90 ANNI DI ASTE: CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

28 OTTOBRE 2014
Asta, 0024
20

Giovan Battista Spinelli

Stima
€ 120.000 / 150.000

Giovan Battista Spinelli

(Bergamo o Chieti, documentato dal 1640 al 1655)

DAVID CON LA TESTA DI GOLIA

olio su tela, cm 96x121

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

oil on canvas, 96x121 cm

 

An export licence is available for this lot

 

€ 100.000/150.000 - $ 130.000/195.000 - £ 80.000/120.000

 

Provenienza:

asta Vangelisti, Lucca, 1971, lotto 59 (come opera di Francesco Furini);

collezione privata, Firenze

 

Esposizioni:

Civiltà del Seicento a Napoli. Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre 1984-14 aprile 1985, n. 2.247

 

Bibliografia:

Asta degli arredi della Villa Poggio al Debbio a S. Michele di Moriano, Lucca degli eredi Castoldi e di altre private proprietà, Galleria Vangelisti Lucca, maggio-giugno 1971, lotto 59 p. 12 ; N. Spinosa, Aggiunte a Giovan Battista Spinelli, in “Paragone” XXXV, 1984, 411, pp. 22 e 36, nota 1; fig. 11; N. Spinosa, La pittura napoletana del 600, Milano 1984, fig. 788; D.M. Pagano, in Civiltà del Seicento a Napoli. Catalogo della mostra, Napoli 1984, pp. 177 e 468-69; L. Ravelli, Considerazioni su un artista di origine bergamasca, in “Atti dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti” 45, 1985-86, II, p. 836; N. Spinosa e D.M. Pagano, Giovan Battista Spinelli, in I Pittori Bergamaschi. Il Seicento, IV, Bergamo 1987, p. 25, n. 9; p. 36, fig. 4.

 

Referenze fotografiche: Fototeca del Kunsthistorisches Institut in Florenz, Mal. Bar. busta Spadino-Sprecaro, inv. 442895

 

Venduto in asta nel 1971 come opera di Francesco Furini, il dipinto fu restituito oralmente a Giovan Battista Spinelli grazie a un’intuizione di Carlo Del Bravo, che lo riconobbe opera dell’artista napoletano sulla scia degli studi di Roberto Longhi che poco prima, nel 1969, avevano inaugurato la riscoperta del pittore portando inoltre all’acquisto, da parte dello Stato italiano, delle bellissime storie di David tuttora agli Uffizi. Solo nel 1984, però, e su segnalazione di Mina Gregori, il dipinto fu pubblicato per la prima volta da Nicola Spinosa nell’ambito di uno studio che accresceva in maniera significativa il catalogo del pittore e la conoscenza dei suoi dati biografici. In quell’occasione, lo studioso rilevava …”l’ambiguità… che si carica di umori morbosi e di misteriose valenze nel giovane “capellone” con l’elegante copricapo piumato ad ombreggiargli il volto da efebo scelto da Spinelli per il ruolo di David…” e insieme la cruda realtà, ancora di matrice caravaggesca, “del capo mozzato di Golia in primissimo piano con tratti somatici di uno spietato realismo”.

In quello stesso anno il dipinto fu presentato a un pubblico più ampio in occasione della storica rassegna sul Seicento napoletano fortemente voluta da Raffaello Causa e realizzata dopo la sua scomparsa dalla Soprintendenza napoletana.

Oltre che con un gruppo di fogli in parte provenienti dallo storico nucleo delle collezioni medicee conservato agli Uffizi, Spinelli era presente in quell’occasione con ben dieci tele in una sala a lui dedicata: una scelta che dava conto della sua personalità appena risarcita e della sua situazione anomala nell’ambito della scuola napoletana, più che del peso che in quella scuola l’artista di origini bergamasche aveva effettivamente rivestito.

