Castle. Painting and Music Exhibition, 1961”

(2)

 

Due ambienti ricavati dall’adattamento di edifici in rovina, tra loro simili anche per illuminazione, ospitano gruppi di popolani intenti a far musica. Mentre tuttavia uno dei dipinti si lega in maniera più esplicita al sotto-genere dell’interno di taverna proprio della bambocciata di origine nordica, la tela compagna sembra voler opporre a quel mondo rustico una situazione più elevata, almeno nelle intenzioni. Solo così può trovarsi ragione della presenza, per altri versi del tutto incongrua, del duo composto da violino e clavicordo ad accompagnare la voce infantile in un concerto niente affatto improvvisato, come mostrano gli spartiti musicali che ne regolano l’esecuzione.

Uno dei fogli di musica esibiti a destra su un barile (ma valorizzati dal panno rosso su cui poggiano) reca addirittura, appena distinguibile, il nome di Arcangelo Corelli: un elemento che consente la datazione del nostro dipinto e del suo compagno tra gli ultimi due decenni del Sei e i primi anni del Settecento, che a Roma videro il massimo successo del compositore dei Concerti Grossi e della Follia.

Sebbene il nome del musicista emiliano non possa riferirsi al concerto qui messo in scena comprendente anche una parte vocale, la sua presenza nel dipinto allude forse, oltre che alla universale reputazione di Corelli quale geniale innovatore nel campo della musica barocca, alla sua consuetudine col mondo dei pittori romani: ne è documento l’inventario della sua collezione, redatto alla sua morte (1713) dall’artista suo amico Bonaventura Lamberti. Vi sono censite, tra l’altro, “bambocciate” di Gerolamo Troppa e di Monsù Bernardo che, a parte il formato, possiamo immaginare non lontane per spirito dai dipinti qui proposti. E’ probabile infine che la figura di suonatore di violone, che fissa lo spettatore bilanciando lo strumento sulla spalla, costituisca un vero e proprio ritratto la cui identificazione varrebbe a chiarire il senso di questa scena, per molti aspetti bizzarra e certamente inconsueta.

Stima   € 12.000 / 18.000
66

Adriaen van Utrecht

(Anversa 1599-1652)

INTERNO DI CUCINA CON FRUTTA, ORTAGGI, SELVAGGINA E AMANTI

olio su tela, cm 143,5x215

firmato e datato “A•VAN•VTRECHT•AN° 1631” in basso al centro sul piano d’appoggio

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Adriaen van Utrecht, dopo aver effettuato il suo apprendistato ad Anversa, effettuò soggiorni in Francia, Germania ed Italia e a partire dal 1625 ritornò ad Anversa dove entrò a far parte della gilda di San Luca.

Nel corso della sua carriera van Utrecht strinse stretti rapporti con molti artisti fiamminghi del suo tempo: sua moglie era la pittrice Constance van Nieulant, figlia di Willem van Nieuland, artista attivo all’inizio del Seicento a Roma. Van Utrecht fu molto apprezzato tra i suoi contemporanei; tra i suoi committenti si ricordano Filippo IV di Spagna, le corti tedesche, austriache e collezionisti italiani.

Adriaen van Utrecht era specializzato nell’esecuzione di ricche nature morte con cacciagione, frutta e verdure di varie dimensioni; secondo la tradizione fiamminga degli ‘interni di cucine’. Il dipinto qui proposto, esemplificativo del genere accurato e descrittivo delle opere dell’artista, costituisce la versione originale, firmata e datata, di altre simili composizioni non autografe già note.

Spesso per l’esecuzione di simili rappresentazioni van Utrecht si avvaleva per le figure della collaborazione di altri artisti quali Jan van der Venne e Theodoor Rombouts e per il nostro dipinto potremmo ipotizzare l’intervento di Jan Cossiers.

Queste Cucine prevedevano talvolta l’inserimento di figure in linea con le analoghe composizioni di Frans Snyders e di Jan Fyt, in cui probabilmente si possono ancora rintracciare significati allegorici che caratterizzano la tradizione delle Cucine nordiche del Cinquecento anche se nelle nature morte di van Utrecht sembra dominare il senso di abbondanza e di benessere.

