Importanti Maioliche Rinascimentali

27 OTTOBRE 2014

Importanti Maioliche Rinascimentali

Asta, 0025
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 17
Esposizione

FIRENZE
dal 23 - 27 Ottobre 2014
orario 10–13 / 14–19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   2000 € - 150000 €

Tutte le categorie

61 - 62  di 62
61

PIATTO

Napoli, Francesco Antonio Saverio Grue, “1727”

 

Maiolica decorata in policromia a gran fuoco con verde ramina, bruno di manganese, blu di cobalto, giallo antimonio e dorature

alt. cm 4; diam. cm 33,2

Iscrizioni sulla tesa “NEAPOLI An.1727” “ Dr. Fra. Ant. Xav. Grue pinxit”

 

In basso a destra una fenditura consolidata attraversa la tesa e la balza con due rami perpendicolari corti e sottili.

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Earthenware with high-fired polychrome decoration painted in copper green, manganese, cobalt blue, antimony yellow, and gold

H. 4 cm; diam. 33.2 cm

On the broad rim, two inscriptions: ‘NEAPOLI An.1727’ and ‘Dr. Fra. Ant. Xav. Grue pinxit’

 

At 5–7 o’clock consolidated hairline crack running across broad rim and part of the well

 

An export licence is available for this lot

 

Il corpo del grande piatto in terracotta è ricoperto da uno strato di smalto stannifero dal colore leggermente beigiato. Il retro presenta una finissima crettatura con molte pulci e punte di spillo.

Tutto l’ornato è disegnato con una sottilissima linea bruno-arancio (ad esclusione delle fronde arboree e delle parti poi dipinte in blu). La tavolozza dei colori a gran fuoco mostra una scala cromatica dominata dal verde, che vede toni chiari dall’accento olivastro, e dal bruno con stesure beige molto chiare. Il bruno scuro del manganese disegna i dettagli e modella i volumi. Le vesti dei protagonisti portano un beige aranciato e blu chiaro. Lumeggiature auree profilano l’intero tessuto decorativo puntinando gli elementi della tesa, le ali e i tessuti dei putti, oltre ad arricchire tessuti e gioielli delle donne sedute al tavolo e, infine, le fronde fogliate.

Il grande piatto tondo ha la tesa leggermente inclinata e orlo liscio. La balza scende addolcendo il passaggio al fondo liscio.

La tesa è riccamente decorata. L’orlo esterno è profilato con una sottile bordura blu accompagnata da filetti manganese, blu e giallo. La fascia maggiore della tesa vede, sul fondo giallo, quattro importanti elementi barocchi, a cartouche, dominati da conchiglie con ciuffi fogliati, fiori e frutti accompagnati da putti in movimento. I due più in alto sono a mezza figura in scorcio e quello a destra si mostra espressivo mentre gioca con un insetto. Altre “zanzare” abitano i piccoli spazi liberi della tesa. Gli elementi ornamentali centrali portano un nastro bianco sottile su cui è leggibile un’iscrizione: “Neapoli” [con la “N” invertita] e “An. 1727”, e nel motivo inferiore: “DR. FRAC.s ANT.s XAV.s/ GRVE pinxit.”

La scena vede protagoniste cinque persone sedute a tavola all’aria aperta davanti ad una locanda, mentre stanno mangiando, servite da due giovani osti: la ragazza con l’abito blu porge un piatto, mentre un giovane uomo versa il vino in un calice. Tre figure sedute ci voltano le spalle: un uomo, un ragazzino e una signora dalla veste arancio decorata con una puntinatura dorata. Davanti a lei vi è la donna più giovane: una ragazza elegante che sembra rivolgere serenamente il suo sguardo verso l’osservatore; le è accanto il giovane uomo sorridente che porge il proprio calice all’oste. Il calice pare prezioso: forse si festeggia un matrimonio. La scena è arricchita da tanti elementi secondari: la facciata della locanda è ricca di particolari, come l’ampia tettoia di frasche. Un ragazzino mangia con le mani, seduto a terra accanto a piccole gerle e a una piccola botte lignea dalla sezione trilobata. Un cappello, una sacca e una cesta sono buttati a terra dall’altra parte. In primo piano, al centro dell’esergo, vi è un cane che abbaia. Lo sfondo paesistico si apre incorniciato da piante dalle ricche fronde fogliate; al centro, in lontananza, è dipinto un complesso architettonico con un torrione cilindrico. Il paesaggio termina in un profilo di monti azzurrati, dove il cielo ha il fondo luminoso in giallo chiaro. In alto vi sono ampie nubi gialle e grigie sul celeste. Qualche uccello è in volo.