Cruciale si era rivelata in effetti la scoperta della patria d’origine del pittore e della sua documentata presenza a Chieti tra quinto e sesto decennio del secolo, un dato che veniva a spiegare l’esistenza delle numerose opere di sua mano segnalate da Ferdinando Bologna in chiese e collezioni d’Abruzzo, e consentiva di disporle plausibilmente in un arco di tempo più lungo di quello suggerito dalla “vita” di Bernardo De Dominici che lo diceva scomparso in circostanze oscure nel 1647.

Ignoti restano comunque il luogo e la data di nascita del pittore, il cui padre, ricco mercante di granaglie documentato a Chieti dal 1628, vi si era trasferito da Bergamo in data non precisata. Non sappiamo quindi dove avvenisse la formazione di Giovan Battista Spinelli, condotta in primo luogo sulle stampe degli autori nordici del Cinquecento individuati da quanti, a partire da Walter Vitzthum, si sono occupati della produzione grafica del pittore; questa è stata identificata a partire dall’importante nucleo di fogli conservati agli Uffizi dalla collezione di Leopoldo de’ Medici, attribuiti a Spinelli fin dall’origine. Incisioni nordiche circolavano senza dubbio a Napoli nel tempo dell’educazione dell’artista, fra terzo e quarto decennio del secolo (come si deduce dalla probabile data circa 1630 per la pala nella chiesa della Trinità di Ortona); ma la scelta costante dei tipi bizzarri e a volte stravolti che in misura diversa rendono inconfondibili le opere di Spinelli potrebbe indurci a ricercare in area bergamasca, come sostiene Lanfranco Ravelli, le ragioni del suo programmatico rifiuto del classicismo.

E’ comunque l’origine nordica del pittore a spiegare, oltre alle tangenze tra le sue figure dipinte e quelle scolpite a Napoli dal bergamasco Cosimo Fanzago individuate da Aurosa Spinosa, la presenza di sue opere, probabilmente giovanili, in inventari di collezioni bergamasche; la sua presenza a Venezia nel 1639-40 è invece probabilmente all’origine di un suo dipinto nel palazzo veneziano del mercante Giovan Donato Correggio, dove un elenco privo di data ma riferibile agli anni tra 1646 e 1674 descrive in mezzo a opere quasi esclusivamente veneziane “un quadro con David vittorioso figure piccole di Giovan Battista Spinelli buonissimo” (forse il tondo siglato a Napoli in collezione Baratti, o ad esso simile; cfr. L. Borean, La quadreria di Agostino e Giovan Donato Correggio nel collezionismo veneziano del Seicento, Udine 2000 pp. 171-193); mentre nel 1680 la presenza di una Natività, una Rachele e una “Lotta delle Scritture” (il noto Giacobbe e l’angelo in collezione privata a Firenze?) nella raccolta del Duca di Atri, Giovanni Geronimo Acquaviva d’Aragona dà forse conto della lunga permanenza in Abruzzo di Giovan Battista Spinelli più che della sua attività napoletana (The Getty Provenance Index).

I documenti che, sebbene indirettamente, certificano la sua presenza a Napoli prima del 1640 e fino al 1655 si riferiscono in effetti ad affari di diversa natura e non alla sua attività di pittore; confermano però quanto appare deducibile per ragioni di stile dalla possibile cronologia delle opere note, nessuna delle quali datata, e dal passo di Bernardo De Dominici (Vite dei Pittori, Scultori e Architetti Napoletani, Napoli 1742-45, III, p. 69) che riferisce il suo discepolato nella bottega di Massimo Stanzione.