Tra le varie composizioni di analogo soggetto si segnala una versione conservata presso la National Historical Society di New York (NYHS 1857.7) ed altre due copie del dipinto da noi presentato: una passata sul mercato antiquario londinese nel 2012 (olio su tela, cm 151x210) e una su quello parigino nel 2006 (olio su tela, cm 150x230).

Stima   € 50.000 / 70.000
69

Astolfo Petrazzi

(Siena 1580-1653)

CUCINIERA CON GARZONE, CACCIAGIONE, FRUTTA, VEGETALI E UN PESCE

CUCINIERA CON FIGURA VIRILE, SELVAGGINA, CARNI E SALUMI

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 114x168; cm 108,5x161,5

(2)

 

Bibliografia: E. Avanzati, Astolfo Petrazzi, in La natura morta in Italia, a cura di F. Zeri, Milano 1989, II, p. 541, fig. 644 p. 542; E. Avanzati, Astolfo Petrazzi e la natura morta a Siena nella prima metà del Seicento, catalogo della mostra a cura di Pierluigi Carofano, Pisa 2005, pp. CCXV-CCXXVI fig. 7; M. Ciampolini, Astolfo Petrazzi, in Pittori senesi del Seicento, II, Siena 2010, pp. 573, 579.

 

Le opere qui presentate, da considerarsi esemplificative e caratteristiche del genere degli interni di cucine eseguiti da Astolfo Petrazzi, sono provenienti da una nobile dimora senese e collocabili alla fine del quarto decennio del Seicento. Il primo dipinto raffigurante Cuciniera con garzone, cacciagione, frutta, vegetali e un pesce risulta già noto alla critica attraverso i contributi di Elisabetta Avanzati (1989 e 2005) e pubblicato in pendant con quello raffigurante Cuciniera con cacciagione, frutta e vegetali, in origine proveniente probabilmente anch’esso dalla medesima raccolta e successivamente passato in collezione privata fiorentina (Avanzati 1989, II, fig. 645 p. 543). Risulta invece inedito l’altro dipinto che qui presentiamo raffigurante Cuciniera con figura virile, selvaggina, carni e salumi.

Astolfo Petrazzi, figura centrale della pittura senese, oltre alle sue numerose opere di destinazione pubblica svolse, come testimoniano le fonti, una vasta attività per i committenti privati che comprendeva anche molte tele raffiguranti nature morte. Tali opere di destinazione privata costituiscono una parte importante della produzione dell’artista che raggiunse un indiscusso primato a Siena in questo genere.

Questa sorta di specializzazione, che lo rendeva noto anche fuori città, è documentata da una lettera del principe Mattias de’ Medici inviata da Siena il 15 maggio 1630 al fratello Giovan Carlo, dalla quale risulta che quest’ultimo aveva ordinato due quadri con strumenti musicali proprio ad Astolfo, definito artista di genere superiore persino a Rutilio Manetti. I dipinti con figure e brani di natura morta, eseguiti dal pittore e collocabili tra il secondo e il quinto decennio del Seicento, ci danno pertanto conferma della notizia documentaria sopracitata e accertano lo svolgersi di questa particolare attività di Petrazzi in parallelo a quella delle commissioni pubbliche.

Una lettera di Giulio Mancini informa della presenza del pittore a Roma nel 1619 dove il suo soggiorno è attestato con continuità fino al 1622, proseguito probabilmente secondo le fonti fino all’inizio del decennio successivo. Il periodo romano fu importante per lo sviluppo artistico di Petrazzi che da un lato si interessò alle programmatiche descrizioni del reale proprie del naturalismo, realizzando opere come la Suonatrice di liuto, dall’altro fu influenzato dagli allestimenti di merende rustiche e tavole imbandite con l’intento di presentazione attraente del cibo, tipiche della produzione fiamminga, nonché di quella padana ravvisabili ad esempio nelle opere di Vincenzo Campi e di Bartolomeo Passerotti. Fra i pittori romani che ispirarono maggiormente Petrazzi per le sue composizioni si ricordano Tommaso Salini, Pietro Paolo Bonzi detto il Gobbo dei Carracci e il Maestro Acquavella. La notevole considerazione raggiunta dal pittore è testimoniata dalla sua ammissione ad una riunione dell’Accademia di San Luca del 26 giugno 1626, presieduta da Simon Vouet e alla quale parteciparono numerosi artisti di spicco tra cui Orazio Riminaldi, Giovanni Baglione e Théophile Bigot.