La scena centrale deriva sicuramente dal mondo pittorico olandese del pieno Seicento: pare affine alle raffigurazioni delle feste popolari, le “Kermesse”, di David Teniers le Jeune e delle locande del contemporaneo Adriaen Van Ostade, dove incontriamo edifici dalle facciate con muri sbrecciati e tettoie molto simili alla nostra, ma le narrazioni popolari che le animano sono più pauperistiche.

Il sistema decorativo della tesa trova invece nella cultura pittorica di, Carlo Antonio Grue a Castelli d’Abruzzo, la sua radice: le sue composizioni decorative create dall’accostamento di elementi decorativi plastici, festoni fioriti e fruttati e putti volanti sono qui citati chiaramente.

Francesco Antonio Saverio Grue, il figlio primogenito di Carlo Antonio Grue, ebbe sempre grande fortuna data l’ampia quantità di pezzi siglati e le notevoli vicende storiche che lo avevano riguardato. Infatti Francesco Antonio Saverio, dedicatosi a studi teologici, suo malgrado, diventò “Dottore” nel 1706 ad Urbino: titolo che citerà sempre nelle sigle con cui firmerà molte maioliche. Questa cultura alimentò fortemente il suo mestiere ceramico e il sistema relazionale con la clientela nobile o ecclesiastica che lo portò a trasferirsi a Napoli. La sua forte personalità lo aveva fatto tornare a Castelli nel 1716 per scrivere, in aiuto dei suoi concittadini, una supplica al viceré napoletano contro il suo feudatario locale.

L’anno successivo Grue sarà uno dei protagonisti della violenta ribellione castellana e catturato: i documenti storici non ci spiegano chiaramente come sia possibile che la reclusione nel carcere della Vicaria a Napoli per otto anni combaci con la presenza di diverse ceramiche firmate e datate in quel periodo.

La data sul nostro piatto (1727) ci permette di non dover cercare soluzione al capitolo meno facile della storia del nostro artista, anche se (forse) Francesco Antonio Saverio era uscito di prigione due anni prima, il 5 febbraio 1727 venne redatto l’“Instromento” che rendeva pubbliche al paese le nuove regole legali per la vita pacifica. E un mese dopo, il 10 marzo, tutti i castellani erano stati liberati.

La dimensione del nostro piatto e la ricchezza decorativa rendono il pezzo unico. La scritta che sigla e data in un nastro sulla tesa è presente su pochi altri pezzi, il più celebre dei quali è un tondino conservato al Museo di San Martino di Napoli (“1718”) schedato da Fittipaldi. La formula scrittoria di dieci anni precedente è molto più leggera e corsiva della nostra, ma Francesco Saverio usa più spesso lo stampatello. La curiosa formula della “N” specchiata della parola Napoli e quella del numero “7” nella data (con la linea superiore orizzontale), però, non incontrano simili nella grande quantità di parole che Francesco Antonio dipinge sui pezzi per manifestare la propria cultura. In un’opera di questa complessità pittorica, tuttavia, questi errori calligrafici non devono essere sopravvalutati, anche se non riusciamo a comprenderne la causa.

La coerenza della tipologia del materiale e della tavolozza, il linguaggio formale rilevabile nella composizione della scena, nella raffigurazione delle persone e nella qualità dei dettagli già sottolineati durante la descrizione sono riconoscibili, ma la ricca grandezza comporta certe particolarità uniche.

Facciamo alcuni precisi esempi: l’ornato della tesa mostra un carattere insolito nella solidità del motivo plastico, perché la stragrande maggioranza dei pezzi prodotti dall’artista a noi noti sono di ben minori dimensioni e non ne presentano. Ma gli elementi che lo compongono, volute e conchiglie, accanto ai grandi grappoli d’uva, e gli elementi floreali simili ai nostri sono riconoscibili su altri pezzi; anche la straordinaria esecuzione delle figure infantili espressive ha un raro confronto, ma testimoniale nel versatoio delle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano.

Un’altra scena istoriata dal Dottore di questa complessità, con un gruppo figurato come il nostro, non è mai stata pubblicata. Ma scene festanti all’olandese decorano diverse sue maioliche, certamente di un numero ben inferiore a quelle con soggetti sacri o storici o pastorali. Questo mondo abita, per esempio, un gruppo di pezzi che oggi appartiene al Museo Civico di Padova. Quattro tondi (diametro cm 26-27), di cui tre datati “1722” e uno “1723”, portano raffigurate scene di gioco e danza “particolarmente festosi […] che paiono un riflesso della gioia provata per la scomparsa (quell’anno del nemico politico)” scrive l’Arbace. Molte figure sembrano derivate dalle incisioni olandesi sui “giochi”, anche se lo stile pittorico è qui più corsivo del nostro. In ogni modo, in primo piano, sul terreno, gerle o sacchi sono accanto a botti trilobate: le stesse che troviamo nel nostro prato. Il fatto che questi pezzi siano stati sicuramente raccolti dal collezionista padovano prima del 1844 permette di confermare la certezza della loro autenticità. E, così, di aiutare ulteriormente a supportare la nostra.