“Il Cavaliere Gio. Battista della nobilissima famiglia Spinelli fu affezionato alla pittura, e volle apprenderla dal Cavalier Massimo, e molto profitto vi fece, maneggiando con gran franchezza il colore, per la qual cosa egli era assai volte adoperato dal Maestro, e sbozzava le di lui opere dapoichè copiava assai bene, e trasportava dal piccolo in grande con molta aggiustatezza, e franchezza. Sicchè lo stesso Massimo ne restava ammirato, e tanto lo imitò nella tinta, che spesso i suoi quadri si prendeano per opera del Maestro. Uno de’ quadri sbozzato da lui, e condotto a buon termine, e poi finito da Massimo come è detto di sopra, è quel grandioso con la Disputa di nostro Signore coi Dottori nel tempio, situato nella chiesa della Ss. Nunziata. Molte opere fece lo Spinelli per case particolari, e per lo più de’nobili delle quali riportò molta lode, ma datosi poscia a fare l’Alchimista, e’l Segretista componendo balsami, et altri specifici cadde nella pazzia di voler fare il Lapis philosophorum ingannato da un tal frappatore, che con i suoi raggiri lo inviluppò; onde fermamente credendo di fare il Lapis, vi consumò quasi tutto il suo avere, infinchè un giorno crepandosegli una boccia infocata, lo scottò in tal maniera che poco appresso se ne morì, circa il 1647. Sichè per far un rimedio da prolungar la vita, perdè egli la vita”.

 

Al di là della possibile confusione con la famiglia Spinelli dei principi di Tarsìa, le parole del biografo lasciano forse intravedere la condizione agiata della famiglia del pittore, così come risulta dai documenti, e la parentela acquisita attraverso la sorella Caterina con la nobile famiglia De Pizzi di Ortona; se poi vogliamo dar credito alla collaborazione con Massimo Stanzione di cui Spinelli avrebbe trasposto in pittura disegni e cartoni, il riferimento così preciso alla pala per la chiesa dell’Annunziata rimanderebbe agli anni 1640-42 durante i quali Stanzione eseguì il Cristo fra i Dottori nel tempio ricordato dal biografo e la tela compagna raffigurante le Nozze di Cana, entrambe distrutte da un incendio nel 1757 ma documentate da pagamenti (cfr. S. Schuetze-T. Willette, Massimo Stanzione. L’opera completa, Milano 1992 p. 257 D 3).

Se le Storie del Battista nell’omonima cappella alla Certosa di San Martino dipinte da Stanzione intorno al 1642 costituiscono un possibile punto di tangenza tra il supposto maestro e il Giovan Battista Spinelli delle Storie di David agli Uffizi (Fig.3), così stravaganti ed estrose nei loro protagonisti eppure di composizione grandiosa e pausata, non è dubbio che il più giovane artista restasse fondamentalmente estraneo alla poetica aulica e naturalista del Cavalier Massimo, dal quale deriverà piuttosto le raffinatezze estreme della sua gamma cromatica.

A tratti romantici o stravolti ma costantemente stravaganti, i personaggi di Spinelli propongono se mai un’interpretazione grottesca e bizzarra degli eventi miracolosi raffigurati nelle pale d’altare come nei quadri da stanza: ed è forse questa vena negromantica l’aggancio con l’alchimia che, secondo De Dominici, l’artista avrebbe praticato rinunciando alla pittura e addirittura perdendo la vita.

Così, nel dipinto qui presentato, Davide è colto in un momento di incertezza e di malinconia, volto a cercare fuori dallo spazio della tela le ragioni che lo hanno portato a recidere la testa gigantesca in primo piano. Ombreggiato dalle piume che ripetono il moto spiritato dei ricci svolazzanti, il viso del giovane, volutamente ambiguo, ripete quello dell’omonimo protagonista del Trionfo agli Uffizi , figura non a caso stranamente decentrata e quasi a margine della scena. Lo ritroviamo nell’angelo che indica ad Agar la fonte miracolosamente scaturita nel deserto e nel giovane vigoroso in lotta con Giacobbe in altri dipinti di raccolta privata, mentre l’ombra soffusa che lo accarezza piove in modi più decisi su un’altra scena di assassinio tratta dal Vecchio Testamento, Giaele e Sisara (Fig.2).