Aspetto non trascurabile per lo sviluppo del collezionismo di nature morte in Toscana è costituito dalla richiesta, a partire dal secondo decennio del Seicento, da parte di Cosimo II di tele con nature morte fatte spedire a Firenze da Roma. Alla luce di ciò trova ragione l'inizio, in età ormai tarda, della produzione di quadri di genere da parte di Jacopo da Empoli a cui Petrazzi guardò soprattutto per la rappresentazione degli animali appesi in bell’ordine o collocati sulla tavola. Rispetto tuttavia agli esempi empoleschi il pittore senese operò una più libera disposizione degli animali e dei vegetali, meno simmetrica e regolare, dando un taglio più naturale alle scene e realizzando composizioni più articolate e ricche.

 

I due dipinti qui presentati riflettono pienamente i vari riferimenti attinti dal pittore dalla cultura artistica nordica, sia fiamminga che padana, coniugata agli esempi della pittura morta romana e di quella toscana.

La giovane cuciniera del primo dipinto qui proposto viene raffigurata intenta a preparare il pesce su una tavola con frutta e ortaggi, assistita da un giovane garzone, all’interno di una ricca dispensa nella quale sono appesi selvaggina e pollami. Sulla destra vengono raffigurati i commensali che si apprestano a consumare le pietanze appena preparate, quasi memorie anche nella rappresentazione della piattaia della cultura artistica nordica e dei Bassano, sullo sfondo uno scorcio di paesaggio con borgo. Come in tutte le opere di questo genere ricorre il medesimo taglio compositivo con le figure a mezzo busto e il sottostante tavolo che delimita la parte inferiore del dipinto, impostazione che ritroviamo quindi sia nel pendant sopracitato di collezione privata fiorentina sia nel secondo dipinto qui proposto in vendita raffigurante Cuciniera con figura virile, selvaggina, carni e salumi.

In quest’ultima opera che rappresenta un momento successivo a quello della preparazione del pasto viene raffigurata una giovane cuoca che lava i piatti con accanto una figura maschile intenta a mescere il vino, sul piano di lavoro sono disposti in bella mostra salumi, ortaggi, frutti di bosco, pane, carni e alle pareti della cucina selvaggina appesa. Anche nella presente tela si scorge uno sfondo di paesaggio allusivo ad una ambiguità tra interno ed esterno che si richiama alla tradizione della pittura veneta. Nelle due composizioni l’attenzione non è rivolta puramente agli oggetti ma anche all’ambiente e alle figure umane in azione che conferiscono un tono narrativo alla scena.

Stima   € 50.000 / 70.000
72

David De Coninck

(Anversa 1636/46-Bruxelles 1701/05)

COMPOSIZIONE DI FRUTTA CON VASO E FONTANA CON TRITONE IN UN GIARDINO

olio su tela, cm 140x115

 

Provenienza: collezione privata, Bologna

 

Specializzato in nature morte, paesaggi con animali e scene di caccia, David de Conick fu allievo di Peter Boel (Anversa 1622-Parigi 1674) e a partire dal 1659 fu influenzato dai dipinti di Jan Fyt (Anversa 1611-1661). Visse a Parigi probabilmente fino al 1669 e successivamente a Roma tra il 1671 e il 1694 dove divenne membro della Bentvueghels, associazione di artisti fiamminghi e tedeschi, con il soprannome di Rammelear. Dopo essere ritornato ad Anversa nel 1687 si trasferì a Bruxelles dove nel 1701 divenne membro della gilda di San Luca.