 

Raffaella Ausenda

Stima   € 45.000 / 65.000
62

Due alzate

Savona, manifattura Salamone, Bartolomeo Guidobono (?), post 1695

 

Maiolica decorata in blu di cobalto e bruno di manganese con l’aggiunta di giallo, verde e arancio nello stemma

a) alt. cm 7,1; diam. cm 33; diam. piede cm 14

b) alt. cm 6,4; diam. cm 33; diam. piede cm 15

Sul retro, sotto il piede, stemma savonese in blu su ambedue

 

Intatte salvo profonde sbeccature al piede.

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Earthenware, painted in cobalt blue and manganese with touches of yellow, green, and orange for the coat-of-arms

a) H. 7.1 cm; diam. 33 cm; foot diam. 14 cm

b) H. 6.4 cm; diam. 33 cm; foot diam. 15 cm

Beneath the base of both items, is a Savonese coat-of-arms painted in blue

 

In very good condition, with the exception of some heavy chips to foot

 

An export licence is available for this lot

 

Le due alzate in maiolica foggiata al tornio sono sorelle, parte della stessa serie. Hanno un piano piatto profilato da un orlo leggermente crescente e poggiano su un piede svasato ad anello. Il corpo sottile ha grana fine color camoscio rivestita da un sottile strato di smalto stannifero leggermente azzurrato, dalla stesura molto leggera sul retro.

La scena figurata è impostata in monocromia blu: la rapida esecuzione in sciolte pennellate blu di cobalto è poi ripassata con una sottilissima linea nera di manganese che, con fluida rapidità, ridisegna contorni, particolari e certi tocchi chiaroscurali. Solo lo stemma vede l’aggiunta di giallo uovo, arancio e pochi colpi in verde ramina.

Ambedue le scene pittoriche sono dominate da uno stemma matrimoniale bipartito: lo scudo a sinistra è trinciato da due bande diagonali blu in campo bianco, mentre lo scudo a destra porta una sottile croce rossa e ha i campi profilati con una fascia di piccole punte gialle e verdi. L’insegna araldica è dominata da una corona a sette punte d’imprecisa appartenenza marchionale.  Una sottile cornice a volute chiude il motivo araldico.

Le insegne araldiche appartengono a due famiglie fiorentine Alamanni e Popoleschi. Le nostre maioliche testimoniano così il matrimonio tra Vincenzio Maria Alemanni (1672–1756) e Maria Maddalena Popoleschi che avvenne a Firenze nel 1695.

Le due scene si svolgono in un paesaggio realizzato con un gioco sintetico dal disegno fortemente stilizzato. Nel piatto a) la parte superiore è occupata da un paesaggio dipinto in estrema scioltezza e composto di un edificio a fortezza turrita e due monti dalla linea inclinata con la cima appuntita. Attorno allo stemma l’aria è mossa da virgole vibranti e, nella parte più alta, il cielo chiude l’orlo con nuvole scure. Al centro una giovane coppia “all’antica” è protagonista: i due sono seduti nel prato, lei tiene in mano un arco, un giovane uomo loricato regge uno scudo. Due putti gli sono accanto. È raffigurato un istante: le figure si muovono con naturalezza e paiono parlare tra loro sorridendo. Il bordo inferiore è incorniciato da zolle erbose e arbusti fogliati. Il piatto b) vede una scena ancora più viva: il movimento è accentuato. La giovane donna siede su un cocchio tirato da due pavoni. Il movimento delle braccia e il volo del suo mantello ci mostrano che è in velocità. Accanto, un ragazzino alato, correndo, porta una torcia ardente e due putti paiono partecipare allegramente alla scena. Il casale è dipinto nell’esergo e ciuffi erbosi e piante fogliate inquadrano la scena.

In ambedue i pezzi il retro della tesa presenta una serie corrente di girali. La marca è disegnata a filo sottile a punta di pennello fine, con una forma stilizzata quasi triangolare. Il fondo del pezzo b) porta anche una pennellata libera.

Questa tipologia decorativa “istoriata barocca” ebbe una straordinaria diffusione nella produzione savonese per più di un secolo, ma un piccolo gruppo di pezzi di sicura assonanza formale con le nostre alzate è stato individuato per la sua qualità formale artistica.

Nel 1939, nella celebre esposizione tenuta a Palazzo Reale di Genova, curata da Orlando Grosso e Giuseppe Morazzoni, i pezzi riconosciuti con questo carattere stilistico considerati della fine del ’600, sono definiti “ispirati ai Guidobono”. (Talvolta marcati con lo stemma e, raramente, anche con la “S”).

Giovanni Antonio Guidobono e suo figlio Bartolomeo sono grandi pittori, autori della decorazione di molte chiese liguri e piemontesi. La loro alta qualità artistica e freschezza stilistica farà sì che vengano chiamati come decoratori dai Savoia a Torino a Palazzo Madama. Il padre lavorava regolarmente come decoratore delle ceramiche della manifattura savonese Salamone: collaborazione viva fino al 1683, anno in cui si trasferisce a Torino. Alla sua morte, due anni dopo, il figlio Bartolomeo lo sostituisce con grandissimo successo. Bartolomeo (1654 – 1709) è un artista geniale: prosegue l’attività pittorica del padre dipingendo pale d’altare, decorazioni a fresco di edifici raggiungendo lo straordinario incarico di decorare sale di Palazzo Madama, ammirabili ancor oggi. Arrigo Cameirana (1997, 2001, 2002) e Cecilia Chilosi (2004) hanno studiato la più innovativa, magnifica serie ceramica dei Guidobono in figure libere, in acceso movimento con forti scorci dipinti “con mano in aria senza appoggio”. Ma è evidente che i Guidobono, anche se non si possono considerare gli inventori del dipingere con scene istoriate in monocromia blu, ne sono certamente molto raffinati esecutori. 

Le nostre alzate si collocano con sicurezza in questo mondo ceramico: un piatto “reale” (45 centimetri di diametro) marcato con lo stemma di Savona e la lettera “S”, pubblicato da Cecilia Chilosi nel Thesaurus ligure è decorato con la stessa scena di Giunone sul cocchio con i pavoni di stile entusiastico (Collezione della Banca di Risparmio di Savona). La scena è certamente sorella di quella affrescata da Bartolomeo Guidobono su una volta di Palazzo Cambiaso Centurione a Genova. E si notano altre straordinarie assonanze con alcuni disegni considerati da Newcombe preparatori per questo lavoro: su un foglio, Giunone nel carro ha un movimento più libero dell’affresco e più simile a quello della maiolica, e un altro foglio con Venere e Adone vede la stesura a penna e “ampie acquerellature”, mostrando una straordinaria affinità tecnico-pittorica con lo stile decorativo della nostra maiolica, come aveva già rilevato Cameirana.

L’altra nostra alzata con le figure festosamente sedute a terra non trova in un’opera così alta culturalmente pilastri attributivi, ma è evidente la sua perfetta coerenza materica e tecnico-stilistica con il pezzo analizzato e la familiarità iconografica con le altre opere citate “dei Guidobono”.

I nostri pezzi sono stati prodotti nel 1695 o poco dopo. Quest’anno è l’ultimo di attività della manifattura Salamone con cui l’ormai celebre Bartolomeo Guidobono molto attivo alla corte torinese forse collaborava ancora.  La presenza della lettera “S” nella marca del piatto affine citato, pubblicato da Cecilia Chilosi, lo conferma. Possiamo così pensare che le nostre alzate siano opere sfornate o nell’ultimo anno della manifattura citata o nei primi anni successivi in un’altra fabbrica di ceramica fina della vivace città ligure e la loro perfetta coerenza pittorica ci permette di considerarli, pur senza voler forzare, forse dipinti da Bartolomeo stesso.

A Bartolomeo stesso erano commissionate maioliche dai Duchi di Savoia e quella ligure era molto apprezzata anche Firenze dai Medici dalla metà del Seicento. Nel nostro stesso nostro anno, il 1694, in un inventario completo della Villa medicea di Poggio Imperiale si elencano più di mille pezzi in “Terra di Savona”. E oggi sono noti diversi piatti da parata decorati con scene istoriate dominate da scudi medicei.

“A Roma un vescovo, Alessandro Falconieri, appartenente a una famiglia aristocratica di origine fiorentina, possedeva una sottocoppa traforata stilisticamente coerente alle nostre e marcata allo stesso modo. Essa è databile dopo il 1691 grazie al carattere araldico dello stemma che porta nel decoro".

 

Raffaella Ausenda

Stima   € 25.000 / 35.000
Aggiudicazione  Registrazione
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