Nel dipinto qui presentato, la raffinata natura morta di melograni, pesche, melone e uva collocata in primo piano, al di sotto di un basamento sormontato da un vaso con coperchio, si staglia sullo sfondo di un giardino con fontana con tritone ed altre sculture. Tale composizione ritorna molto simile nella Natura morta di frutti e fiori con due animali del Musée Fesch di Ajaccio in cui oltre alla frutta compare un vaso di fiori, collocati sempre in primo piano sullo sfondo di un giardino con viale alberato e fontana. Maggiori e più stringenti affinità compositive si riscontrano con la Natura morta di frutta, melone e melograni, asta Sotheby's Amsterdam,13 novembre 2007, in cui la composizione di frutta e il basamento con vaso ricorrono quasi identici al nostro dipinto. Si ripetono inoltre alcuni elementi come il recipiente e la brocca in metallo sbalzato (posizionati questa volta sulla sinistra), la fontana con tritone e il medesimo scorcio di viale alberato.

 

Bibliografia di confronto: L. Laureati, David de Coninck, in La natura morta in Italia, II, pp. 802-807

Stima   € 35.000 / 45.000
73

Attribuito ad Abraham Brueghel (Anversa 1631-Napoli 1697) e artista napoletano del XVII secolo

FIGURA FEMMINILE CON COMPOSIZIONE DI FRUTTA E FIORI SU UNO SFONDO DI PAESAGGIO

olio su tela, cm 99,5x99,5

 

Provenienza: collezione privata, Parma

 

Si deve ad Abraham Brueghel, trasferitosi a Napoli nel 1675 dopo un soggiorno romano durato circa quindici anni, la diffusione nella capitale del Regno di nuovi modelli compositivi per la natura morta che in breve valsero a trasformare in senso decorativo e barocco un genere che fino a quel momento aveva serbato l’impronta fortemente realistica che ne aveva segnato le origini.

E’ appunto con Brueghel, infatti, che le “mostre” di frutta autunnale ed estiva, ora accompagnate da fiori variopinti raccolti in vasi o intrecciati in festoni e ghirlande si dispongono all’aperto, sugli sfondi di paesaggio o di giardino che fin dalla metà del secolo avevano caratterizzato le composizioni romane. Per la prima volta, figure femminili di altra mano intervengono a conferire un senso narrativo o allegorico alla composizione. Se a Roma Brueghel aveva spesso lavorato con Guglielmo Cortese, a Napoli sembra muoversi in contiguità con il giovane Francesco Solimena, in città dal 1674. Alla loro collaborazione spettano ad esempio le splendide scene di giardino a Genova in palazzo Pallavicino, databili nei primi anni Ottanta e ampiamente replicate a dimostrazione del successo incontrato presso i collezionisti napoletani (cfr. L. Trezzani, in Il Palazzo Pallavicino e le sue raccolte, a cura di P. Boccardo e A. Orlando, Torino 2009, pp. 118-19, I 8).

La composizione di frutta e fiori del dipinto qui proposto po’ essere messa in relazione con opere napoletane del pittore fiammingo quali la tela firmata e datata 1675 e quella in collezione Astarita, sebbene mostri una qualità esecutiva leggermente più contenuta, mentre acquista invece particolare rilievo la figura femminile che si volge, quasi sorpresa e dimentica della frutta appena raccolta. Una sontuosa figura di donna che nelle carni compatte e i panneggi fluenti ben si accorda con la cifra solimenesca verso la fine del secolo, contribuendo a fissare per il nostro dipinto una datazione verso la fine del percorso di Abraham Brueghel.

Stima   € 25.000 / 35.000
82
Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
88

Pietro Bartolomeo Cittadella

(Vicenza 1636-1704)

ALLEGORIA DEL TEMPO

olio su tela, cm 105x141 entro antica cornice intagliata a motivo di nastro dipinta e dorata

 

Pietro Bartolomeo Cittadella, nato a Vicenza il 23 luglio 1636, abbandonò presumibilmente verso i trent’anni la sua città natale per stabilirsi a Verona dove la sua presenza è documentata tra il 1669 e il 1672, ma non è da escludersi la sua permanenza in città fin verso la fine dell’ottavo decennio. Indice del notevole prestigio ottenuto è il fatto che venisse annoverato tra i diciannove “Signori Academici Pittori Veronesi” e dalle numerose opere commissionategli ed esistenti nelle chiese veronesi fino all’Ottocento. Non è possibile valutare concretamente gli effetti di una adesione, peraltro storicamente probabile, del Cittadella presso la bottega carpionesca, come sostiene la storiografia artistica, perché nulla si conosce della sua attività precedente il trasferimento a Verona. Gli esiti di un alunnato presso il Carpioni infatti a malapena si scorgono nell’uso dei colori acidi e freddi e nel ricercato accostamento di tinte complementari.

A seguito del rientro a Vicenza, grazie alle diverse commissioni cittadine come la decorazione del fregio della chiesa di Santa Caterina, il pittore ebbe modo d’incontare a partire dal 1675 alcuni dei più rappresentativi artisti del Seicento veneto come Antonio Zanchi, Andrea Celesti e Pietro Vecchia. Cittadella partecipò inoltre alla decorazione del paramento presbiteriale del Duomo (1679-1682) che aveva come soggetto la Leggenda della Santa Croce e alcuni episodi biblici, in cui lavorò al fianco di Antonio Zanchi, Carl Loth e Andrea Celesti. Tale vicinanza contribuì a determinare l’immediata adesione di Cittadella alle sollecitazioni dello Zanchi, provando a inscenare composizioni dalla enfatica e grandiosa drammaticità, ottenuta attraverso la tecnica degli sbattimenti chiaroscurali, intesi a evidenziare, con crudo realismo i dettagli anatomici e le espressioni dei volti, mostrando di aderire alle novità importate dai “tenebrosi”. In una delle opere di Cittadella per il già citato paramento Civran quale il Serpente di bronzo (Vescovado, Vicenza), nel quale la narrazione è articolata in modo dinamico e complesso, è possibile notare la vicinanza con artisti come Pietro Liberi tanto che il dipinto venne riferito da C.N. Cochin (Voyage d’Italie, 1758, Paris 1779, III, p. 172) a Liberi stesso. Oltre a Liberi anche Celesti contribuì alla maturazione stilistica del pittore che, di pari passo ad una progressiva decantazione degli elementi di matrice più rudemente tenebrosa, si andava orientando, verso un chiarismo di timbro profondo e pittorico, esprimentesi per il tramite di un colore fluido e vellutato. Nella parte più avanzata della sua attività Cittadella volge il suo fare pittorico verso uno stile più morbido e amabile che preannuncia un trapasso verso il gusto arcadico e rococò in cui si possono collocare i dipinti raffiguranti “favole mitologiche” richieste dalla nobile committenza con sempre maggiore frequenza.

A questa fase si può ricondurre la prima delle due opere del pittore vicentino qui proposte raffigurante l’Allegoria del Tempo in cui anche l’avvenente figura femminile dalle ciocche ricadenti sulla spalla, indicata dall’ancella, sarà inesorabilmente soggetta al passare del Tempo impersonato dal vecchio mosculoso che si rivela. Il particolare taglio compositivo del dipinto in cui le figure vengono rappresentate in primo piano costituisce un elemento caratteristico del pittore, che ritroviamo in numerose altre opere, in cui lo spazio circostante viene appena accennato. Nella robustezza della figura del Tempo si possono cogliere ancora elementi riconducibili all’ambiente dei tenebrosi come dimostra il confronto con figura di Massenzio nella Disfatta di Massenzio del Duomo di Vicenza coniugati ad un fare più aggraziato ed elegante espresso dalla figura femminile che presenta taluni riscontri stilistici con Pietro Liberi e Andrea Celesti.

Stima   € 18.000 / 25.000
89

Pietro Bartolomeo Cittadella

(Vicenza 1636-1704)

RINALDO LIBERA LA FORESTA DALL’INCANTESIMO

olio su tela, cm 125x126 entro antica cornice intagliata a volute, dipinta e dorata

 

Senz’alcun dubbio anche la tela qui proposta è da riferirsi come la precedente a Pietro Bartolomeo Cittadella e riconducibile alla fase in cui la componente “tenebrosa” si stempera nella nuova corrente veneziana del “chiarismo”. Si colgono infatti rispetto al precedente dipinto raffigurante l’Allegoria del Tempo, più legato in questa fase di transizione per taluni aspetti ai “tenobrosi”, maggiori aperture verso i “chiaristi” di fine Seicento i cui più significativi esponenti furono Antonio Molinari, Francesco Pittoni e Antonio Bellucci.

Il nostro dipinto raffiguara un episodio della Gerusalemme Liberata del Tasso ovvero il momento in cui Rinaldo libera la foresta dall’incantesimo del mago Ismeno, così che i Crociati possano ricavare il legname per riparare le macchine belliche con cui espugnare Gerusalemme. In tale atmosfera Rinaldo brandisce la spada per colpire il mirto dal quale è uscita magicamente la figura di Armida a difendere il tronco e in basso appare la figura di un satiro o più probabilmente un mostro della foresta che assiaste alla scena: “Vassene al mirto; allor colei s’abbraccia / al caro tronco, e s’interpone e grida:/ "Ah non sarà mai ver che tu mi faccia/ oltraggio tal, che l’arbor mio recida!/ Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia/ pria ne le vene a l’infelice Armida:/ per questo sen, per questo cor la spada/ solo al bel mirto mio trovar può strada.” (canto XVIII, 467-482).

Lo stesso soggetto con alcune varianti si ritrova in un’altra opera del pittore conservata presso i Musei Civici di Vicenza, che veniva precedentemente indicata come Storia cavalleresca tratta dal Ricciardetto di Niccolò Forteguerri (A. Magrini, Il Museo civico di Vicenza solennemente inaugurato il 18 ag.1855, Vicenza 1855, p. 54) in cui l’aggraziata e tornita figura femmile veniva identificata come Despina.

Otre alle affinità relative al soggetto si possono evidenziare analogie compositive in quanto il pittore mantiene in entrambe le opere il suo caratteristico taglio ravvicinato nella raffigurazione dei personaggi dietro i quali si intravede solo uno scorcio di vegetazione. La tela qui presentata risulta invece caratterizzata rispetto al dipinto di Vicenza da una più vivace tavolozza pittorica di rosa, gialli e azzurri che si sciglie in tonalità trasparenti come nel panneggio di Amida. Tali aspetti dimostrano come il nostro dipinto possa essere collocato in una fase più avanzata verso le tendenze “rococò”.

Stima   € 20.000 / 30.000
92

Domenico Corvi

(Viterbo 1721-Roma 1803)

SALOMÈ RICEVE LA TESTA DEL BATTISTA

olio su tela, cm 63,5x49

al recto in basso a sinistra numero d’inventario dipinto “199.”

 

Provenienza: già nobile famiglia romana;

nobile collezione fiorentina

 

Inedito e non documentato, il dipinto qui offerto costituisce un’aggiunta importante al catalogo di Domenico Corvi, un’attribuzione certo non scontata, considerando la riscoperta piuttosto recente del pittore viterbese.

Pur in assenza di riferimenti il dipinto va indubbiamente confrontato, ancor più che con la Decollazione del Battista nella chiesa del Gonfalone a Viterbo, con le storie petrine dipinte da Domenico Corvi per la cappella Orsini in San Salvatore in Lauro a Roma, e in particolare con la Liberazione di san Pietro che ne condivide l’ambientazione e il lume notturno, una caratteristica – quest’ultima – celebrata dal Lanzi come tipica delle sue opere più felici.

Ancor più convincente, peraltro, il confronto con un altro dipinto probabilmente legato al medesimo ciclo, l’Apparizione dell’angelo a San Pietro oggi nella Galleria Nazionale di Arte Antica proveniente dalla collezione Lemme, insieme ai bozzetti relativi ai laterali della cappella Orsini già citati.

Varie ragioni, a cominciare dal confronto stilistico, potrebbero anzi suggerire che il nostro dipinto si accompagnasse in origine alla tela citata, comparsa sul mercato antiquario nel 1990. Per l’intero gruppo è stata proposta una data poco dopo il 1763, e dunque all’inizio del ventennio in cui si registra il massimo successo di pubblico di Domenico Corvi, attivo per le principali famiglie romane e in particolare per i Borghese e i Barberini come per la corte di Torino.

 

Bibliografia di confronto: Domenico Corvi, a cura di V. Curzi e A. Lo Bianco, Roma 1998, in particolare pp. 126-27.

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
61 - 90  di 165